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Influenza: quale epidemia? a cura del dott.Franchi

Influenza: quale epidemia? a cura del dott.Franchi

Influenza: quale epidemia? a cura del dott.Franchi
marzo 03
09:27 2018

INFLUENZA? UNA EPIDEMIA REALE?

Vacciniinforma ringrazia i professionisti che hanno lavorato al seguente studio pubblicato.

a cura di Fabio Franchi* , Manuela Lucarelli** e Livio Giuliani *** , Pubblicato da Vacciniinforma

(*Società Scientifica per il Principio di Precauzione (SSPP) Italia ,**Università degli studi DEB Tuscia, Italy  ***Dirigente di Ricerca del Sistema Sanitario Nazionale, Italia)
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Riassunto

Introduzione

Equivoco n° 1: “influenza” versus “sindromi influenzali”

Equivoco n° 2: dati sulla mortalità

Equivoco n° 3: sulla efficacia del vaccino

Equivoco n° 4: sulla composizione del vaccino

Discussione

Conclusione

Bibliografia

RIASSUNTO

L’influenza è una malattia virale; si diffonde durante la stagione invernale sotto forma di epidemie o addirittura di pandemie. La sua importanza clinica e sociale è fortemente amplificata dalle autorità sanitarie internazionali e nazionali (principalmente in Italia) al fine di promuovere e giustificare le campagne di vaccinazione.

Questo obiettivo viene raggiunto fornendo informazioni distorte o false al pubblico. Queste distorsioni riguardano principalmente 4 aspetti:

1) la reale diffusione dei virus dell’influenza;

2) il tasso di mortalità relativo a questa malattia;

3) l’ efficacia del vaccino;

4) la presenza di nuovi virus in nuovi vaccini.

Ciascuno di questi punti sarà analizzato. Verranno mostrati dati reali, recensioni della letteratura e argomenti per il confronto. La conclusione è che:

1) la diffusione della malattia è circa 10 volte inferiore a quella dichiarata;

2) la mortalità è molto modesta, discutibile e comunque molto inferiore a quanto dichiarato;

3) l’efficacia del vaccino è sempre stata dimostrata come molto bassa rispetto a quanto precedentemente dichiarato, e spesso ha prodotto risultati imprevedibili e capricciosi;

4) i vaccini contengono antigeni di virus circolanti nei 2 – 10 anni precedenti, quindi non possono certamente essere nuovi. La composizione dei vaccini viene decisa con una sorta di scommessa, che viene fatta dagli esperti dell’OMS più di un anno prima del loro utilizzo.

Pertanto, in caso di influenza, l’allarme sociale è la base della politica sanitaria. La paura porta ad adottare la soluzione offerta che è una vaccinazione sempre più diffusa. Dopo aver analizzato i dati reali, la motivazione di questa misura preventiva si rivela un fallimento.

Introduzione                                           

Ogni anno nella stagione invernale, le Autorità Sanitarie ripresentano l’epidemia influenzale agli organi di informazione con toni allarmistici. Nel passato hanno effettuato persino previsioni di flagelli imminenti, come quello della pandemia aviaria e poi di quella suina, e che puntualmente non si sono materializzati.  Nel corso degli ultimi anni i dati forniti al pubblico sono rimasti sempre molto preoccupanti. Gli ultimi in ordine di tempo riguardano le 5 milioni di malattie influenzali e soprattutto gli “almeno 18000 morti” nell’inverno tra il 2016 2017. La soluzione auspicata e fortemente promossa dalle Autorità Sanitarie italiane è la vaccinazione a fasce sempre più ampie di popolazione.

È opportuno cercare di capire come vengono ricavate tali cifre e quali limiti abbia la profilassi proposta. La tesi proposta è che le cifre fornite al pubblico non corrispondano alla realtà e siano da inquadrarsi più come propaganda pubblicitaria, studiata per sfruttare a proprio vantaggio quattro “equivoci” ad effetto. Il primo di essi riguarda la parola “influenza”, impropriamente usata per designare tutte le “sindromi influenzali”, mentre ne costituisce solo una piccola parte. Ciò significa che il numero delle vere “influenze” è molto minore di quello pubblicizzato. Il secondo equivoco riguarda i dati sulla mortalità (da “influenza”). Alle poche decine di casi annuali, registrati su documenti del ISS (Istituto Superiore di Sanità), vengono aggiunte migliaia e migliaia di decessi indiretti da complicazioni, con stime avulse dalla realtà. Il terzo equivoco riguarda l’efficacia del vaccino il quale ha una ben modesta efficacia sul campo ed ancora più modesta in persone anziane. Laddove il dato viene controllato, si ammalano quasi in egual misura vaccinati e non vaccinati. Nel passato, negli USA, l’aumento della copertura vaccinale si è associato ad un progressivo aumento della mortalità invernale, invece che ad una sua diminuzione. Il quarto equivoco riguarda il fatto che il vaccino offra protezione contro nuovi virus. Invece in esso sono rappresentati ceppi circolanti già due anni prima o più.

ESEMPI DI ANNUNCI MEDIATICI DI TERRIBILI EPIDEMIE INCOMBENTI SENZA ALCUNA BASE DI DATI ATTENDIBILI O GIUSTIFICAZIONI SCIENTIFICHE SERIE

INFLUENZA AVIARIA

“Il virus dei polli è alle porte”. La Repubblica (quotidiano nazionale), 13 settembre 2005.

– «Succederà, è inevitabile. Quando? Nessuno può dirlo». Il professor Pietro Crovari, professore universitario a Genova e coordinatore della Commissione ministeriale sull’influenza, dice con calma, e senza mostrare dubbi: “Il conto alla rovescia è già iniziato; è solo questione di tempo. Con le proiezioni per l’Italia che parlano di 16 milioni di individui infetti, 2 milioni di ospedalizzazioni e 150 mila vittime, la prossima pandemia influenzale potrebbe essere una delle più devastanti del secolo”.

INFLUENZA SUINA

Il Prof. Fabrizio Pregliasco, un noto virologo italiano: “In Italia forse 12 mila vittime”. Il Messaggero. 19 settembre 2009. “La morbilità e il numero di casi attesi in Italia”, afferma Pregliasco, «sarà proporzionale alla forza dell’infezione virale. Ciò significa che se il virus è altamente contagioso ci saranno da 12,6 milioni a 23 milioni di casi, pari al 38,7% della popolazione “.

Tutte quelle previsioni si sono rivelate totalmente campate in aria, ma purtuttavia hanno permesso l’acquisto supplementare di due dozzine di milioni di dosi di vaccino in Italia (e in altre nazioni europee).

L’ispirazione per tali allarmi arriva dagli esperti dell’OMS 1.

Equivoco numero 1: “influenza” versus “sindromi influenzali”

Le Autorità Sanitarie perpetuano consapevolmente ogni anno l’equivoco sul nome chiamando “influenze” tutte le “sindromi influenzali”. Non è una sfumatura linguistica. È profondamente scorretto perché la sintomatologia simil-influenzale può essere provocata da una moltitudine di germi e virus, ed il più delle volte rimane di origine sconosciuta.

In realtà, solo la 10ª parte circa delle sindromi influenzali è causata dai “virus influenzali”.

DEFINIZIONE DI “SINDROME INFLUENZALE” E “INFLUENZA” DELL’ISTITUO SUPERIORE DI SANITÀ ITALIANO (ISS):

Definizione di un caso di ‘sindrome Influenzale’

  • un paziente che presenta febbre ≥38°C,

e almeno uno dei seguenti sintomi respiratori:

  • tosse, mal di gola e rinorrea

più almeno uno dei seguenti:

  • mal di testa, malessere generale e astenia.

Definizione di un caso di ‘influenza’:

Un individuo con sintomi di ‘sindrome influenzale’ e un tampone faringeo, prelevato entro 7 giorni dalla data di inizio dei sintomi, positivo per qualsiasi virus influenzale circolante (tipo A con sottotipi H1N1 e H3N2, e tipo B, tutti circolanti da molti decenni). Tratto da Rapporti ISTISAN 16/36 2.

In lingua inglese vengono chiamate: ILI  e ARI (oppure SARI in caso di ricovero ospedaliero) 3.

Sulla base di una maxi-revisione, fornita dalla Cochrane Collaboration, degli studi pubblicati (e su milioni di osservazioni), l’epidemiologia delle ‘sindromi influenzali’ e dell’ ‘influenza’ possono essere rappresentate come in figura 1

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Figura 1. Grafico a torta delle sindromi influenzali 4. Il totale delle osservazioni è fatto uguale a 10.000 per una più immediata comprensione. La maggior parte di queste, 9.300 persone, non si sono ammalate. Solo 700 hanno contratto una ILI (sindrome simil influenzale), e solo 77, ovvero l’ 11%, è stato colpito dall’ ‘influenza’ propriamente detta. Per la maggioranza di chi si è ammalato (475 soggetti) la causa è rimasta sconosciuta. Quindi, meno dell’1% della popolazione si ammala ogni anno di ‘influenza’ vera e propria.

Lo stesso è confermato anche dal seguente grafico tratto da EuroFlu [i]. In questo si vede come la situazione sia diversa di settimana in settimana, con la prevalenza reale dei virus influenzali rispetto agli altri agenti causali.

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Fig 2 SARI (Severe Acute Respiratory Infections: Gravi Infezioni Respiratorie Acute): percentuale di campioni positivi all’influenza negli ospedali sentinella (Le barre rappresentano il numero di casi di “sindromi influenzali” tra le persone che hanno avuto accesso in ospedale (SARI), mentre la linea che collega i quadratini vuoti rappresenta la percentuale della loro positività ai virus influenzali. Questa percentuale, come si può vedere, è vicina allo 0 fino alle ultime settimane dell’anno e poi sale fino al 20% circa a fine gennaio (nel 2012). Questi grafici non si prestano all’equivoco e sfortunatamente non vengono più riproposti negli aggiornamenti di EuroFlu. Le frecce rosse sono state aggiunte alla figura originale (Figura 2) 5.)

Altrove i grafici vengono appunto costruiti in modo tale da far erroneamente credere che tutte le ‘sindromi influenzali’ siano dovute a ceppi di due sottotipi di virus influenzale (A e B):

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Fig 3: Poster della FNOMCeO: dati ambigui e falsi proposti al pubblico (Tratto dal Poster della FNOMCeO del 2015, destinato agli ambulatori medici per la stagione 2015/16 6. L’anno successivo, 2016, venne pubblicato un poster simile. Questo è un esempio di un tipico grafico volutamente costruito per essere equivocato. Fa credere al lettore che 4,5-6 milioni di sindromi influenzali (ILI) fossero “influenza” propriamente detta, e che tutti i virus in circolazione fossero “virus influenzali” e che l’efficacia del vaccino era stata molto alta (95%) (Figura 3). Frecce rosse e evidenze aggiunte alla figura originale.)

Dunque i casi di ‘influenza’ vera e propria sono in media l’11% delle ‘sindromi influenzali’ stagionali 4. Nella tabella 1, nella seconda colonna sono riportati i casi annuali di sindrome influenzale; nella terza colonna sono calcolati i casi di ‘influenza’ propriamente detta, assumendo come valida la stima superiore del rapporto Cochrane. La precisazione è importante perché il vaccino è efficace (con qualche dubbio) per prevenire l’ ’influenza’ e non il resto delle ‘sindromi influenzali’. Nota bene: si tratta di stime: anche i numeri riguardanti le ‘sindromi influenzali’ lo sono, sulla base di campioni rappresentativi di tutto il territorio nazionale.

Se avessimo voluto fare riferimento ad un dato nazionale, la percentuale di ‘influenze’ sarebbe ancor minore, come è accaduto in Italia nella stagione 2005-2006 (“Per ciò che riguarda la sorveglianza virologica, nel corso della stagione 2005-2006, solo il 4% dei campioni clinici raccolti ed analizzati dall’ISS e dal CIRI, sono risultati positivi per influenza”) 7. Paradossalmente quella fu la stagione della presunta “pandemia di influenza aviaria” (Tavola 1).

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Il numero di casi di ‘influenza’ propriamente detta è stimato essere circa l’11% di quelli di sindromi influenzali

Stime dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS)

c Dati calcolati sulle stime, assumendo come parametro di riferimento il rapporto tra influenze e sindromi influenzali stimato nella Revisione Cochrane. 8

 

Tab 1. Stime dei casi di “sindrome influenzale” e dei casi di “influenza” in Italia.

La classe di età meno colpita è quella dei soggetti con età superiore a 64 anni, come si evince dal seguente grafico dell’ISS. (Figura 4) 9.

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Figura 4. Incidenza delle sindromi influenzali (ILI) in Italia (Il grafico mostra la frequenza delle sindromi influenzali nelle varie fasce di età, riportato dal ‘Rapporto sulla stagione influenzale 2013-2014’, pubblicato dall’ISS (ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ) 10. Si vede come gli anziani siano colpiti in meno di 50 casi su mille (<5%).

Nella Tabella 2 è calcolato il numero di “influenze” che colpiscono ogni anno i soggetti di età superiore ai 64 anni (si tratta di stime: l’attenzione è puntata sull’ordine di grandezza). Si tratta di decine di migliaia e non di milioni.

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Tab 2. Il numero di casi effettivamente colpiti da ‘influenza’ viene calcolato per anno.

a Dati Istat riferiti al 1 gennaio di ogni anno.

b Percentuale da fonti ISS 9-16

c Arrotondato alle migliaia

 

Equivoco n° 2: dati sulla mortalità.

Quella segnalata e registrata è di poche decine di casi fino a meno di duecento all’anno. Questi decessi riguardano per oltre il 90% soggetti di età avanzata e/o affetti da altre patologie croniche17, oppure immunodepressi. Quindi possono esse stesse considerarsi delle complicazioni nella maggior parte dei casi. Così sosteneva qualche anno fa Silvio Garattini, Presidente dell’Istituto Farmacologico, Mario Negri 18.

Per inciso, in un rapporto dell’Eurostat del 201519, sono riportati i casi di morte nei Paesi dell’Unione Europea per malattie legate all’apparato respiratorio registrate nel 2012: tra queste, solo lo 0,3% è riconducibile ai virus dell’influenza, ossia 2.286 persone in una popolazione di (più di) mezzo miliardo di persone. In ogni caso, l’ECDC ha fornito numeri diversi (Figura 5). Per esempio, in un comunicato stampa, le morti stimate (per influenza, nell’Unione Europea) sono state meno di 40.00020 all’anno, e in un altro comunicato stampa nello stesso giorno, rilasciato ancora dalla ECDC, hanno variato da 40.000 a 220.000 (“l’ECDC stima che tra i 40.000 4 i 220.000 morti in eccesso in Europa ogni anno siano dovuti all’influenza stagionale, a seconda della gravità della stagione influenzale)21. Questa affermazione è supportata da un riferimento bibliografico che non esiste più22.

Parallelamente in Italia, le Autorità Sanitarie hanno cominciato a parlare diffusamente di queste ulteriori migliaia di morti come dovute alle “complicazioni” (Tabella 3).

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Note: Fonte ISS-Ministero della Salute, riferita all’anno solare; b fonti istituzionali, tra cui il Presidente dell’ISS Walter Ricciardi, per il 2017 ed anni precedenti 23-27.

Nell’ultima colonna viene riportata la mortalità (asserita) per complicazioni. Tale dato è offerto dalla Autorità Sanitarie Italiane alla stampa nazionale senza alcun supporto documentale, senza citare alcuna fonte. Nei bollettini INFLUNET ed Flunews dell’ISS viene riportata al massimo la mortalità come causa iniziale26. Si noti inoltre che, sebbene i dati di mortalità siano riportati su base annua e quelli di morbilità siano differiti [o anticipati?] di un trimestre, si può comunque determinare l’ordine di grandezza dei casi di mortalità sui casi di morbilità per influenza e il rapporto risulta dell’ordine di 1/10.000 (0,01%; nell’ordine di 1/100.000 con riferimento al  2013-14). Si noti altresì che la mortalità per complicazioni dell’influenza, così come asserita dal Presidente dell’ISS, Walter Ricciardi, risulta raddoppiata nella stagione corrente rispetto a quella precedente e pari al 220% in più rispetto alla media della mortalità per la stessa causa negli ultimi 5 anni, nonostante il numero di casi di “sindromi influenzali” e quindi di “influenze”, nel 2016/2017, risulti stimabile del 5% inferiore a quello della media degli ultimi 5 anni. Tutto ciò mostra la inverosimiglianza della asserzione dello stesso Presidente dell’ISS circa il numero dei casi annui di mortalità da influenza e la sua esagerazione di qualche ordine di grandezza.

Tabella 3. Tasso di mortalità dovuto all’influenza: casi registrati e casi presunti

Nel Rapporto sulla Salute del 2009-2010, un corposo documento ministeriale, veniva riportato che “si stima che in Italia l’influenza stagionale causi ogni  anno circa 8.000 decessi in eccesso, di cui 1.000 per polmonite e influenza e altri 7.000 per altre cause“ 28 senza citare nessuna fonte o pubblicazione.

Nel 2012, il futuro Presidente dell’ISS, Walter Ricciardi dichiarò che l’ ‘influenza’ aveva causato diverse migliaia di morti in Europa e diverse centinaia in Italia”29.

Nei Rapporti sulla Salute relativi alla stagione 2012-201330“sono stati segnalati 230 casi di forme gravi e complicate di influenza confermata, inclusi 53 decessi”.

Si saltabecca insomma da poche decine, a poche centinaia, a diverse migliaia di casi, senza alcuna prova, senza citare alcuna fonte scientifica.

Qualche perplessità se l’è lasciata sfuggire persino il Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), Giovanni Rezza. In un’intervista nel 201431 sull’argomento ha risposto così alla giornalista italiana Gioia Locati: “

  1. Locati: “Conferma che sono 8.000 i decessi all’anno dovuti a complicazioni da influenza?

G Rezza: “è un dato ISTAT: la stima si riferisce ai morti per malattie cardio-respiratorie nel periodo dell’influenza”.

G.L: “Allora, nel conto, ci sono anche i malati di cuore che non hanno preso l’influenza.”

G.R.: “Esatto”

G.L.: “E, nel conto, ci sono anche le persone che si sono vaccinate ma sono morte d’infarto.”

  1. R.: “Esatto”.

È essenziale però capire come si sia arrivati a questi grandi numeri.

Prima operazione: per ottenere un “rimpolpamento” dei dati sono state accorpate la mortalità per “influenza” e quella per polmonite, come mostrato nel grafico riportato come esempio. Tale grafico si riferisce alle statistiche italiane del 2012, ed è stato pubblicato nel 201432. La bronchite e la polmonite batteriche sono effettivamente possibili complicazioni della malattia, specie in soggetti defedati, ma la maggior parte delle volte sono facilmente curabili con antibiotici. Sicuramente non tutte le morti per polmonite sono complicanze causate da un’influenza33.

In Austria, dove la copertura del vaccino per l’influenza è meno della metà di quella italiana34,35, anche il tasso di mortalità per influenza e polmonite36 è molto più basso. Questo confronto è rivelatore e potrebbe essere considerato quale singolo argomento decisivo, sufficiente per giudicare questa misura preventiva.

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Figura 5: Le 15 cause principali di morte in Italia, nel 2012 (L’ ‘influenza’ è stata fatta rientrare tra la prime 15 cause di morte ‘sulle spalle poderose’ di tutte le polmoniti32. Da sola, con poche decine di casi all’anno (fino ad un massimo di poche centinaia), sarebbe sparita dalla vista e dall’attenzione33).

Seconda operazione: EuroMOMO (Agenzia europea deputata espressamente a trovare correlazioni tra influenza ed eccesso di mortalità)37

La insostenibilità del voler accorpare l’influenza a tutte le polmoniti ha indotto a trovare una soluzione migliore. In base a calcoli statistici, è stata tracciata una linea di ‘mortalità attesa’ da EuroMOMO. Durante l’inverno, quando gira l’ ‘influenza’, se si registra una mortalità superiore a quella attesa, allora tale eccesso (per tutte le cause) viene attribuito alla malattia. La concomitanza dei due eventi fa scattare l’attribuzione automatica di associazione causale!

Tali speculazioni a prima vista sembrano giustificate.

Già ad un’analisi meno superficiale ci si rende conto come tali speculazioni siano forzate. In alcuni casi vi è l’ammissione degli stessi ricercatori. In una pubblicazione dell’ECDC (European Centre for Disease Control) del 2015, riguardante l’eccesso di mortalità tra gli anziani38, gli autori scrivono:

“L’aumento di un eccesso di mortalità non specificata coincide con una proporzione aumentata di ‘influenza’ in Europa. […] “Ma fattori diversi dall’influenza, che includono altre infezioni del tratto respiratorio o condizioni dell’ambiente, possono anch’esse giocare un importante ruolo contributivo.

Ammettono a chiare lettere38 che in Svezia, ma soprattutto in Finlandia, si è presentata la presunta causa dell’eccesso di mortalità (circolazione di virus influenzali), ma questa non ha generato alcun presunto effetto (nessun eccesso di mortalità). È accaduto anche l’inverso: c’è stato in qualche periodo un eccesso di mortalità senza che fosse preceduto o accompagnato dalla presunta causa (diffusione dell’ ‘influenza’). Lo si può constatare visivamente nella Figura 638, con le situazioni anomale evidenziate dagli scriventi.

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Figura 6.Eccesso di mortalità: correlazione e correlazione inversa con un’alta circolazione del virus (Le incongruenze (vedi testo) sono cerchiate in rosso ed in grigio (bassa diffusione dei virus influenzali ed alta mortalità: cerchiato in grigio; alta circolazione virale e bassa mortalità: cerchiato in rosso, aggiunte alla Tabella originale) (Tavola 3)38.

Non essendoci in alcuni Paesi l’associazione cronologica attesa tra i due fenomeni, e poiché non è possibile pensare che i virus influenzali si comportino in modo tanto diverso in una nazione o nell’altra, la correlazione causale esclusiva si dimostra semplicemente infondata. L’Italia in questa classifica è assente.

Ma c’è dell’altro: durante una stagione invernale, quella 2013/14, “in Europa non venne visto nessun eccesso significativo di mortalità. In realtà, dati del network Euro Momo39 dimostrano che la mortalità era sotto il livello previsto di decessi.” “Tra gli anziani con età di 65 anni o più, il numero di morti fu di 5.607 sotto la linea base di previsione.” Ovvero 5.600 decessi in meno!

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Figura 7. Numero stimato di morti in eccesso (Euro MOMO) per fascia di età dalla stagione invernale 2009/10 alla 2013/14 (Le colonne grigie sopra la linea base rappresentano un eccesso di mortalità, quelle sotto la linea base (e cerchiate) una diminuzione rispetto la mortalità attesa39).

Quindi, se in quell’inverno nel corso dell’epidemia vi furono meno decessi, bisognerebbe coerentemente sostenere che l’‘influenza’ allora fu protettiva ed evitò migliaia di morti in Europa. Il che è palesemente assurdo ma dimostra bene quanto questi algoritmi siano inaffidabili.

Da notare che in Italia, nella stessa stagione (2013-2014) (Figura 7), vennero denunciati i soliti 8.000 morti in più, come negli anni precedenti e nei successivi. Il fatto che in Italia l’eccesso di mortalità, asseritamente dovuto all’ ‘influenza’, sia rimasto costante tra il 2009 ed il 2016 (8.000 casi), è un indice inequivocabile che tali numeri sono avulsi dalla realtà: inventati.

La validità dell’associazione tra eccesso di mortalità invernale e virus influenzali è stata attentamente analizzata da Lone Simonsen in uno studio pubblicato nel 2005 (e citato in maniera più estesa successivamente)40. “La mortalità in eccesso tra gli anziani fu analizzata negli Stati Uniti, dal 1968 al 2001, sia per la polmonite, che per tutte le cause di mortalità, per 33 stagioni consecutive”. Conclusero che “meno del 10% di tutte le morti invernali erano attribuibili all’influenza in ciascuna delle 33 stagioni esaminate”.

L’eccesso di mortalità può essere dovuto a diversi fattori, oltre alle sindrome influenzali.

Equivoco n° 3: sulla efficacia del vaccino (Cochrane Review, Influenza australiana, vaccino negli anziani)

Le revisioni di tutti gli studi pubblicati sugli effetti del vaccino antinfluenzale nelle varie popolazioni, effettuati dalla Cochrane Collaboration, ente indipendente, punto di riferimento autorevole nel mondo della ricerca, rivelano un beneficio scarso o nullo, delle vaccinazioni. Tali revisioni non sono state scientificamente confutate, ma confermate da altri41.

1) Nel caso di vaccini per prevenire l’‘influenza’ in bambini sani, gli autori concludono così: “La revisione ha dimostrato che la prova attendibile (sull’efficacia dei) vaccini antinfluenzali è lieve, ma ci sono prove di una diffusa manipolazione delle conclusioni e spuria notorietà degli studi. Il contenuto e le conclusioni di questa revisione dovrebbero essere interpretati alla luce di questa constatazione.”

“Non poterono essere svolti confronti sulla sicurezza, sottolineando la necessità di standardizzazione dei metodi e la presentazione dei dati sulla sicurezza del vaccino in studi futuri. In casi specifici, i vaccini antinfluenzali sono stati associati a gravi danni come la narcolessia e convulsioni febbrili. È stato sorprendente scoprire solo uno studio riguardo il vaccino inattivato nei bambini sotto i due anni, date le attuali raccomandazioni per vaccinare i bambini sani dai sei mesi di età negli Stati Uniti d’America, Canada, parti d’Europa e in Australia”42.

2) Nel caso di adulti sani, la conclusione degli Autori è: “I vaccini antinfluenzali hanno un effetto molto modesto nel ridurre i sintomi dell’influenza e i giorni lavorativi persi dalla popolazione in generale, incluse le donne incinta. Nessuna prova di associazione tra vaccinazione antinfluenzale ed eventi avversi gravi è stata trovata negli studi comparativi considerati nella revisione. Questa recensione contiene 90 studi, 24 dei quali (26,7%) sono stati finanziati totalmente o parzialmente dall’industria. Dei 48 RCTs, 17 sono stati finanziati dall’industria (35,4%)”43.

3) Nel caso di soggetti affetti da fibrosi cistica, gli Autori attestano: “Non ci sono attualmente prove da studi randomizzati che il vaccino influenzale somministrato a persone con fibrosi cistica sia loro di beneficio. Rimane la necessità di uno studio clinico ben costruito, che valuti l’efficacia della vaccinazione contro l’influenza su importanti misure di outcome clinici” 44.

4) Negli anziani: “La prova disponibile è di scarsa qualità e non fornisce alcuna indicazione in merito alla sicurezza o all’efficacia dei vaccini contro l’influenza per le persone dai 65 anni o più. Per risolvere l’incertezza, dovrebbe essere intrapreso uno studio randomizzato, controllato con placebo su più stagioni, finanziato con fondi pubblici e di adeguata potenza dimostrativa” 45.

5) Negli adulti immunodepressi con neoplasie maligne, “dati osservazionali suggeriscono una mortalità più bassa con la vaccinazione antinfluenzale. Esiti correlati alle infezioni sono stati inferiori o simili a quelli con vaccinazione antinfluenzale. La forza delle prove è limitata dal piccolo numero di studi e dal fatto che solo uno era un RCT. La vaccinazione antinfluenzale è sicura, e la prova, anche se debole, è a favore della vaccinazione degli adulti con tumore sottoposti a chemioterapia”46.

6) Nei pazienti con malattia cardiovascolare, “la vaccinazione antinfluenzale può ridurre la mortalità cardiovascolare e di eventi cardiovascolari combinati. Tuttavia, tali studi hanno riscontrato un maggior rischio di confondimento, ed i risultati non sono stati sempre coerenti, così sono necessarie prove di maggiore qualità per confermare questi risultati. Non erano disponibili abbastanza prove per stabilire se la vaccinazione antinfluenzale avesse un ruolo da svolgere nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari o meno” 47.

Epidemie influenzali in Australia

Per motivi geografici la stagione fredda e l’epidemia influenzale in Australia anticipano quella europea (e italiana) di sei mesi. Il vaccino distribuito nell’emisfero Sud è lo stesso proposto nell’emisfero Nord (Italia inclusa)48  e la composizione viene stabilita un anno prima. Nei bollettini australiani sono raccolti dati non ritrovabili, se non parzialmente, nelle pubblicazioni italiane. Sull’ “Australian Influenza Surveillance Report” dell’ottobre del 2016 gli Autori scrivono che sintomi e assenze dal lavoro sono stati registrati approssimativamente in egual misura tra i vaccinati e non:

Per esempio, nella settimana terminata il 15 ottobre 2017, “In tutta l’Australia, febbre e tosse fu riportata dal 1,2% dei partecipanti vaccinati e dal 1,1% dei partecipanti non vaccinati. Febbre, tosse e assenza dalle normali attività fu riportato dall’0,9% dei partecipanti vaccinati e dall’0,7% dei partecipanti non vaccinati. Circa il 63% dei partecipanti avevano ricevuto il vaccino stagionale49.”

A conclusione della stagione, “nel 2016, 92 morti associate all’influenza sono state riportate dal Servizio Sanitario Australiano (NNDSS). […] L’età media dei decessi era 80 anni (intervallo compreso tra 0 a 99 anni)50”. Nel 2017, 598 morti associate all’influenza sono state notificate al NNDSS. La maggior parte delle quali erano dovute all’influenza A (78%, n=466). L’età media dei decessi notificati era di 85 anni (intervallo compreso tra 0 e 107 anni)”51. Tra l’altro, il vaccino ebbe un effetto molto scarso sui virus del sottotipo A52, specialmente sugli anziani. Dati simili sono stati riferiti nei precedenti report. Per il 2017 i risultati dell’intera stagione sono riportati nella Figura 8.

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Figura 8. Lievi differenze tra vaccinati e non vaccinate in Australia (2017) (Vaccinati (linea celeste) e non vaccinati (linea rossa) contraggono le ILI (‘sindromi influenzali’) in misura simile49).

Risultati simili sono stati raggiunti dal Canada53 in un istituto di lungodegenza sia tra i residenti (VE: 7,9%) che lo staff (VE negativo: -52%).

In Italia è stato effettuato uno studio caso-controllo2 in cui è stata valutata l’efficacia del vaccino (VE) contro l’influenza. Nella stagione 2010-2011, si è visto che era del 52,1% (CI95%: 39,6 – 61,9). Nella stagione 2011-2012, il VE era del 4,5% (CI95%: -17,6 – 22,5). È interessante notare che nel 2011-2012 il VE fu piuttosto negativo in soggetti di età ≤ a 65 anni (-178,2) con CI95%: -246 – 123,7, confermando così l’inaffidabilità degli effetti dei vaccini.

Studio Simonsen

Sulla base dell’osservazione che la pratica vaccinale era andata aumentando progressivamente negli USA, un gruppo di ricercatori volle controllare se la stessa aveva comportato una riduzione della mortalità degli anziani in 33 stagioni invernali consecutive, dal 1968 al 200140. Ne riportiamo alcuni passi chiave:

“La copertura vaccinale per l’influenza nel gruppo di fascia d’età dai 65 anni in poi, negli Stati Uniti è aumentata tra il 15% e il 20%, prima del 1980, al 65% nel 2001.”

“Il marcato declino delle morti correlate all’‘influenza’ tra persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni negli anni immediatamente dopo che emersero i virus A (H3N2) nella pandemia del 1968 fu dovuto, molto probabilmente, all’acquisizione dell’immunità naturale per questi virus. A causa di questo forte effetto d’immunizzazione naturale, dal 1980, relativamente poche morti avrebbero potuto essere prevenute nel gruppo di questa fascia d’età (circa 5000 l’anno). Noi trovammo uno schema simile nei tassi di mortalità correlata all’influenza anche tra persone di età tra i 45 ed i 64 anni (Figura 4), un gruppo d’età con una copertura vaccinale sostanzialmente più bassa.” […]

“I nostri riscontri, che la mortalità correlata all’influenza tra i più anziani non diminuì dopo il 1980, può essere spiegata con il fallimento di questo gruppo nel rispondere efficacemente al vaccino. Questa possibilità è supportata da uno studio immunologico che trovò che la risposta anticorpale conseguente alla vaccinazione influenzale declina rapidamente dopo i 65 anni, e un trial clinico che coinvolgeva soggetti di 60 anni o più trovò che l’efficacia del vaccino antinfluenzale nel prevenire l’influenza era minore in persone di età superiore ai 70 anni”. […]

“Se la vaccinazione riducesse la mortalità correlata all’influenza del 70 – 80%, allora l’aumento percentuale di 50 punti nella copertura vaccinale tra gli anziani dopo il 1980 avrebbe dovuto ridurre sia l’eccesso di mortalità per polmonite ed influenza, che l’eccesso di mortalità per ogni altra causa di circa il 35 – 40%. Noi non trovammo alcuna prova per indicare che tale riduzione avvenne né nell’eccesso di mortalità per polmonite ed influenza né in quello per ogni altra causa in nessun gruppo di età degli anziani.”

I ricercatori perciò conclusero:

“Noi non potemmo correlare l’aumento della vaccinazione dopo il 1980 con una diminuzione della mortalità in nessun gruppo d’età.”

In una review pubblicata successivamente54 e nella quale era ricercata proprio la risposta anticorpale alla vaccinazione antinfluenzale negli anziani, gli Autori trovarono “prove coerenti che le risposte immunitarie alla vaccinazione declinano in modo sostanziale con l’età”. Tuttavia tale problema non era stato affrontato adeguatamente fino ad allora dai ricercatori di tutto il mondo: “Fummo sorpresi nel trovare che solamente 3 studi su 31 avevano presentato risultati per gruppi d’età per i partecipanti più anziani. Perciò, al fine di caratterizzare la verosimile dipendenza della risposta vaccinale dall’età, noi proponiamo che studi futuri riportino la risposta vaccinale negli anziani con incrementi di 10 o 5 anni.”

Le conclusioni di Simonsen sono state confermate da Peter Doshi, che ha visto che la mortalità non cambiava di molto nemmeno durante le più temute pandemie del passato (es. quelle delle stagioni invernali 1957-1958 e 1968-1969)55.

Equivoco numero 4: La composizione dei vaccini con “nuovi virus”.

Si ritiene che i vaccini contengano i virus più recenti, quelli che sono comparsi e sono destinati a diffondersi per la prima volta, invece non è così. La preparazione dei vaccini deve iniziare almeno 6 mesi prima che arrivino sugli scaffali delle farmacie: questo è il tempo necessario per decidere di quale vaccino, quale preparazione, quale produzione, quale distribuzione ci sia bisogno. Il vaccino australiano deve essere pronto 6 mesi in anticipo rispetto a noi, in Aprile. Curiosamente è sempre uguale a quello Europeo, nella sua composizione, ogni anno48. Perciò comprendiamo come nei vaccini possano essere presenti solo virus che siano circolati nel passato e che gli esperti presumono possano essere i protagonisti delle successive stagioni fredde. Nell’anno corrente (2017-2018), l’isolato virale più recente è del 2015. Sotto viene riportata la composizione, con l’anno del primo isolamento:

 antigene analogo al ceppo A/Michigan/45/2015 (H1N1)pdm09;

– antigene analogo al ceppo A/Hong Kong/4801/2014 (H3N2); e

– antigene analogo al ceppo B/Brisbane/60/2008.

(Si raccomanda che i vaccini quadrivalenti contenenti due virus dell’influenza B contengano i tre virus sopra riportati e un antigene analogo al ceppo B/Puket/3073/2013.)

Perciò, nei vaccini ci sono antigeni di un virus isolato nel 2008, uno nel 2014, e uno nel 2015 (e il quarto nel 2013).

Come già successo negli anni precedenti, gli esperti dell’OMS hanno anticipato già nel settembre 2016 che l’epidemia di influenza (ancora da venire) nella stagione invernale australiana (Aprile – Settembre) 2017 avrebbe coinvolto esattamente questi ceppi. Quindi gli esperti dell’OMS, nel marzo 2017, anticiparono che gli stessi ceppi si sarebbero trasferiti nell’emisfero Nord e si sarebbero diffusi nella stagione invernale 2017-2018-

Se queste predizioni dell’OMS si realizzeranno, anche i vaccini avranno in Europa la stessa efficacia che hanno avuto in Australia. Ora sappiamo che l’efficacia è stata bassa, solo del 33% (95% CI 17-46)52. Sorprendentemente, l’efficacia nel gruppo al quale era principalmente rivolto (persone di età >65 anni) fu del -0,3%, che significa che nemmeno un malato di ILI fu risparmiato tra gli anziani che hanno ricevuto il vaccino antinfluenzale.

Osservazioni simili furono fatte da Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazione delle Malattie Infettive ed Allergiche, Istituto Superiore di Sanità degli Stati Uniti d’America. Sulla VE efficacia vaccinale nel 2017, in Australia, egli scrisse: “Rapporti provvisori suggeriscono che l’efficacia vaccinale del 10% contro il virus A (H3N2) dell’influenza A (H3N2) non era attribuibile principalmente alla mancata corrispondenza antigenica tra il ceppo vaccinale e i virus circolanti”57. Soprattutto: “Dato che… la composizione del vaccino dell’emisfero Nord del 2017-2018 è identica a quella usata in Australia, è possibile che anche noi sperimenteremo una bassa efficacia del vaccino contro i virus dell’influenza A (H3N2)…”

Discussione

La terminologia equivoca utilizzata per le epidemie e le pandemie influenzali è utile alle autorità sanitarie italiane al fine di amplificare un piccolo problema sanitario e rappresentarlo come una minaccia pubblica. La stessa strategia è portata avanti dagli esperti dell’OMS ed è perseguita in tutti i continenti1 . La definizione di pandemia è stata modificata dall’OMS nel 2009, consentendo così una fase più elevata di allarme (fase 5 o anche 6, il massimo) che è stata adattata per l’influenza58. L’obiettivo inequivocabile è quello di promuovere una strategia di vaccinazione sempre più ampia basata su false premesse59, cioè sulla prestazione del vaccino (VE dell’80%) che non è mai stata raggiunta in passato57, sull’obbligatorietà59 e sull’istigazione alla paura60. La fase 6 dell’allarme dell’OMS fornisce la scusa per decidere l’obbligo vaccinale per popolazioni intere.

Le persone anziane sono l’obiettivo principale della vaccinazione antinfluenzale annuale.

Va osservato che la vaccinazione è meno efficace se effettuata: a) ogni anno, b) in tarda età, c) in casi in cui siano presenti altre condizioni morbose croniche. Purtroppo l’efficacia risulta minore proprio laddove sarebbe più necessaria. In compenso, ogni anno la popolazione anziana viene colpita da malattia influenzale in percentuali minime, dallo 0,33 a 0,52% (tabella 2). Una delle ragioni sta sicuramente nel fatto che essi sono già protetti verso virus circolanti nel passato (cioè con derive antigeniche minori), e che non ci sono virus “nuovi” (cioè con importanti cambiamenti antigenici) da molte decine di anni. Ovviamente la salute inevitabilmente viene compromessa con l’avanzare dell’età (in Italia ci sono circa 18.000 ultracentenari)61 e perciò qualsiasi inconveniente, quindi anche l’influenza, potrebbe aggravare la loro situazione. Ma in questo contesto il fattore causale principale è dato dalle condizioni sanitarie di base e dalla stessa senescenza (“senectus ipse morbus” dicevano i latini). Senescenza che colpisce anche il sistema immunitario e che perciò diventa meno responsivo, anche ai vaccini. In tale situazione, il pronto utilizzo di antibiotici per eventuali complicazioni batteriche è la miglior soluzione.

Vale la pena ricordare i risultati del già citato2 studio italiano che aggiunge un’ulteriore analisi in merito. I ricercatori hanno riscontrato prestazioni modeste per le persone anziane (+ 50%) e risultati molto negativi per le persone di età pari o inferiore a 64 anni (-178%). Questa cifra è stata ottenuta per la stessa stagione, contro gli stessi virus circolanti e con gli stessi vaccini. Questa ampia differenza consente di concludere che questa misura preventiva è del tutto imprevedibile: come si potrebbe altrimenti spiegare questa vasta gamma di risultati?

Nel presente riesame, non abbiamo considerato i possibili effetti avversi della vaccinazione antinfluenzale, effetti emersi negli anni passati e che vengono anch’essi a pesare negativamente sulla valutazione complessiva della misura preventiva.

Forse le ragioni di questa politica sanitaria sono almeno parzialmente dovute ad interessi privati di molti di coloro che decidono.

I sostenitori della vaccinazione che ricoprono ruoli pubblici importanti non dovrebbero avere conflitti di interesse. Al contrario, anche il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), Walter Ricciardi, direttore dell’Osservatorio Salute, è sponsorizzato da compagnie farmaceutiche62, ei suoi conflitti sono debitamente riportati nella sua stessa dichiarazione63. Pasqualino Rossi ha rappresentato l’Italia all’Agenzia europea dei medicinali (EMA) dal 2015, nonostante sia stato catturato con una tangente in mano, mentre prestava servizio come presidente dell’AIFA, nel 200864. Il dott. Enrica Alteri è stato nominato responsabile EMA per la sicurezza e l’efficacia nel 2012, dove ha un ruolo chiave nell’introduzione della legislazione sulla farmacovigilanza, nonostante lavorasse per le industrie farmaceutiche e suo marito sia un consulente a contratto per Merck-Serono65.

Conclusione:

L’allarme mediatico per l’epidemia influenzale viene sostenuto con la divulgazione di dati fuorvianti forniti alla stampa senza filtro critico. L’epidemia influenzale viene gonfiata di 10 volte o più. Il numero di anziani colpiti ogni anno varia da 40.000 a 66.000 su una popolazione di oltre 13 milioni di soggetti (età >64 anni). Pertanto, solo un numero molto esiguo di persone anziane è colpito dall’‘influenza’ ogni anno (in percentuali che vanno dallo 0,33% allo 0,52% negli ultimi anni). La mortalità relativa si limita a qualche decina di casi, per lo più anziani di oltre 65 anni affetti da patologie croniche66. Nessuna prova consistente supporta le presunte migliaia di morti dovute a complicazioni influenzali e i dati disponibili sono in contrasto con l’affidabilità di tali stime. L’esempio paradigmatico è dato dalla situazione austriaca, dove la copertura vaccinale è la metà di quella dell’Italia. Nonostante ciò, mostrano una mortalità ridotta sia per l’influenza che per la polmonite rispetto all’Italia.

L’efficacia del vaccino è scarsa, come dimostrato dalla Cochrane Reviews, dai rapporti epidemiologici australiani, dai dati italiani, dai dati austriaci e dallo studio di Simonsen, che ha dettagliato questo problema analizzando 33 stagioni influenzali consecutive negli Stati Uniti. Il vaccino antinfluenzale (che può contenere solo virus non recenti) è raccomandato in modo particolare agli anziani. Ma più è avanzata l’età, più spesso viene ripetuto, e meno è efficace. Ciò è confermato dalla recente stagione invernale (2017) in Australia, dove l’efficacia del vaccino è stata molto deludente52,57.

Da 9 a 11,4 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale vengono somministrate ogni anno in Italia, di cui circa 7 milioni agli anziani66, che sono considerati l’obiettivo principale. L’obiettivo dichiarato dalle autorità sanitarie italiane è di estendere la vaccinazione ad almeno il 75% degli anziani (e ad altre categorie)67, che in Italia corrisponde a circa 10 milioni di vaccini solo per questa fascia di età. Su queste cifre, ciò significa che sarebbero necessari circa 400 vaccini per risparmiare una malattia per le persone di età pari o superiore a 65 anni, di cui pochissimi sono solitamente colpiti (e supponendo che un’efficacia molto irrealistica del 50%). In realtà l’efficacia del vaccino si è rivelata molto più bassa, ad esempio era inferiore allo 0 (-0,3%) per gli anziani in Australia nel 2017. Lì hanno usato lo stesso vaccino destinato agli europei per la stagione invernale 2017-2018.

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