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“Hiv” e la farsa del 1 dicembre: giornata mondiale del virus inesistente

LE BUGIE DORATE DEI VERI NEGAZIONISTI
Sfatata l’intervista di Agnoletto.

“Hiv/aids”
hiv1

 Conferenze annunciate senza alcuna prova scientifica; documenti contraffatti; uomini di “scienza” denunciati per frode scientifica e nessuna foto di questo fantomatico virus; test fasulli e terapie e farmaci che non salvano da nulla.

Diagnosi che cambiano da paese a paese,insomma,più di qualcosa non collima e vediamo chiaramente il tentativo di omettere la veridicità dei fatti.

Tuttavia HIV “causa” l’AIDS
Annunciare una scoperta scientifica in una conferenza stampa? Si può fare.

Nel 1984, Robert Gallo e Margaret Heckler annunciarono proprio in questo modo la scoperta di un terribile “virus”  in seguito definito come AIDS.  

  • Tale conferenza venne effettuata prima che Gallo sottoponesse la sua ricerca e i suoi esperimenti alla comunità scientifica per poterne verificare la validità

La Heckler affermò che:

“la PROBABILE causa dell’AIDS” fosse stata individuata e che “un vaccino sarebbe stato pronto entro 2 anni”. ( e fu così che passarono gli anni).

Si,avete letto bene,un vaccino contro un virus che non si conosce.

Questa è logica del business dell’Aids.

Nonostante Gallo non fornì un singolo dato o esperimento scientifico a sostegno delle sue parole, tutto divenne una certezza: Hiv causa Aids.

  • 24 ore dopo il primo “test” ipoteticamente destinato all’individuazione degli anticorpi del “virus” nel sangue umano era già stato brevettato ed era pronto per essere venduto in tutto il mondo.

I documenti ufficiali che “provano” questa “scoperta” sono riportati nelle due pagine seguenti.

Ma Chi è Gallo?

1 doc hiv

Il giorno 26 marzo 1984 il dr. MATTHEW GONDA,il quale venne incaricato da Gallo di fotografare il “virus” al microscopio elettronico scrive allo stesso Gallo e alla sua équipe quanto segue:

  • “le particelle osservate sono solo FRAMMENTI DI UNA CELLULA DEGENERATA”
  • “NON CREDO AFFATTO CHE LE PARTICELLE FOTOGRAFATE SIANO IL VIRUS HTLV-3 (HIV)”.

Il collaboratore di Gallo, il Dr. MIKA POPOVIC scrisse nella sua ricerca che:

  • “nonostante intensi sforzi nella ricerca, l’agente patogeno causa dell’aids non è stato ancora identificato”.

Gallo, come si può notare nella bozza originale pronta per la pubblicazione su Science, depennò tale frase e la sostituì con una che affermava il contrario. E spedì il suo articolo alla rivista Science che lo pubblicò il 4 maggio del 1984.

2 doc hiv

Nel 2008, 37 scienziati inviarono una lettera a Science chiedendo che l’articolo del 1984 di Gallo venisse immediatamente ritirato poiché le prove di come fosse stato volutamente contraffatto erano tali da renderlo inaccettabile dal punto di vista scientifico e morale. Tale lettera è ancora in attesa di risposta.

  • E’ bene ricordare che lo stesso governo USA avviò vari procedimenti disciplinari contro GALLO con l’accusa di frode scientifica, come dimostrato dai documenti seguenti.
 ROBERT GALLO DENUNCIATO PER FRODE SCIENTIFICA DALL’ OFFICE FOR RESEARCH INTEGRITY, ACADEMY OF SCIENCE E INSTITUTE OF MEDICINE.

1

2 .

3 .

Nonostante tutto,Gallo brevettò il suo “test Hiv”, basato sulla metodologia ELISA, coprendolo però da segreto di brevetto e rendendo quindi impossibile verificarne il contenuto e il funzionamento preciso.

Montagnier :” Non abbiamo né isolato né purificato il virus. Con un buon sistema immunitario si può debellare il virus entro un paio di settimane”.

Sconvolgente?

No,reale,queste le affermazioni dello stesso Luc Montagnier (Nobel  per la medicina nel 2008 per la “scoperta” dell’Hiv” al contrario di Gallo).

Nello stesso periodo Luc Montagnier affermava di aver scoperto per primo l’ Hiv.

Nacque un contenzioso giuridico tra USA e Francia che si concluse con un accordo tra Chirac e Reagan in cui si decise che tutto il malloppo sarebbe stato diviso tra i due paesi. Ancora oggi Gallo e Montagnier guadagnano per ogni test Hiv effettuato.

La verità e la menzogna

Nonostante le dorate bugie raccontate dai veri negazionisti è interessante dire due parole a proposito dei test i quali sono totalmente inattendibili.

Nei foglietti illustrativi dei medesimi, sono riportate le dichiarazioni degli stessi produttori i quali dichiarano che non esiste uno standard riconosciuto per poter confermare una diagnosi di infezione da hiv.

“I FANTOMATICI TEST”

Test Elisa

Definito test anticorpale di diagnosi di routine; se questo test risulta positivo, è obbligatorio effettuare un secondo test Elisa al paziente che, nel caso di un secondo risultato positivo, implica l’utilizzo di un altro test detto “di conferma” chiamato Western Blot.

test-elisa

“IL TEST CHE CAMBIA DA PAESE A PAESE”
Test Western Blot
  • Il Western Blot è costituito da 10 bande antigeniche che si ritengono specifiche del virus HIV. Ma in ogni paese del mondo il numero di bande necessarie alla conferma della positività del test è diverso. Si può essere positivi in Svizzera, dover le bande richieste sono 2, e negativi in Australia, dove le bande richieste sono 4In Africa la diagnosi di AIDS viene effettuata senza l’uso dei test,ma in base ai cosiddetti principi di Bangui, indicatori clinici aspecifici di infezione come febbre, dissenteria, perdita di peso. Questo in un paese in cui la malnutrizione e la mancanza di acqua potabile creano un numero di malattie note alla scienza da secoli e che nulla hanno a che fare con un virus. Inoltre, a rigor di logica, se le 10 proteine attribuite ad Hiv fossero specifiche di un unico e definito retrovirus esogeno bisognerebbe sempre averle tutte e 10.

western blot

“Test” PCR
  • Un terzo tipo di test genetico, chiamato PCR (Reazione a catena della Polimerasi), viene utilizzato per confermare e monitorare l’intensità dell’infezione Hiv in base al presunto numero di copie di virus per millilitro di sangue. Tale tecnica, inventata da Kary Mullis negli anni 90, e per la quale Mullis ottenne il premio Nobel nel 1993, è parte della screening diagnostico e prognostico delle infezioni da HIV; in base a questo test si decide quando, quanti e quali farmaci somministrare a vita al paziente. Ma lo stesso Mullis ha affermato che la sua tecnica “non è in grado di identificare virus”perché è una metodica di amplificazione aspecifica (Mullis stesso affermò “La PCR amplifica anche l’acqua”) di piccoli frammenti di codice genetico. I seguenti sono i foglietti illustrativi che accompagnano tutti i “test Hiv” ad oggi esistenti; il primo il tanto sponsorizzato “test hiv sulla saliva”.

PCR

FARMACI E TERAPIE (NON) “SALVA VITA”

Terapie farmacologiche basate su farmaci tossici e mortali (chiamati farmaci antiretrovirali-ARV) nei cui bugiardini, consultabili liberamente sul sito della FDA (Food and Drugs Administration) viene affermato che “non curano e non prevengono né l’infezione da Hiv né l’insorgenza dell’Aids” e che alcuni effetti collaterali degli stessi sono indistinguibili dalle manifestazioni cliniche di Aids (si veda l’immagine nella pagina seguente,, esemplificativa alcuni dei tanti farmaci ARV, fotografata direttamente dal sito americano www.fda.gov):
acabir

Azt label

L’etichetta del farmaco AZT, che anni fa veniva usato in monoterapia e attualmente si somministra alle donne  gravide e ai neonati per evitare di “trasmettere il virus” al nascituro(l’eventuale rifiuto di tale protocollo porta alla perdita della patria potesta’); inoltre tale veleno (venduto ancora in Italia con il nome di “Retrovir”) si usa ancora in combinazione con altri farmaci: 

  • PERICOLO DI MORTE 
  • “Tossico per inalazione, in contatto con la pelle e se deglutito”.

Un esempio di uno dei farmaci più usati per “curare” l’Hiv, chiamato ATRIPLA: ecco lo screenshot del suo foglio illustrativo (SI NOTI TRA GLI EFFETTI COLLATERALI COMUNI LA NEUTROPENIA, CHE SIGNIFICA IMMUNODEFICIENZA, CHE SIGNIFICA AIDS) :

4.

I farmaci e le terapie “salva” vita

Dalla rivista The Lancet, agosto 2006, uno studio sull’inefficacia e tossicità dei farmaci anti-hiv:

“IL RISCHIO DI MORIRE DI AIDS E’ AUMENTATO DA QUANDO SI USANO I FARMACI ANTI-HIV”

“HIV treatment response and prognosis in Europe and North America in the first decade of highly active antiretroviral therapy_ a collaborative analysis – The Lancet”

  • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16890831

articoli

articoli1

“QUESTO FARMACO NON CURA E NON PREVIENE L’INFEZIONE DA HIV E NON NE IMPEDISCE LA TRASMISSIONE. QUESTO FARMACO PUO’ CAUSARE, CON I SUOI EFFETTI COLLATERALI, SINTOMI INDISTINGUIBILI DALLA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (EFFETTI COLLATERALI COMUNI: LEUCOPENIA=AIDS)”.

kivexa

Milioni di vittime nel mondo sono quindi morte a causa dei farmaci che dovevano curarle contrariamente a quello che dicono medici come Agnoletto a cui abbiamo dedicato ampio spazio alla fine dell’articolo .

Un esempio di uno dei farmaci più usati per “curare” l’Hiv, chiamato ATRIPLA: ecco lo screenshot del suo foglio illustrativo (SI NOTI TRA GLI EFFETTI COLLATERALI COMUNI LA NEUTROPENIA.

atripla

“Il farmaco Truvada, recentemente approvato come terapia “preventiva” in soggetti SIERONEGATIVI ma che si ritengono a rischio di contagio: come possa un farmaco che NON CURA chi è “malato” prevenire la “malattia” in chi è “Hiv negativo”, rimane un mistero “..

truvada1

truvada2

truvada 3

LETTERATURA?
  • Già nel 1985, proprio il futuro Nobel Montagnier mostrò sulla prestigiosa rivista Annals of Internal Medicine che un test Hiv positivo ritorna negativoe che un conteggio di cellule T4 basso torna normale attraverso la cessazione dei rapporti anali, ciò significa che il risultato positivo del test Hiv non è dovuto a un retrovirus:

annals 1

  • http://annals.org/article.aspx?articleid=699983

hiv 2 foto correlati

  • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17325620
  • http://www.annals.org/content/103/4/545.abstract

 

CONCLUSIONS: Non-AIDS deaths increased significantly during the ART era and are now the most common cause of in-hospital deaths; non-AIDS infection, cardiovascular and liver disease, and malignancies were major contributors to mortality

  • http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jhm.2409/abstract

Riteniamo pertanto giusto sottoporre diverse osservazioni ed un’analisi logica e scientifica delle affermazioni di Agnoletto nell’intervista del 21 novembre 2015 su tutte le menzogne e le omissioni fatte.

L’intervista inizia con la solita e oramai monotona  e scontata pantomima “L’AIDS c’è ancora. Oggi al mondo ci sono oltre 33 milioni di persone sieropositive”.

Ma Agnoletto inciampa subito: prima parla di AIDS, poi di sieropositività (ai “test HIV” su cui ritorneremo). Evidentemente non conosce la differenza o preferisce continuare a confondere le idee alla gente.

“I 2/3 dei malati vive nell’Africa subsahariana ”.

Qui la tematica diviene confusa tra l’AIDS e la malnutrizione; non si è mai visto un virus che colpisce solo una zona del pianeta, dove i problemi sono ben altri. Inoltre non è molto plausibile pensare che gli africani facciano più sesso degli altri abitanti del pianeta. Inoltre negli ultimi 20 anni, la popolazione nel Sud Africa si è duplicata e l’OMS dichiara che “The urban population growth, in absolute numbers, is concentrated in the less developed regions of the world“.

Strane discrepanze non crede  Agnoletto?

  • (fonti: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22303636 ; http://www.who.int/gho/urban_health/situation_trends/urban_population_growth_text/en/).

Inoltre Agnoletto non fa minimo cenno a tubercolosi, malaria, lebbra, parassitosi etc. che sono cause note e documentate di “positività” al “test Hiv” .

  • (fonte: Kashala O, Marlink R, Ilunga M, et al. Infection with human immunodeficiency virus type 1 (HIV-1) and human T cell lymphotropic viruses among leprosy patients and contacts: correlation between HIV-1 cross-reactivity and antibodies to lipoarabinomannan. Infect. Dis. 1994; 169:296-304).

Inoltre dimentica anche di dire che, sempre secondo l’OMS, la popolazione mondiale supera ormai i 7 miliardi di persone: http://www.worldometers.info/world-population/.

Bene, quando scoppiò “l’epidemia di AIDS” eravamo circa 3 miliardi in meno. Imbarazzante.

Oltre a questo,è bene ricordare che in Africa è possibile fare “diagnosi” di AIDS SENZA SOMMINISTRARE “TEST HIV” ma usando solo i “Criteri di Bangui”, criteri aspecifici come perdita di peso, dissenteria e febbre (esatto, come avere un’influenza).

Ognuno studia statistica e fa epidemiologia a modo suo evidentemente.

In arrivo il copione firmato “Bad Pharma”

Le “terapie” e la tragedia che gli Africani non possono accedere ai farmaci anti-HIV.. Farmaci che, come dimostrato con i fogli illustrativi degli stessi e con studi scientifici pubblicati, non curano e non prevengono nulla, ma uccidono.

Insufficienza epatica, infarto e immunodeficienza. Sono gli effetti collaterali comuni di tali farmaci.

E che effetto potrebbero mai fare tali veleni soprattutto su un africano che magari già di suo ha un sistema immunitario devastato dalla malnutrizione?

Agnoletto, Lei pur essendo medico è quindi convinto che somministrare antiretrovirali a soggetti immunocompromessi e denutriti sia positivo, utile e necessario?

Non ci preoccupiamo quindi di dargli cibo e acqua e di curare le malattie reali e realmente curabili, ma di dargli i farmaci “anti-virus-che-non-esiste”, quei farmaci che Lei stesso definisce la panacea contro tutti i mali?

La medicina e la logica: queste sconosciute.

Continuando a spulciare nell’intervista, notiamo che ad un certo punto,Agnoletto afferma che in Italia bisogna “investire sulla prevenzione perché tutti i sieropositivi SOTTO TERAPIA vivono a lungo e quindi possono infettare più persone”.

Sorvolando sulla totale assenza di logica di tale affermazione, quasi incomprensibile, in Africa invece per lui servono le terapie e non la prevenzione quindi. Viene anche da chiedersi perché alla gente viene detto che le terapie “riducono la carica virale e di conseguenza la possibilità di infettare il prossimo” visto che nei fogli illustrativi dei farmaci, come vedremo, è scritto che non ci sono prove al riguardo. Coerente e chiarissimo, non c’è che dire. Agnoletto sa chi scrive i fogli illustrativi di farmaci e test? Pare di no.

Questione “Vaccino”.  Abbiamo aspettato poco più di trent’anni.

LE CONTRADDIZIONI DELL’IGNORANZA.

Agnoletto dimentica di dire che il vaccino serve a creare anticorpi. Ma che la “diagnosi” di Hiv viene proprio confermata tramite la presunta l’individuazione di anticorpi.

Quindi se mai esistesse un vaccino, un “vero sieropositivo” sarebbe indistinguibile da un “falso sieropositivo vaccinato”. E sorvoliamo sul fatto che tali test scrivono a chiare lettere che NON SONO IN GRADO DI STABILIRE LA PRESENZA/ASSENZA DEGLI ANTICORPI HIV NEL SANGUE UMANO.

Conclusioni

Affermazioni inesatte e confuse sentite fino alla nausea e ripetute come un mantra. Agnoletto se la prende con le stesse istituzioni che mantengono la sua LILA da decenni?

Conferma una tesi per poi smentirla poco dopo.

Dice una cosa e afferma poco dopo il contrario. E la carovana delle menzogne va avanti. Verso il burrone.

Né sì né no. Né pro né contro. Senza arte né parte.

Infine, ci complimentiamo ancora con Agnoletto; deve essere un vero onore per lui aver scelto e ottenuto proprio Robert Gallo come autore della prefazione del suo libro.

Già, un privilegio raro, avere Robert Gallo, uno “scienziato” più simpatico che colto, colui che ha falsificato i suoi articoli scientifici pubblicati su Science nel 1983 depennando la frase in cui il co-autore Matthew Gonda ammetteva “non c’è nessun virus che causi l’AIDS”.

Sì, Gallo, che in un processo in Australia nel 2007 ha ammesso che “L’HIV NON CAUSA L’AIDS”.

COERENZA,QUESTA SCONOSCIUTA.

Ma niente di cui stupirsi, lo ha affermato  anche il Nobel Montagnier ed è stato pubblicato da ricercatori eccelsi in tutto il mondo.

Ma avere la prefazione di un criminale, per puntare il dito contro altri suoi simili (ricordiamo che Barbara Ensoli fu allieva di Gallo e il libro di Agnoletto, anche se nell’intervista non fa nomi, è proprio contro la Ensoli), non è una mossa di cui una persona corretta e seria, come Agnoletto ama auto-presentarsi (con pessimi risultati) andrebbe certo fiera. Partners in crime?

Ed eccole come sempre qui, ogni anno sotto il 1 dicembre.

Ecco le galline dorate che schiamazzano nel loro pollaio, le une contro le altre, perché il malloppo pantagruelico di soldini e soldoni tra mazzette e massoni ormai é agli sgoccioli e la colpa a qualcuno bisogna pur darla. Presenti esclusi, ça va sans dire. Ma è difficile trovare il capro espiatorio, perché il colpevole (così come l’invisibile, introvabile, infotografabile “virus Hiv”) non si trova da nessuna parte. E’ sempre colpa di qualcun altro. I cani si mordono la coda, le oche le piume.

Tutti impegnati a puntare il ditino, ad impartire lezioni di moralità ed etica al clan di bugiardi di cui han fatto e continuano a far parte.

Lo stesso Agnletto è troppo impegnato anche per parlare di Montagnier, le cui ammissioni e anche prestigiosi articoli scientifici ormai molti conoscono.

“Possiamo prendere l’Hiv tutte le volte che vogliamo, tanto un buon sistema immunitario ERADICHERA’ IL VIRUS HIV IN POCHE SETTIMANE. Sto dicendo cose ben diverse da quelle che siete abituati a sentire, non è vero?”.

Già, lo ha detto Montagnier ad un giovane, brillante e stupito giornalista, “lo psicologo canadese Brent Leung, nella sua celebre intervista in “House of Numbers”.

Un’intervista e delle parole che sulla comunità (anti)scientifica di cui anche Agnoletto si vanta di far parte quando gli conviene, è suonata come il più spaventoso degli anatemi. Eh sì, Montagnier non ha retto e ha confessato tutto. Già il vecchio Luc, il più grande esperto mondiale di “Hiv” ha vuotato il sacco. Come deve ridersela Sigmund Freud.

Ma dobbiamo dirlo, Luc ci provò già nel lontano 1985 a far capire che ci si trovava sulla scena di un film horror (tanto ben diretto quanto mal realizzato) quando dimostrò su Annals of Internal Medicine che da “sieropositivi” si torna “sieronegativi”. Almeno Luc, goffo e sorridente, è stato coerente. Ha pubblicato, detto e ripetuto la verità,omessa da tutti.

Di questo Agnoletto non ha tempo di parlare, troppo preso dal salvare la sua LILA che ormai chiude le sedi perché ci sono pochi soldini da spartire. Colpa delle istituzioni dice Agnoletto. Certo, e magari anche della Magistratura che sa tutta la verità su questo scandalo.

Insomma, Agnoletto ha perso una buona occasione per fare un’ennesima pessima figura. Ma una vera verità l’ha dipinta discretamente: lui, Gallo, Ensoli, Aiuti altro non sono che una bella famigliola che si assecondava finchè serviva, finchè i miliardi volavano come le penne di un’oca scotennata. Una famigliola che, finito il malloppo, si accusa, insulta, denuncia, prende e riprende e offende. Come in un oratorio. Una famigliola da telenovela che si autodistrugge.

La fine della menzogna del secolo, quindi, creata e perpetuata dai media e da questi personaggi che dicono di avere solo a cuore il bene del prossimo, che fondano associazioni “senza scopo di lucro” ma con profumati sospetti di conti bancari alle Cayman, avrà come artefici loro stessi.

In attesa che il sipario dorato cali per sempre, che le galline smettano di schiamazzare e che la loro carovana dorata si imbrunisca e svanisca noi ci teniamo pronti a goderci la scena.

 

 

 

 

 

 

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L’intervista al premio Nobel Montagnier,tanto temuta e omessa dai vertici

HIV E LA FRODE SCIENTIFICA DEL NOSTRO SECOLO

Luc Montagnier dichiara:

“Hiv? Non abbiamo purificato né isolato il virus”.

montagnier non abbiamo purificato

 

“Possiamo essere esposti all’HIV molte volte, senza infettarci in maniera cronica. Il nostro sistema immunitaro ERADICHERA’ il virus in poche settimane”.

Sconvolgente?

No, perché tutto ciò è stato pubblicato da moltissimi anni sulle più prestigiose riviste del mondo. E tutto ciò, da scienziati che non sono “negazionisti/dissidenti”.

Per questo motivo certi poteri, imbarazzati e impotenti nei loro salotti dorati, non sanno più cosa inventarsi per far rimangiare al povero PREMIO NOBEL MONTAGNIER quello che ha detto. Peccato che lo abbia detto, ridetto, e pubblicato…

(articoli e correlati nei commenti)

 

A dimostrazione di quanto detto, di seguito postati due interessanti articoli.

 

annals 1

  • http://annals.org/article.aspx?articleid=699983

 

hiv 2 foto correlati

  • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17325620

 

“I FANTOMATICI TEST”

 

Test Elisa

 

test elisa

 

Test Western Blot

 

10 doc hiv

 

Test PCR

 

11 hiv doc

 

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“AIDS: i veri Negazionisti ai vertici istituzionali e governativi”

Il seguente articolo riporta una verità certa e conclamata, dichiaratamente ammessa dai fautori di tutto ciò.

Due punti caratterizzano lo studio che andremo a sviscerare:

  • La totale aspecificità dei “test HIV” e la natura NON VIRALE delle proteine, che sono tutte cellulari come dimostrato dalla letteratura scientifica;
  • L’ammissione (del Premio Nobel Montagnier e da altri eminenti scienziati come Bess e Glederblom) di NON aver mai purificato il virus; ammettendo ciò si dichiara che tale virus NON ESISTE ; il tutto viene confermato dai più grandi retrovirologi al mondo.

Questo non è Negazionismo ma verità supportata da evidenze reali.

 hiv completo

 

Prima di proseguire con la lettura dell’articolo,vi invitiamo a scaricare la documentazione di seguito postata:

 

IMPLICAZIONI MORALI, ETICHE E POLITICHE DELLA RICERCA SULL’AIDS.                                                                                                                               UN ALLARME SOCIALE, IL TERRORE MEDIATICO.                         “QUANDO LA COMUNITA’ SCIENTIFICA CHIEDE LA VERITA’ AI VERTICI GOVERNATIVI SANITARI MA NON RICEVE RISPOSTA ALCUNA”.

La mancata  definizione della sieropositività riguardo i criteri italiani.

 Fin dal suo esordio negli anni 1981-85, l’Aids ha coinvolto tutti. Di fronte all’esplosione della malattia, ognuno ha dovuto ripetutamente valutare il suo comportamento in un’ottica morale, spesso con un alto grado di coinvolgimento emotivo, anche se negli ultimi anni l’iniziale emotività si è molto attutita, soprattutto per il fatto che la temuta grande epidemia non si è materializzata.

Questo motiva la “battaglia” contro la voluta disinformazione. Ci fermeremo quindi a contestualizzare i due aspetti, fondendoli assieme: panico del pubblico e richiesta di risposte mai arrivate da parte della comunità scientifica alla stessa comunità scientifica (un immenso paradosso).

Fino a quando queste massime autorità potranno permettersi il lusso di non rispondere concretamente?

Poiché la causa ufficiale dell’Aids è identificata in un retrovirus, è ai retrovirologi che bisogna guardare con particolare attenzione; per questa motivazione approfondiremo la tematica condividendo con i lettori un’interessante corrispondenza tra alcuni scienziati e i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità.

  • Siamo nei primi anni duemila ed un ricercatore italiano si vide costretto, non riuscendo a trovare una sola prova del reale isolamento del retrovirus HIV, a contattare una delle più grandi esperte nazionali in campo AIDS, la dr.ssa Barbara Ensoli (allieva di Robert Gallo e Direttrice del Laboratorio di Virologia – Istituto Superiore di Sanità): gentile e disponibile, la Ensoli consigliò al ricercatore di effettuare una ricerca sul web, non indicando nessun articolo storico della “scoperta”. Stessa cosa successe al Premio Nobel Kary Mullis che chiese la stessa cosa direttamente a Luc Montagnier senza ricevere una risposta chiara.
  • Un altro infettivologo italiano, il dr. Fabio Franchi, si trovò in una situazione simile nel tentare di comprendere la solidità e precisione dell’iter diagnostico per l’infezione da Hiv. Le informazioni da lui richieste erano infatti volte a far luce riguardo alla definizione della diagnosi di “sieropositività” secondo i criteri italiani.

Di seguito la corrispondenza.

 

Oggetto:          Diagnosi di infezione                                                                      Data:               Wed,  Mar 2002 07:52:31 +0000                                          Da:                  Fabio Franchi       A:   Direttore Lab Virologia

Gentilissima                                                                                                                           Direttrice del Laboratorio di Virologia                                                                   Istituto Superiore di Sanità

Gentilissima Professoressa,

la prof V e il prof R ritengono che possa avere da Lei alcuni chiarimenti e fonti bibliografiche. Desidero conoscere quali sono i criteri minimi per la diagnosi di infezione da HIV in Italia, secondo quanto disposto dall’Istituto Superiore di Sanità. Ho già qualche elemento, ma non quello di cui avevo bisogno. Mi ero rivolto alla dott.ssa  V, Le riporto perciò lo scambio epistolare a maggior chiarimento.

Sono un medico ospedaliero specializzato in Malattie Infettive. Lavoro a Trieste.

 

Oggetto:  Criteri di interpretazione dei test                                                         Data: Mon, 1 Mar 2002 08:52:38 +0000                                                               Da: Fabio Franchi         A: V.

Gentilissima dott.ssa V,

Le avevo telefonato circa 2 settimane fa chiedendoLe quali fossero  i criteri (minimi) di interpretazione dei test per stabilire   la presenza di una “infezione da HIV”.

Nel sito dell’UNAIDS non ho trovato (forse per mia incapacità)   quello che cercavo, ovvero definizioni italiane od europee   chiaramente espresse.

Su una piccola pubblicazione del Ministero della Sanità (commissione   nazionale per la lotta all’AIDS), edita presumibilmente nel 1992   (“AIDS la diagnosi il test il counseling”),   vengono indicati 5 criteri di interpretazione del WB (con errori,   tra l’altro!);  in essa affermano che il 20% dei soggetti   negativi al test Elisa,   presentano un WB indeterminato. Ecco necessario stabilire qual’è un   WB indeterminato. In Inghilterra non usano il WB come test di conferma, mi dicono. Le chiedo allora: quali sono le disposizioni più recenti delle Autorità Sanitarie  italiane? A quali criteri si rifanno esattamente?                                                                                     La ringrazio anticipatamente per la Sua cortese risposta.

Fabio Franchi

 

Mi sono state gentilmente inviate fotocopie di una pubblicazione edita nel 1999 (Serpelloni, “HIV e Counseling”), che doveva chiarire i punti in questione, invece mi hanno ancora più sconcertato. Ecco la mia risposta.

 

Oggetto: Diagnosi di infezione                                                                                     Data: Sat, 12 Mar 2002 12:21:18 +0000                                                               Da: Fabio Franchi         A: V.

Cara Dottoressa,

La ringrazio per avermi fatto pervenire la pubblicazione sulla diagnosi di laboratorio dell’infezione da HIV in Italia.  In essa tuttavia ho notato diversi errori ed incongruenze che mi hanno lasciato perplesso. Mi spiego meglio:

1) A pag 54 si legge: “la presenza di anticorpi verso proteine   appartenenti a solo due regioni virali principali è sufficiente per   diagnosticare l’infezione da HIV” … “un WB viene considerato positivo   se contiene almeno due delle tre bande corrispondenti alle proteine p24,  gp41 e gp 160/120”.

Ci si chiede se siano 3 o 4 le bande menzionate. Due delle tre significa   che gp41 più gp160/120 sono sufficienti per fare diagnosi, pur  appartenendo ad UNA sola “regione virale”. Dov’è l’errore? Se fosse vera  la prima affermazione, allora le istruzione sui kit diagnostici   largamente utilizzati (BIO-RAD New lav blot I) NON seguono le Vostre   indicazioni.

2) A pag 54 si legge che i  criteri di diagnosi sono stati modificati   “RECENTEMENTE”, per cui vengono adottati (da noi Italiani?) quelli che i   CDC hanno pubblicato nel 1989!! Il 1989 è tredici anni fa. In quelle   viene spiegato che le bande 160/120 possono reagire all’anticorpo contro   la gp41 (possono essere aggregati di gp41). Allora è sufficiente l’anti   gp41 per fare diagnosi di infezione da HIV?

3) “I saggi virologici (ndr: la PCR per la carica virale) vanno utilizzati per la diagnosi solo in alcuni   casi”: “per i soggetti ansiosi” in cui “il tempo necessario per la   diagnosi finale può essere troppo lungo”!! (pag 55) Tuttavia   abitualmente il saggio virologico “non si presta alla diagnosi di   infezione da HIV” per difficoltà tecniche e perché “molto difficile da   standardizzare”. Insomma un saggio non troppo sicuro che va bene però   per i soggetti ansiosi!

 4) La PCR non permette la “ricerca diretta dell’antigene” come affermato   a pag 55.

Mi conferma che queste sono le linee guida del Centro Operativo AIDS?                                                                                                                                           La ringrazio per la Sua attenzione,

Fabio Franchi

 

E’ a questo punto che la segretaria del prof. R e della professoressa V mi hanno consigliato di rivolgermi a Lei e così ho fatto.

Mi potrà aiutare?                                                                                                                   La ringrazio per l’attenzione,                                                                                     Fabio Franchi

NB Approfitto dell’occasione per augurarLe Buona Pasqua!

 

 

Oggetto:          Diagnosi di infezione II                                                                 Data:          Wed,  Apr 2002 08:39:32 +0100                                                 Da:          Fabio Franchi       A:  xx

Gentilissima Prof.ssa                                                                                                   Direttrice del Laboratorio di Virologia                                                     Istituto Superiore di Sanità

Le ho recentemente inviato una e-mail (il 27/03) per chiederLe quale fossero le indicazioni dell’ISS riguardo la diagnosi laboratoristica di infezione da HIV, poiché le indicazioni in mio possesso (contenute in “HIV e Counseling”- Giovanni Sterpelloni 1999, Ed. “La Grafica”, inviatomi dalla dott.ssa V) rimandano ad uno dei criteri americani pubblicati nell’ormai lontano 1989. Nessun riferimento a linee guida italiane, niente di Europeo! Si tratta comunque di criteri diversi da quelli utilizzati attualmente nei test ospedalieri. Nella prefazione del testo “HIV e Counseling” si precisa inoltre che “la responsabilità dei dati scientifici …” (contenuti nella medesima pubblicazione) “è dei singoli autori”. Una presa di distanza.

Attendo perciò lumi da Lei. La ringrazio dell’attenzione che vorrà prestarmi.                                                                                                                                   Fabio Franchi

 

Risposta:

Oggetto:          Diagnosi di infezione da HIV                                                   Data:          Fri,  Apr 2002 12:09:01 +0200                                                           Da:          Direttore Lab Virologia

VIR/236

Ho ricevuto la sua e-mail circa i criteri per effettuare una diagnosi sierologica di infezione da   HIV. Va infatti precisato che la diagnosi sierologica (presenza di anticorpi) è sufficiente per  effettuare la diagnosi di positività. La ricerca dell’RNA virale è una tappa successiva per  valutare le opportunità o meno di iniziare la terapia antiretrovirale e per il suo monitoraggio. La diagnosi sierologica prevede un primo saggio di screening (di solito un Elisa) utilizzando un kit autorizzato. In caso di reattività viene richiesto un saggio di conferma (western blot o  immunoblot).

Sono stati pubblicati diversi criteri di interpretazione del western blot e tutti risalgono ormai    a molti anni fa. Di fatto i Kit western blot non sono cambiati e pertanto valgono sempre gli   stessi criteri. Il criterio più comunemente usato è stato suggerito dai CDC americani   (MMWR 38, 21/7/1989) ed è il seguente:

positivo in presenza (intensità 1 o >) di almeno due delle seguenti bande; p24, gp41, gp120/160; (le bande gp120, gp 160 non sono sempre chiaramente identificabili);

negativo in assenza di ogni banda;

indeterminato in presenza di ogni altra banda o combinazione di bande che non rientrino nel criterio di positivo;

positivo per HIV-2 in presenza della banda gp36 (se inserita nel kit).

In saggio immunoblot (es. RIBA) positivo in presenza di due o più bande;

indeterminato in presenza di una sola banda;

negativo in assenza di ogni banda.

Con questi criteri di minima la maggior parte dei sieri risulta chiaramente identificabile come    positivo. Spero con questo di aver risposto al suo quesito.

Prof.ssa XX

 

Oggetto:                 Re: Diagnosi di infezione da HIV                                 Data:                 Fri, 26 Apr 2002 19:33:55 +0100                                     Da:                 Fabio Franchi       A:      XX  

La ringrazio della risposta. Da quello che mi scrive desumo che:

1) Non c’è un riferimento bibliografico riguardo direttive del Ministero della Sanità su questo problema.

2) Non vi sono indicazioni precise su quale criterio (di lettura delle striscie del WB) sia da seguire, criterio che è lasciato alla scelta del laboratorio. Laboratorio che segue le indicazioni del produttore di test. Produttore del test che non da’ riferimenti bibliografici e che può discostarsi da quelli da Lei indicati (vedi : “AIDS, LA DIAGNOSI, IL TEST, IL COUNSELING”, Commissione Nazionale per la Lotta Contro l’AIDS, 1992 “… fino al 20% dei soggetti negativi alla ricerca di anticorpi con la tecnica Elisa presentano un WB indeterminato pur non essendo infettati con l’HIV” ).

2) Non vi sono direttive europee comuni.

3) Le 2 bande richieste possono appartenere alla stessa regione (a differenza da quanto scritto sulla pubblicazione precedentemente menzionata – “HIV e Counseling”- Giovanni Sterpelloni 1999, Ed. “La Grafica”-). Nello stesso MMWR 38, 21/7/1989, si precisa come le bande 120 e 160 potrebbero essere forme multimeriche di gp41.

4) I CDC hanno pubblicato criteri più recenti in cui si indica l’utilizzo della ricerca diretta del virus con PCR per la definizione di infezione da HIV

  • http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/rr4813a2.htm .

Sono tali criteri adottati anche in Italia? Grazie per l’attenzione  Fabio Franchi

 

Conferma del messaggio inviato a

Xxx alle 26/04/02 20.33

Il messaggio è stato visualizzato nel computer del destinatario alle 29/04/02 8.41

  • Non è arrivata alcuna ulteriore risposta da parte del Direttore.

 

APPENDICE

A riprova di quanto da me affermato, riporto le istruzioni allegate ad un kit usato in Italia, in cui prevedono un risultato indeterminato anche in presenza di tre bande (ognuna delle quali derivanti da una diversa “regione” virale):

 

 

Secondo I dati presentati da Lundberg et al. (JAMA 260:674-679), se si usano i criteri diagnostici della FDA per interpretare il Western Blot, meno del 50% dei pazienti statunitensi affetti da AIDS sono risultano positivi, mentre il 10% dei soggetti non a rischio di AIDS risultano positivi in base ai medesimi criteri.

xhiv2

Ricordiamo  che tutte le proteine attribuite ad HIV sono CELLULARI e non virali.

 

6 doc

5 doc

 

4 doc

3 doc

2 doc

1 doc

 

 

  • Le tre ‘prove’ dell’isolamento virale

È possibile comprendere il procedimento seguito da Gallo e Montagnier nella loro ‘dimostrazione’ senza entrare in dettagli molto tecnici. È sufficiente spiegare che i due ricercatori utilizzarono tre criteri principali  soddisfatti i quali sostennero di aver appunto isolato il virus Hiv. Uno di questi era il risultato positivo a un test anticorpale (quello che sarebbe divenuto il famoso test dell’Aids).

Ebbene, secondo quanto riportato nella pubblicazione, questo era incredibilmente pronto sullo scaffale prima ancora che il virus fosse isolato per la prima volta. Come Gallo abbia fatto a ottenere dai conigli degli anticorpi specifici contro un virus che ancora nessuno – lui compreso – conosceva, resta un gaudioso mistero, conseguenza di una capacità divinatoria che agli umani è solitamente negata.

Ecco il commento di Valendar Turner, medico australiano e coautore con Eleni Eleopulos di alcuni dei più importanti lavori sulla invalidità dei test dell’Aids:

“Per ottenere degli anticorpi contro l’Hiv, uno deve iniettare ai conigli dell’Hiv puro. Virus puro significa virus isolato e se ai conigli venne iniettato del virus puro, perché dovrebbe essere necessario produrre anticorpi per definire l’isolamento del virus che era già stato isolato?”

Comunque quel test si rivelò aspecifico.

Zolla Pazner al riguardo scrisse nel 1989: “Confusione sulla identificazione di queste bande (n.d.a.: si riferisce ai risultati del test dell’Aids) è risultata in conclusioni scorrette negli studi sperimentali. potrebbe essere necessaria la reinterpretazione dei risultati già pubblicati”. Risposte anticorpali simili (risultato positivo al test dell’Aids) sono state ottenute iniettando ad animali di laboratorio “vaccino” oppure anche solo … “eccipiente”.

Oltre al test sopra menzionato, chiaramente invalido, gli stessi ricercatori utilizzarono, come detto, altri due criteri, o ‘proprietà’, che dovevano corroborare la loro convinzione di avere ‘purificato’ proprio il nuovo virus e non altro. Tuttavia la loro mancanza di specificità è stata dimostrata in modo inequivocabile negli anni passati.

Ora non è neppure necessario ricorrere a una argomentazione per demolire il significato di tali “esperimenti probatori” e costrutti teorici: lo stesso Montagnier ha recentemente ammesso che in fin dei conti non fece quanto ha sempre affermato di aver fatto e che gli altri continuano ad attribuirgli! Infatti riferendosi alle tre proprietà che proverebbero l’esistenza dell’Hiv, afferma:

“Non è una proprietà, ma l’assemblaggio delle proprietà che ci permise di dire che si trattava di un retrovirus. Se ciascuna proprietà è presa isolatamente, esse non sono specifiche. È il loro assemblaggio che dà la specificità.”

Prima di passare alle slide raffiguranti i foglietti illustrativi dei test,a proposito di ISOLAMENTO e di purificazione di questo fantomatico virus, proponiamo il parere dei grandi retrovirologi al mondo e a seguire l’intervista a Luc Montagnier ideata ed eseguita da Djamel Tahi nel 1997.

 

  • LA QUESTIONE DELLA PURIFICAZIONE VIRALE:

L’unico modo per dimostrare l’esistenza di un nuovo retrovirus. Il parere unanime dei più grandi retrovirologi del mondo”

LA PURIFICAZIONE E’ NECESSARIA PER DIMOSTRARE L’ESISTENZA DI UN NUOVO RETROVIRUS?”

1)White and Fenner: “It’s an essential pre-requisite”.                 2)Montagnier: “It is necessary”.                                                                         3)Gallo: “You have to purify”.                                                                                     4)Barré-Sinoussi: “…you have to purify the virus from all this mess”. 5)JC Chermann: “Yes, of course…Absolutely”.                                                   6)Prof. David Gordon: “It’s a natural step from obtaining the virus in cell culture to then obtain purified virus”.                                                            7)Prof. Dominic Dwyer: “The purification, as far as one can go, is important in analysis of any virus or bacteria, for that matter well”.

  •  PERCHE’ LA PURIFICAZIONE E’ QUINDI NECESSARIA?

1)White and Fenner: “…for the chemical analysis of viruses”. To prove that the virus particles have unique proteins and RNA.

2)Montagnier: “…analysis of the proteins of the virus [obviously this also applies to the viral RNA, the genome] demands mass production and purification. It is necessary to do that”.

3)Montagnier: “To prove that you have a real virus”.

4)Barré-Sinoussi: “Because we wanted these diagnostic kits [the antibody tests] to be as specific as possible. If you use a preparation of virus which is not purified of course you will detect antibody to everything not only against the virus but also to all the proteins that are produced in the supernatant”. 5)JC Chermann: To identify the HIV proteins and RNA they had to extract them “from the virus which we had concentrated and purified”.

5)JC Chermann: To identify the HIV proteins and RNA they had to extract them “from the virus which we had concentrated and purified”.

6)Gallo: “Conclusive serological testing, in our view, required finer, more specific assays based on using purified virus particles of proteins obtained from the virus instead of whole cells infected with virus”.

7)Gelderblom: “…because this house [the Robert Koch Institute in Berlin] in ‘85 already established ELISA antigen material [“HIV” proteins]…for testing people…we had to look at the material that was used for the ELISA”.

8)Prof. David Cooper: “Once the virus is purified, it’s then genetically sequenced and those sequences are unique [must be unique] just like every organism on the planet has unique sequences and markers”.

9)Prof. David Gordon: “…because purification of virus is then very useful for further studies for the nature of the virus and the nature of the immune response against the virus”.

10)Prof. Dominic Dwyer: “Well, in the diagnostic sort of situation what that really is looking for is looking for presence of those conserved bits of genetic material that you know to be the pathogen, be it HIV or flu or whatever, you then use that technology to see whether those sequences or those bits are present in something else, in another clinical sample, for example. And that really now has become, you know, the main method of diagnosis of many pathogens in a laboratory now…I mean with genetic testing – I guess the upside of course is you can do it on everybody, it’s pretty cheap, it’s extremely reliable and robust, the downside is that you have to know the genetic structure to begin with, you have to have the genetic sequence of what you are after. So when a new virus emerges, like SARS, you can’t necessarily use, reliably, nucleic acid testing until you get the sequence of that new virus for the first time. So then in fact you are in a first identifier, you are required to use these more traditional methods of virus culture and microscopy and so on”.

foto1aids

 

  • Intervista  a Luc Montagnier

  • “Montagnier scoprì l’HIV?” Di Djamel Tahi

  • Continuum inverno 1997 Testo della conferenza filmata effettuata all’Istituto Pasteur nel luglio 1997

intervista montagnier foto

Lo stesso Montagnier ammette apertamente di NON avere MAI purificato il virus

DT: Un gruppo di scienziati australiani afferma che nessuno finora ha isolato il virus dell’AIDS, l’HIV. Per loro le regole dell’isolamento dei retrovirus non sono state correttamente rispettate per l’HIV. Queste regole sono: coltura, purificazione del materiale con ultracentrifugazione, fotografie con Microscopio Elettronico (EM) del materiale che si separa alla densità dei retrovirus, caratterizzazione di queste particelle, prova della infettività delle particelle.

LM: No, questo non è isolamento. Noi effettuammo l’isolamento poiché noi “passammo oltre” il virus, noi facemmo una coltura del virus. Per esempio Gallo disse: “Essi non hanno isolato il virus … e noi (Gallo et al.), noi l’abbiamo fatto emergere in abbondanza in una linea cellulare immortale.” Ma prima di farlo emergere in linee cellulari immortali, noi lo facemmo emergere in colture di linfociti normali di un donatore di sangue. Questo è il criterio principale. Uno aveva qualcosa che poteva passare avanti serialmente, che uno poteva mantenere. E caratterizzarlo come un retrovirus non solo per le sue proprietà visive, ma anche biochimicamente, l’attività della RT (transcriptasi inversa) che è propriamente specifica dei retrovirus. Noi avevamo anche la reazione degli anticorpi contro alcune proteine, probabilmente le proteine interne. Dico probabilmente per analogia con la conoscenza di altri retrovirus. Uno non avrebbe potuto isolare questo retrovirus senza la conoscenza di altri retrovirus, questo è ovvio. Del tutto.

DT: Mi lasci tornare alle regole dell’isolamento virale che sono: coltura, purificazione alla densità dei retrovirus, fotografie al microscopio elettronico del materiale alla densità dei retrovirus, caratterizzazione delle particelle, prova della infettività delle particelle. Sono stati effettuati tutti questi passaggi per l’isolamento dell’HIV? Vorrei aggiungere che, in accordo con le numerose citazioni bibliografiche pubblicate dal gruppo australiano, la Transcriptasi inversa non è specifica dei retrovirus ed in più il Suo lavoro per individuare la transcriptasi inversa non venne forse fatto su materiale purificato?

LM: Io penso che abbiamo pubblicato su Science (maggio 1983) un gradiente che ha dimostrato che la transcriptasi inversa (RT) aveva la densità di 1,16. Così uno aveva un picco che era la RT. Così uno ha assolto questo criterio di purificazione. Ma effettuarlo in passaggi seriali è difficile perché quando poni il materiale in purificazione, in un gradiente, i retrovirus sono molto fragile, così si rompono uno con l’altro e perdono gran parte della loro infettività. Ma penso che anche così abbiamo mantenuto una parte della loro infettività. Ma non era così semplice come lo è oggigiorno, perché le quantità del virus erano comunque molto basse. All’inizio noi ci imbattemmo in un virus che non uccideva cellule. Il virus veniva da un paziente asintomatico e così fu classificato tra i virus non formanti sincizi, non citopatogeni usando il co-recettore ccr5. Era il primo virus BRU. Se ne aveva una piccolissima quantità, e non si poteva passarlo nelle linee di cellule immortali. Provammo per alcuni mesi, non ci riuscimmo. Riuscimmo molto facilmente con il secondo ceppo. Ma qui sta il problema piuttosto misterioso della contaminazione di quel secondo ceppo dal primo. Questo era il LAI.

DT: Perché le fotografie al ME da Lei pubblicate provengono dalla coltura e non dalla purificazione?

LM: C’era così poca produzione di virus che era impossibile vedere cosa poteva esserci in un concentrato di virus da un gradiente. C’era troppo poco virus per fare quello. Naturalmente lo si cercava, lo si cercava nei tessuti fin dall’inizio, così nelle biopsie. Noi vedemmo alcune particelle ma non avevano la morfologia tipica dei retrovirus. Esse erano molto differenti. Relativamente differenti. Così con le colture ci vollero molte ore per trovare le prime immagini. Fu uno sforzo titanico! E’ facile criticare dopo l’evento. Quello che non avevamo, ed io l’ho sempre riconosciuto, era la dimostrazione che fosse veramente la causa dell’AIDS.

DT: Come è possibile senza la fotografie con microscopio elettronico dalla purificazione sapere se queste particelle sono virali ed appartengono ad un retrovirus, più in particolare ad uno specifico retrovirus?

LM: Bene c’erano fotografie della gemmazione. Noi pubblicammo immagini della gemmazione che sono caratteristici dei retrovirus. Avendo detto ciò, unicamente sulla morfologia non si poteva affermare che era veramente un retrovirus. Per esempio, uno specialista francese di Microscopia elettronica pubblicamente mi ha attaccato dicendo: “Questo non è un retrovirus, è un arena virus”. Questo perché ci sono altre famiglie di virus che gemmano e hanno estroflessioni sulla superficie, etc.

 DT: Perché questa confusione? Le fotografie con Microscopio Elettronico non mostravano chiaramente un retrovirus?

LM: In quel momento I retrovirus meglio conosciuti erano quelli di tipo C, che erano molto tipici. Questo retrovirus non era di tipo C ed i lentivirus erano poco conosciuti. Io stesso l’ho riconosciuto cercando tra le fotografie del virus dell’anemia infettiva equina nella biblioteca, e poi il virus Visna. Ma, io ripeto, non era solamente la morfologia della gemmazione, c’era la transcriptasi inversa … era l’associazione di queste proprietà che mi indusse a dire che era un retrovirus .

DT: A proposito di transcriptasi inversa, è rivelata nelle colture. Quindi c’è la purificazione dove uno trova particelle retrovirali. Ma a questa densità ci sono molti altri elementi, tra gli altri quelli che uno chiama “simil-virali”.

LM: Esattamente, esattamente. Se preferisce non è una proprietà ma l’assieme delle proprietà che ci fece dire che era un retrovirus della famiglia dei lentivirus. Presi da sole nessuna delle proprietà è veramente specifica. E’ l’associazione di esse. Così noi avevamo : la densità, RT, fotografie delle gemmazioni e l’analogia con il visna virus. Queste sono le quattro caratteristiche.

DT: Ma come tutti questi elementi costituiscono prova di un nuovo retrovirus? Alcuni di questi elementi potrebbero appartenere ad altre cose, “simil virali”…?

LM: Si, e per di più noi abbiamo retrovirus esogeni che talvolta esprimono particelle – ma di origine endogena, e che perciò non hanno ruoli patologici, in ogni caso non in AIDS.

DT: Ma uno come può cogliere la differenza?

LM: Perché noi potevamo passare oltre al virus. Noi passammo oltre alla attività della transcriptasi inversa nei nuovi linfociti. Noi ottenemmo un picco di replicazione e tenemmo traccia del virus. Era l’associazione delle proprietà che ci portò a dire che era un retrovirus. E perché nuovo? La prima domanda a noi posta dalla Natura era: “E’ o no una contaminazione di laboratorio? E’ forse un retrovirus murino o un virus animale?” Così uno poteva dire no! Perché noi abbiamo dimostrato che il paziente aveva anticorpi contro le proteine di questo virus. L’associazione (delle proprietà) ha una logica perfetta! Ma è importante prenderla come un’associazione. Se voi prendete ciascuna proprietà separatamente, essi non sono specifici. E’ l’associazione che da’ la specificità.

DT: Ma alla densità dei retrovirus, avete osservato particelle che assomigliavano a retrovirus? Un nuovo retrovirus?

LM: Alla densità di 1.5, 1.16, noi avevamo un picco di attività della transcriptasi inversa, che è l’enzima caratteristico dei retrovirus.

DT: Ma poteva quello essere qualcosa d’altro? LM: No nella mia opinione era molto chiaro. Non poteva essere che un retrovirus in quella maniera. Poiché l’enzima che Barré Sinoussi caratterizzò biochimicamente aveva bisogno del magnesio, così come l’HTLV. Aveva bisogno della matrice, il template, il primer che erano completamente caratteristici di una transcriptasi inversa. Questo era fuori discussione. A Cold Spring Harbour nel settembre 1983, Gallo mi domandò se io ero sicuro che era una RT:

Lo sapevo, Barré Sinoussi aveva fatto tutti I controlli per quello. Non era una semplice polimerasi, era una trascriptasi inversa. Lavorava solo con i primer a RNA, formava DNA: Questo era sicuro.

DT: Con gli altri retrovirus che avete incontrato nella vostra carriera, avete seguito le stesse procedure ed avete incontrato le stesse difficoltà.

LM: Direi che per l’HIV è un procedimento facile. Paragonato con gli ostacoli che uno trova con gli altri … poiché il virus non compare o perché l’isolamento è sporadico – si riesce una volta su cinque. Sto parlando circa la ricerca attuale su altre malattie. Uno può citare il virus della Sclerosi Multipla del prof Peron. Egli mi mostrò il suo lavoro 10 anni fa e ci mise circa dieci anni per trovare una sequenza genica che è molto vicina a quella di un retrovirus endogeno. Vede, è molto difficile. Poiché egli non riuscì a propagare il virus, egli non poté farlo crescere in una coltura. Mentre l’HIV cresce come erba matta. Il ceppo LAI per esempio cresce come erba matta. E’ così ha contaminato le altre colture.

DT: Con cosa coltivaste I linfociti del vostro paziente? Con la linea cellulare H9?

LM: No, poiché non funzionava affatto con la H9. Noi usammo molte linee cellulari e l’unica che poteva produrlo erano i linfociti Tambon.

DT: Ma usando questi tipi di elementi, è possibile introdurre altre cose capaci di indurre una RT e proteine, ecc?

LM: Completamente d’accordo. Questo è il motive per cui non eravamo tanto entusiasti di usare linee cellulari immortali. Per coltivare il virus in grandi quantità – OK. Ma non per caratterizzarlo, poiché noi eravamo consapevoli di portare dentro altre cose. Queste sono linee cellulari MT che sono state trovate dai Giapponesi (MT2, MT4) che replicano l’HIV molto bene e che nello stesso tempo sono trasformate dall’HTLV. Perciò voi avete una mistura di HIV e HTLV. E’ una vera minestra.

DT: Quel che più conta, non è possibile che il paziente sia infettato da altri agenti infettivi?

LM: Potevano esserci dei mycoplasmi … potevano esserci un sacco di cose, ma per fortuna avevamo l’esperienza negative con i virus associate con il cancro e che ci era d’aiuto, poiché avevamo incontrato tutti questi problemi. Per esempio, un giorno ebbi un bel picco di RT, che F. Barre-Sinoussi mi diede, con un gradiente di densità un po’ più alto, 1,19. Ed io controllai! Era un mycoplasma, non un retrovirus.

DT: Come accorgersi della differenza tra cosa è virale e cosa non lo è? Perché a questa densità c’è un sacco di altre cose, incluse particelle “simil virali”, frammenti cellulari …

LM: Sì, questo è il motive con le colture di cellule poiché uno vede le fasi della produzione virale. Voi avete l’estroflessione. Charles Dauget (uno specialista in microscopia elettronica) guardava piuttosto alle cellule. Ovviamente guardava anche il plasma, il concentrato, ecc non vide niente di importante. Poiché se fai un concentrato, è necessario fare sottili sezioni [per vedere con EM], e per fare sottili sezioni è necessario avere un concentrato almeno della grandezza di una testa di spillo. Queste sono le enormi quantità di virus che sono necessarie. All’opposto, si fa una sezione di cellule molto facilmente ed è in queste sezioni sottili che Charles Dauget trovò il retrovirus, in differenti fasi di estroflessione.

DT: Quando si guarda alle fotografie elettroniche, per lei che è un retrovirologo, è chiaramente un retrovirus, un nuovo retrovirus?

LM: No, a quel punto non si può dire. Con le prime immagini di estroflessione, potrebbe essere un virus tipo C. Non si può distinguere.

DT: Non potrebbe essere qualcosa d’altro che un retrovirus?

LM: No, ebbene, dopotutto, sì. Ma c’è un … noi abbiamo un atlante. Uno riconosce qualcosa per la padronanza dell’argomento, cos’é un retrovirus e cosa non lo è. Con la morfologia uno può distinguere, ma presuppone una certa buona conoscenza. No … bene, dopo tutto sì …avrebbe potuto essere un altro virus ad estroflettersi. Ma c’è un … noi abbiamo un atlante. Uno conosce un po’ dalla somiglianza, cosa è un retrovirus e cosa non lo è. Con la morfologia uno può distinguere, ma presuppone una certa famigliarità.

DT: Perché nessuna purificazione?

LM: Ripeto, noi non purificammo. Noi purificammo per caratterizzare la densità della RT, che era certamente quella di un retrovirus. Ma non cogliemmo il picco … o non funzionò … poiché se purifichi allora danneggi. Così per le particelle infettive è meglio non toccarle granché. Così, tu prendi semplicemente il sopranatante delle colture dei linfociti che hanno prodotto il virus e le poni in piccola quantità in altre colture di linfociti. E così segue che tu passi il retrovirus serialmente e trovi sempre le stesse caratteristiche e tu aumenti la produzione ogni volta che effettui un passaggio.

DT: Così lo stadio della purificazione non è necessario?

LM: No, no, non è necessario. Quello che è essenziale è passare avanti il virus. Il problema che Peron ebbe con il virus della sclerosi multipla era che non poteva passare il virus da una coltura ad un’altra. Questo è il problema. Egli provò un poco, non a sufficienza per caratterizzarlo. Ed oggigiorno caratterizzare significa soprattutto allo standard molecolare. Se tu vuoi la procedura va più velocemente. Per farlo: un DNA, clonare questo DNA, amplificarlo, determinarne la sequenza, ecc. Così tu hai il DNA, la sequenza di DNA che ti dice se questo è realmente un retrovirus. Uno conosce la struttura famigliare dei retrovirus, tutti i retrovirus hanno una struttura genomica famigliare con questo e quel determinato gene che sono caratteristici.

DT: Così, per l’isolamento dei retrovirus lo stadio di purificazione non è obbligatorio? Si può isolare senza purificare?

LM: Si, non si è obbligati a trasmettere materiale puro. Sarebbe meglio, ma c’è il problema che si danneggia (il virus) e si diminuisce la infettività dei retrovirus.

DT: Senza andare attraverso questo stadio di purificazione, non c’è un rischio di confusione sulle proteine che uno identifica e anche sulla transcriptasi inversa che potrebbe venire da qualcos’altro?

LM: No, dopotutto, ripeto che noi abbiamo un picco di RT alla densità di 1,15, 1,16, ci sono 999 probabilità su 1000 che è un retrovirus. Ma questo poteva essere un retrovirus di origine diversa. Ripeto, ci sono alcuni retrovirus endogeni, pseudo-particelle che possono essere emesse dalle cellule, ma anche così, dalla parte del genoma che codifica i retrovirus. E che uno acquisisce attraverso l’ereditarietà, nelle cellule per un tempo molto lungo. Ma infine io penso per la prova – poiché le cose evolvono nel modo consentito dalla biologia molecolare che permette persino una più facile caratterizzazione questi giorni – è necessario procedere molto velocemente alla clonazione. E questo venne fatto molto velocemente, sia da Gallo sia da noi stessi. Clonare e sequenziale, e così uno ha la completa caratterizzazione. Ma io ripeto, la prima caratterizzazione appartiene alla famiglia dei lentivirus, la densità l’estroflessione, ecc, le proprietà biologiche, l’associazione con le cellule T4. Tutte queste cose sono parte della caratterizzazione, e fummo noi a farlo.

DT: Ma viene il momento in cui uno deve effettuare la caratterizzazione del virus. Questo significa: quali sono le proteine di cui è composto?

LM: Questo è il punto. Così dunque, l’analisi delle proteine del virus richiede produzione di massa e purificazione. E’ necessario fare questo. E là io dovrei dire che questo parzialmente ha fallito.

J.C. Chermann aveva questo incarico, almeno per le proteine interne. Ed egli ebbe difficoltà nel produrre il virus e non funzionava. Ma questa era una possibile strada, l’altra era di ottenere l’acido nucleico, clonare, ecc. E’ questo il modo che ha funzionato molto velocemente. La prima strada non funzionava poiché noi avevamo a quel tempo un sistema di produzione che non era efficiente a sufficienza. Uno non aveva a disposizione abbastanza particelle prodotte per purificare e caratterizzare le proteine virali. Non poteva essere fatto. Uno non poteva produrre una adeguata quantità di virus a quel tempo, perché quel virus non si manifestava nelle linee cellulari immortali. Noi potemmo farlo con il virus LAI, ma a quel tempo noi non lo sapevamo.

DT: Gallo lo fece?

LM: Gallo? .. Non so se egli realmente purificò. Non lo credo. Io credo che si lanciò molto velocemente sulla parte molecolare, il che significa sulla clonazione. Quello che fece è il Western Blot. Noi usammo la tecnica RIPA, così quello che fecero era nuovo cioè dimostrarono alcune proteine che non si erano viste bene con le altre tecniche. C’è un altro aspetto della caratterizzazione del virus. Non puoi purificarlo ma se conosci qualcuno che ha gli anticorpi contro le proteine del virus, puoi purificare il complesso antigene/anticorpo. Questo è quello che si fece. E così uno aveva una banda visibile, marcata radio attivamente, che si chiamò proteina 25, p25. E Gallo ne vide altre. C’era la p25 che egli chiamò p24, c’era la p41, che egli vide …

DT: Riguardo gli anticorpi, numerosi studi hanno mostrato che questi anticorpi regiscono con alter proteine o elementi che non sono parte dell’HIV. E che non sono sufficienti a caratterizzare le proteine dell’HIV

LM: No! Poiché avevamo controlli. Noi avevamo persone che non avevano l’AIDS e non avevano anticorpi contro queste proteine. E le tecniche che abbiamo usato erano tecniche che io stesso avevo perfezionato alcuni anni prima, per individuare il gene src. Lei vede il gene src che fu anch’esso identificato con la immunoprecipitazione. Era la p60 (proteina 60). Ero molto abile, e così i miei tecnici, con la tecnica RIPA. Se uno ottiene una specifica reazione, è specifica.

DT: Ma noi sappiamo che I pazienti con AIDS sono infettati da una moltitudine di altri agenti infettivi che sono suscettibili a …

LM: Ah, sì, ma gli anticorpi sono molto specifici. Essi sanno come distinguere una molecola tra un milione. C’è una grandissima affinità. Quando gli anticorpi hanno una sufficiente affinità, Lei identifica qualcosa di realmente molto specifico. Con anticorpi monoclonali, Lei “pesca” realmente una sola proteina. Tutto questo è usato per la determinazione diagnostica dell’antigene.

DT: Per Lei la p41 non era di origine virale e così non apparteneva all’HIV. Perché questa contraddizione?

LM: Noi eravamo entrambi ragionevolmente corretti. Intendo dire che io con la mia tecnica RIPA … in effetti ci sono proteine cellulari che uno incontra dovunque – c’è un “rumore di fondo” nonspecifico, e tra queste proteine ce n’è una molto abbondante nelle cellule, che è l’actina. E questa proteina ha un peso molecolare di 43.000kd. Così, era lì presente. Così io avevo ragionevolmente ragione, ma quello che Gallo vide d’altra parte era la gp41 dell’HIV, poiché stava usando il Western Blot. E questo l’ho riconosciuto.  DT: Per Lei la p24 era la proteina più specifica dell’HIV, per Gallo no assolutamente. Si sa grazie ad altri studi che gli anticorpi diretti contro la p24 erano spesso trovati in pazienti che non erano infettati con l’HIV, e persino in certi animali. Infatti oggi, una reazione anticorpale con la p24 è considerata non specifica.

LM: Non è sufficiente per diagnosticare l’infezione da HIV.

DT: Nessuna proteina è sufficiente?

LM: Nessuna proteina è sufficiente in ogni caso. Ma allora il problema non si è rivelato tale. Il problema era sapere se c’era un HTLV o no. L’unico retrovirus conosciuto era l’HTLV. E noi mostrammo chiaramente che non era un HTLV, che gli anticorpi monoclonali di Gallo contro la p24 dell’HTLV non riconosceva la p25 dell’HIV.

DT: Alla densità dei retrovirus, 1,16, c’è un quantità di particelle, ma solamente il 20% di quelle appartengono all’HIV. Perché l’80% delle proteine non sono virali e le altre sì? Come uno può stabilire la differenza?

LM: Ci sono due spiegazioni. Per una parte, alla densità dove hai quello che uno chiama micro vescicole di origine cellulare, che hanno approssimativamente la stessa dimensione del virus, e poi il virus stesso, nell’estroflettersi dalla cellula si porta dietro proteine cellulari. Così effettivamente queste proteine sono non virali, sono di origine cellulare. Così come stabilire la differenza?! Francamente con questa tecnica uno non può farlo con precisione. Quello che possiamo fare è purificare al massimo il virus con successivi gradienti, e tu ti ritrovi sempre con le stesse proteine.

DT: Le altre spariscono?

LM: Diciamo che le altre si riducono un po’. Voi togliete le microvescicole, ma ogni volta perdete una grande quantità di virus, così è necessario avere una grande quantità di virus per cominciare in modo di mantenerne un po’ quando arrivi alla fine. E di nuovo, c’è l’analisi molecolare, è la sequenza di queste proteine che permette di dire se esse sono di origine virale o no. Questo è quanto cominciammo per la p25, che fallì, e l’altra tecnica consiste nell’effettuare la clonazione, e così tu hai il DNA e dal DNA tu ottieni le proteine. Tu deduci la sequenza delle proteine e la loro dimensione, ed arrivi di nuovo su quello che hai già osservato con l’immunoprecipitazione o con elettroforesi in gel. E uno sa per analogia con la dimensione delle proteine di altri retrovirus, uno può dedurre con buona sicurezza queste proteine. Così poi avete la p25 che era vicino alla p24 dell’HTLV, avete la p18 … alla fine gli altri. D’altra parte quella che era molto differente era la proteina molto grande, la p120.

DT: Oggigiorno, sono stati risolti I problemi riguardo la produzione di massa del virus, fotografie al Microscopio elettronico a 1,16? LM: Si, certo. (31) DT: Esistono le fotografie dell’HIV al microscopio elettronico dalla purificazione?

LM: Sì, ovviamente.

DT: Sono state pubblicate?

LM: Non potrei dirLe … ne abbiamo alcuni da qualche parte … ma non riveste interesse, non è di nessun interesse.

 

  • Questo è il test “ORAQUICK” che afferma “SI PENSA CHE L’HIV CAUSI L’AIDS” “EFFETTUARE UN TEST SUGLI ANTICORPI E’ UN AIUTO ACCURATO NELLA DIAGNOSI DI HIV”):

 

hiv foto 1

 

  • Foglio illustrativo del Test Elisa per ANTICORPI HIV.

 

test elisa

 

  • Foglio illustrativo del « test di conferma » Western Blot:

 

summary

 

 

  • Ricordiamo che gli stessi produttori del test Elisa, alla voce “sensibilità e specificità del test” affermano:

 “AD OGGI NON ESISTE UNO STANDARD RICONOSCIUTO PER STABILIRE LA PRESENZA O L’ASSENZA DI ANTICORPI HIV-1 E HIV-2 NEL SANGUE UMANO”.

Ma tale test viene usato per affermare che nel sangue analizzato del paziente gli anticorpi sono presenti.

Nel foglio illustrativo del test Western Blot, chiamato “test di conferma” perché appunto dovrebbe confermare un’infezione rivelatasi al primo test Elisa, si legge che:

“UN CAMPIONE DI SANGUE RISULTATO POSITIVO SIA AL TEST ELISA CHE AL TEST WESTERN BLOT SI PRESUME  INFETTO DA HIV-1” e ancora:

“SEBBENE UN RISULTATO POSITIVO (ricordiamo che la sua positività cambia da paese a paese…) POTREBBE INDICARE INFEZIONE DA HIV-1, LA DIAGNOSI DI AIDS PUO’ ESSERE EFFETTUATA SOLO SE L’INDIVIDUO RISPECCHIA I CRITERI DIAGNOSTICI STABILITI DAL CDC (CENTER FOR DISEASES CONTROL)”  e inoltre al punto 6 viene affermato:

NON USARE IL WESTERN BLOT COME UNICO TEST DI CONFERMA DI DIAGNOSI DI POSITIVITA’ AL VIRUS HIV-1”.

  • Ma questo viene chiamato e usato come test di conferma

Passando alla terza metodica diagnostica, la PCR (Reazione a catena della Polimerasi), ecco cosa riporta il foglio illustrativo del test:

“QUESTA TECNICA NON DEVE ESSERE USATA COME TEST DI SCREENING PER IL VIRUS HIV O COME STRUMENTO DIAGNOSTICO PER CONFERMARE LA PRESENZA DEL VIRUS”

 Tuttavia,anche la PCR viene usata come strumento diagnostico. Di cosa parliamo?

  • Come accennato all’inizio del nostro articolo, una lecita richiesta di informazioni da parte di un Virologo a cui nessuna risposta è stata data; la nostra domanda è:
  • Viene fatto volutamente tutto ciò?
  • Come può la rappresentanza dell’Istituto Superiore della Sanità fornire una statica risposta trovata grazie all’ausilio di una ricerca virtuale ?
  • Questo atteggiamento è corretto?
  • Come si può pretendere la “calma” della folla quando i vertici in primis nuotano nella confusione più totale? Tutto ciò è stato controllato?

Come ben abbiamo capito guardando qualche anno addietro,l’atteggiamento del pubblico, colpito dagli allarmi lanciati attraverso i mezzi di comunicazione, è oscillato da atteggiamenti di condanna e paura a quelli di solidarietà verso gli ‘infetti’. Il grande impatto provocato dalla commistione esplosiva tra amore, sesso e ‘rischio mortale’ ha portato non solo a sopravvalutare il problema, ma anche a una scarsa disposizione critica nei confronti di quella che Duesberg, Rubin e persino Montagnier hanno definito come la nuova religione: la ‘Scienza’. In questo è venuto largamente meno quell’atteggiamento critico e spregiudicato che la pratica scientifica dovrebbe favorire come costume intellettuale.

HIV E LA FRODE DEL NOSTRO SECOLO

Cenni storici sulla grande ed irreale pandemia mediatica

Molti i giornalisti e opinion leader negli anni ottanta si sono fatti paladini, attraverso la loro professione, di un’opera di tipo ‘missionario’: dovevano arrivare a quante più persone possibile e con il maggior impatto possibile. Ritenevano così di poter salvare con l’arma dell’informazione la società, che altrimenti avrebbe corso rischi gravissimi, poiché l’epidemia “era scoppiata” e il vaccino e la terapia non erano pronti. In una simile atmosfera, persino alcune esagerazioni erano giustificate.

Gli operatori sanitari, colpiti dalla drammaticità dei casi clinici e influenzati a loro volta dagli scienziati che spasmodicamente cercavano di fronteggiare un morbo apparentemente nuovo e inarrestabile, hanno reagito in modo simile. Da una parte vi era l’imperativo di assistere con dedizione i malati, di bloccare il contagio, dall’altro emergeva talvolta una sorta di risentimento verso tossicodipendenti, omosessuali e prostitute, i cui comportamenti sembravano mettere in grave pericolo quelli che, come loro, si trovavano in ‘prima linea’.

Dunque, per i giornalisti, il pubblico e i medici, l’atteggiamento morale si è a lungo dibattuto fra il tentativo di conciliare la difesa della società, la difesa degli individui colpiti, e le proprie preoccupazioni. Conciliazione non sempre facile da ottenere, se pensiamo che una delle proposte discusse negli anni Ottanta è stata quella di marchiare con un inchiostro indelebile i sieropositivi, in modo che i ‘sani’ non avessero difficoltà a riconoscerli ed evitarli.

La popolazione, all’inizio, si è completamente fidata di quanto comunicato con grande allarme dalle autorità sanitarie pubbliche; queste a loro volta si sono fidate delle ‘scoperte’ di un gruppo molto influente di scienziati.

Occorre però tenere conto del particolare momento in cui è avvenuta la ‘scoperta’: il ‘nuovo virus’ è apparso proprio in un’epoca in cui le malattie infettive erano ben conosciute e in gran parte controllate. Inoltre, solo pochi anni prima, negli anni Settanta, l’ipotesi sull’origine virale dei tumori, nella quale questi stessi gruppi di scienziati avevano riposto la speranza di grandi prospettive terapeutiche, aveva dovuto essere mestamente accantonata per manifesta inconsistenza. In questa situazione l’Aids poteva indubbiamente rappresentare per loro la possibilità di un grande riscatto.

Riteniamo, pertanto, che su questo gruppo di scienziati ricadesse la maggiore responsabilità complessiva, e perciò proprio da parte loro si sarebbe dovuto pretendere il più alto rigore intellettuale e morale, inteso come piena aderenza agli standard di precisione, acribia, pubblicità, comunicabilità della ricerca scientifica (onori e oneri). Poiché tale rigore è venuto a mancare proprio su aspetti di primaria importanza, come sarà facile esemplificare, ogni dubbio sui risultati vantati è giustificato. La mancata reazione a queste scorrettezze, una volta divenute di dominio pubblico, ha coinvolto e reso in un certo senso complice una fetta molto consistente della società, allargando appunto le responsabilità, inizialmente ristrette.

Infatti, il muro di censura non è stato impenetrabile, ha avuto ed ha brecce non trascurabili attraverso cui poter guardare. Fin dal 1987, e in misura maggiore dai primi anni Novanta, sono state pubblicate numerose critiche alle ipotesi ufficiali. Queste critiche, pubblicate su riviste scientifiche di primo piano (“New England Journal of Medicine”, “Science”, “Nature”, “Cancer Research”, “The Lancet”, “Genetica”, ecc.), sono poi state riprese con evidenza da alcuni mezzi di comunicazione.

La maggior parte dei ricercatori e dei medici hanno tuttavia scelto di non prenderle in considerazione. Si tratta di un atteggiamento in qualche modo legittimo? Chiaramente no: mentre dal punto di vista giuridico è fallace sostenere l’argomento “non poteva non sapere”, nel campo scientifico questa asserzione è valida. La ragione è semplice: mentre in campo giuridico ciò che conta è la responsabilità individuale, ossia l’accertamento che un determinato individuo abbia commesso o non commesso un reato, in campo scientifico fanno parte integrante delle qualità del ricercatore la conoscenza e il vaglio delle varie ipotesi esistenti nel suo ambito di ricerca. In altre parole:

Gli scienziati non possono sottrarsi ad una valutazione, secondo una precisa ottica scientifica, delle argomentazioni contrarie. Per chiarire con un esempio negativo, la pubblicazione di un lavoro di Duesberg – uno dei più prestigiosi critici delle dottrine ufficiali sull’Aids – sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, la rivista della Accademia delle Scienze americana , è stata effettuata con l’impegno della rivista a pubblicare nel numero seguente una controreplica di Gallo.

Questo avveniva nel 1989 e a tutt’oggi Duesberg e i lettori la stanno ancora aspettando.

La cosa grave è che un tale silenzio è continuato anche quando, essendo addirittura affiorate segnalazioni documentate di frodi consistenti, non è avvenuta nessuna reazione adeguata.

Anche in queste occasioni la maggior parte della comunità scientifica ha fatto quadrato attorno a quelli che le hanno commesse, permettendo loro di continuare a muovere le fila della ricerca, dei fondi, delle pubblicazioni. Paradossalmente sono stati estromessi e isolati quelli che con coraggio hanno tentato di correggere – con una critica costruttiva, documentata e scientificamente valida – errori, distorsioni cognitive, non sequitur, chiari abusi empirici ed etici nelle sperimentazioni.

Aids e disinformazione

La grande stampa, le maggiori reti televisive, le principali riviste scientifiche hanno espresso la linea dei centri di potere scientifico operando una stretta censura sulle opinioni dissenzienti. In questo generale atteggiamento conformistico, alcuni canali d’informazione hanno, per la verità, riportato informazioni non allineate, ma non sono sinora riusciti a ribaltare la situazione. Come è stato possibile realizzare questo in un’epoca in cui Internet – che molto difficilmente può essere censurato – cominciava a dominare la scena mondiale? Se noi immaginiamo che la censura debba essere esplicita siamo in errore. La censura si può altrettanto bene, e forse meglio, esprimere attraverso il ‘consenso’ su teorie e fatti distorti. Di fatto, l’opinione pubblica e quella di settori specialistici è guidata proprio dal ‘consenso’ che viene espresso sui principali mezzi di comunicazione. È sufficiente controllare questi ultimi, e il gioco è fatto. Non serve la censura totale. È stata una singola eccezione il solo “Sunday Times” edito a Londra. Durante un periodo di alcuni anni (dal ’92 al ’94), ha pubblicato con grande rilievo articoli a tutta pagina sulla questione, (4) riscuotendo notevole successo e vivace dibattito tra i lettori. Erano firmati da un grande giornalista, Neville Hodgkinson, appassionato e nel contempo obbiettivo, capo-redattore della sezione scientifica. Tuttavia la mesta conclusione è stata che al direttore del giornale, che aveva resistito alle pressioni esterne affinché lo allontanasse, “è stato affidato altro incarico” e, di conseguenza, lo stesso Neville Hodgkinson ha dovuto andarsene.

Appare quindi perlomeno curioso che negli Stati Uniti la ‘società civile’ sia stata tanto orgogliosa e intransigente da mettere a lungo sotto processo il suo presidente in carica per qualche bugia sulla sua sfera privata, mentre, nel contempo, abbia tollerato che, in settori ben più importanti e seri come la ricerca sull’Aids, la manipolazione della verità non avesse conseguenze di sorta e anzi potesse continuare nel tempo.

Vedremo, nel seguito, come scorrettezze formali e sostanziali abbiano interessato il cuore della ricerca sull’Aids e di cosa siano stati capaci di fare e di dire i suoi protagonisti, tenendo ben presente che si tratta di una scelta a scopo esemplificativo di fatti un po’ meno noti tra i tanti di cui abbiamo notizia.

 

Irregolarità riguardanti la diffusione epidemica

Chi non ricorda i grandi e drammatici titoli sul dilagare della spaventosa epidemia, negli anni 1986-1995? Le autorità sanitarie qualificavano come bugiardi e pericolosi irresponsabili coloro che facevano notare come stime e previsioni e interpretazioni della cosiddetta epidemia fossero abbondantemente sbagliate. La verità, sempre tenuta nascosta, è che, appunto, l’epidemia di sieropositività non c’è mai stata, dall’inizio dell’uso dei test ad ora (anni 1986-1999).

Ecco cosa ammette nel 1994 Patricia L. Fleming, direttrice della Reporting and Analysis Section della Divisione Aids dei Centers for Disease Control (i famosi CDC di Atlanta) a proposito dell’incidenza della sieropositività di fronte a Luca Rossi che la intervista:

“Siamo in grado di controllare tutte le donne che partoriscono negli Stati Uniti, per cui ogni anno sappiamo esattamente quante partorienti sono sieropositive: … esattamente lo 0,17%. La prevalenza del virus è assolutamente stabile.”

Tale bassa prevalenza è confermata anche da un altro dato e cioè dalla percentuale di sieropositività tra le reclute, rimasta costante negli anni:

  • Luca Rossi: “È ragionevole pensare che lo 0,19% sia il tasso di sieropositività tra la popolazione eterosessuale?”
  • Patricia L. Fleming: “Si, è ragionevole”.

Considerando che le reclute e le partorienti sono un campione molto rappresentativo della popolazione eterosessuale, questo significa semplicemente assenza di epidemia nella popolazione generale.

Quando Luca Rossi chiede a Meade Morgan di fargli controllare le previsioni erronee effettuate negli anni precedenti, il capo dello Statistics and Data Management Branch della Divisione Aids dei CDC, risponde che non è possibile: “Ce l’abbiamo, ma sono documenti interni, non per la pubblicazione. Generalmente a nessuno interessa quello che abbiamo fatto nel passato: vogliono sapere cosa prevediamo per il futuro” (sic!).

Anche in Italia le stime sono state corrette ogni anno, con l’implicita contemporanea ammissione che erano sbagliate quelle degli anni precedenti (nel pieno dell”epidemia’, le stime dei sieropositivi sono andate sempre calando, dal 1987 al 1998.

Quest’anno (il 4/5/99) c’è stata una novità: è comparso un articolo sul “Corriere della Sera” in cui veniva ammesso quanto era stato negato con veemenza, fino ad allora, per 14 anni.

Ecco il titolo: “Aids, GLI ITALIANI TRA ALLARMISMO E IGNORANZA” e il sottotitolo: “L’epidemiologo: Si è esagerato con il terrorismo, ci vorrebbe una nuova campagna di informazione”. All’interno dell’articolo si riportano alcune dichiarazioni, che segnalano il brusco cambiamento di rotta. Il prof. Rezza (direttore del Centro Operativo Aids) dichiarava: “Forse abbiamo esagerato con il terrorismo. Ci vorrebbe una nuova campagna di informazione, basata su dati più oggettivi”.

Paolo Lusso, docente di malattie infettive a Bologna e responsabile della ricerca sull’Aids al San Raffaele di Milano, allievo di Gallo, invita alla cautela: “Negli anni scorsi c’è stato un allarmismo esasperato, seguito da un ottimismo parimenti ingiustificato. Prima la peste e gli untori, poi il vaccino dietro l’angolo. Colpa delle autorità sanitarie”.

In altre parole: questi studiosi esortano a smettere con l’allarmismo, nella speranza che nessuno ricordi quanto da loro sostenuto nel passato (confidando nella scarsa memoria degli italiani, naturalmente).

Le stesse autorità sanitarie che contribuivano ad allarmare il pubblico sostenendo l’esistenza di un’epidemia in fase di espansione, sapevano bene che i dati, da loro stessi forniti, la negavano.

Per evitare equivoci: gran parte dei ‘dissidenti’ sostengono che l’epidemia di ‘sieropositività’ in Occidente non si è verificata (da quando i test sono divenuti disponibili per indagini di massa il tasso di sieropositività è rimasto stabile), mentre quella di Aids ha avuto proporzioni molto ridotte ed è rimasta confinata a certi particolari gruppi a rischio, indice inequivocabile di una sua origine non infettiva. L”esplosione epidemica’ africana sarebbe dovuta -sempre secondo i dissidenti – a “stime” alte a piacere e ad una definizione ed una modalità di diagnosi molto differenti, rispetto a quelle utilizzate nei paesi occidentali. In altre parole, l’Aids in Occidente e l’Aids in Africa sarebbero entità non confrontabili (una buona parte di casi classificati come Aids in Africa non sarebbero tali in Europa) anche se le autorità sanitarie le considerano una stessa malattia e l’OMS continua a raggrupparle assieme.

 

Irregolarità riguardanti il vaccino

È utile premettere che il vaccino per l’Aids è sempre stato concettualmente irrazionale ed è facile spiegarlo: perché dovrebbero essere di qualche utilità gli anticorpi da vaccino, se si è sempre sostenuto che gli anticorpi contro il virus, rivelati dal famoso test, sono inefficaci nell’impedire la malattia e sono la base per una prognosi infausta? La risposta è che non c’è nessuna ragione plausibile neanche nell’ambito della teoria ufficiale.  La ragione del vaccino sta appunto nell’utilità degli anticorpi. Se non c’è quella, manca l’essenziale.

Sarà utile ricordare, inoltre, che i vaccini comportano rischi di reazioni collaterali, rischi di cui è indispensabile tenere conto, specie con gli immunodepressi.

Bene, tenendo presenti questi aspetti teorici non marginali, è interessante ricordare di cosa sono stati accusati nel 1991 Robert Gallo del National Cancer Institute di Bethesda (USA) e Daniel Zagury, dell’università parigina Pierre-et-Marie Curie. (10) Avevano sperimentato su bambini dello Zaire un vaccino ottenuto per esperimenti sulle scimmie, “nel massimo segreto”. Zagury si difese dalle accuse della comunità scientifica occidentale affermando che aveva ottenuto “il pieno supporto del comitato etico zairese”

Si può rimanere esterrefatti da simili affermazioni, ma Zagury si dimostrò presto ancora più disinvolto, sempre con la collaborazione di Gallo: almeno due pazienti con Aids da loro trattati con un vaccino sperimentale morirono per complicazioni legate al trattamento sperimentale.

Queste gravissime accuse sono sostenute dalle prove raccolte da un dermatologo francese, Jean Claude Guillaume, il quale aveva visitato un paziente che presentava delle lesioni necrotiche inusuali alla pelle; Guillaume non era stato in grado di effettuare una diagnosi, ma aveva fatto fotografie e preso dei campioni, che erano stati conservati. Il paziente era morto. Il mistero si era approfondito quando, alcuni mesi dopo, Guillaume aveva saputo da un collega che questo ultimo aveva visto un caso identico, anche quello fatale. Tutto gli si chiarì quando trovò una copia della rivista medica “The Lancet” in cui si parlava dell’esperimento di Zagury (e di ben altri 13 luminari, Gallo compreso), che consisteva nell’utilizzare, come vettore delle proteine dell’HIV, un altro virus, processato geneticamente e inattivato. Immediatamente capì che quelle lesioni erano da ‘vaccinia gangrenosa’ (provocata – in immunodepressi – da virus antivaioloso vivo).

Zagury, che allarmato telefonò a Guillaume, assicurò che i virus utilizzati in quegli esperimenti erano stati inattivati e l’ipotesi del dermatologo era assolutamente impossibile.

Ma i risultati dello studio istologico dei tessuti dimostrarono la presenza di virus vaccinico nelle cellule epiteliali del paziente confermando quanto sospettato.

Bene, nel rapporto preliminare (pubblicato nel luglio 1990 su “The Lancet”, appunto, si era precisato che una morte e 6 infezioni opportunistiche erano avvenute nel gruppo di controllo mentre nessuna complicazione e tantomeno decessi venivano menzionati nel gruppo dei vaccinati.

Oltre all’inganno della relazione fraudolenta, bisogna osservare che i due incidenti (da mancata inattivazione del virus) sono troppo strani per essere considerati dei semplici incidenti, primo perché sono avvenuti in laboratori altamente specializzati e con personale esperto, secondo perché sono avvenuti a mesi di distanza l’uno dall’altro. Questi elementi assommati alla mancanza di scrupoli etici degli autori, inducono inquietanti interrogativi e gettano ombre sinistre sul mondo e sul modo della ricerca medica. Infatti, se in quei laboratori al massimo livello non sono stati capaci di inattivare il virus vaccinico in più di una occasione, dimostrando una incompetenza e una leggerezza incredibili, di chi possiamo fidarci? Non dimentichiamo che ancora qualche anno dopo, Gallo aveva sostenuto a una conferenza sul tema che “l’unico modo di capire se un vaccino funziona è provarlo sul campo” (15) (ovvero sperimentarlo su popolazioni del terzo mondo, impossibilitate a dare un valido consenso informato, anche se le premesse teoriche e sperimentali sugli animali sono pessime).

Che non ci fosse nessun convincente appiglio teorico, come dicevamo, per poter sostenere le diverse sperimentazioni sugli umani, lo confermava a chiare lettere Dani Bolognesi, un collega e amico di Gallo, alla medesima conferenza tenuta nel 1994. Secondo l’esperto, il vaccino era “in un pantano” (16) sia dal punto di vista della ricerca che dei risultati! Per inciso, ora siamo alla fine del 1999 e il vaccino non c’è ancora, nonostante i ricorrenti ottimistici annunci.

Tornando a Gallo e Zagury, che conseguenze hanno avuto per la loro condotta? Hanno continuato a essere ospitati sulle principali riviste scientifiche, a proporre i loro esperimenti e a pontificare come niente fosse accaduto.

 

Le pesanti influenze economiche condizionanti la ricerca

Le pesanti implicazioni economiche nelle ricerche sono state ampiamente denunciate, tuttavia appaiono più evidenti quando sono ammesse dagli stessi esponenti degli istituti governativi.

Meade Morgan, dei CDC confessa a Luca Rossi:

“Molti si sono lamentati perché sostengono che non rappresentiamo correttamente le donne: e così, nella nuova definizione [dell’Aids, quella del 1993], abbiamo aggiunto il carcinoma uterino, che è una malattia caratteristicamente femminile.”

 Perché mai?

“Ci sono lobby molto forti di lesbiche.”

“Ma le lesbiche non hanno l’Aids.”

“No, è proprio di questo che si lamentano … e loro pensano che sia una discriminazione.”

Perché? Vogliono avere l’Aids?

“Non vogliono l’Aids, ma i soldi.”

Quando gli viene chiesto di esprimersi su Fauci, potente direttore del National Institute of Health, così si esprime Meade Morgan:

“… il suo lavoro è ottenere i soldi per la sua organizzazione, non c’è dubbio su questo. Penso che se ci fossero ragioni per sostenere la teoria delle concause, girerebbe la situazione a suo favore. Non direbbe: mi sono sbagliato. Direbbe: ecco qualcosa che dobbiamo studiare. E siccome non l’abbiamo ancora fatto, dateci il doppio per farlo.”

Sophie Chamaret, ricercatrice del gruppo di Montagnier, sollecitata da Rossi a esprimersi sul comportamento degli americani (in particolare Gallo e Fauci), dice:

“Negli Stati Uniti hanno un contratto, se non trovano niente entro un certo periodo, se non hanno pubblicazioni interessanti o un avanzamento del lavoro, arrivederci signori, è finita. Dunque bisogna che trovino qualcosa. Per questo diventano ladri. Hanno bisogno di trovare qualcosa, qualsiasi cosa.”

Duesberg  a proposito degli interessi francesi:

“Ci sono pressioni enormi. Pensi soltanto all’Istituto Pasteur di Parigi, dove lavora Montagnier. Ogni anno ricevono milioni di dollari dai test dell’IV. S’immagina? Dici che non c’è l’HIV? Bravo Luc, tornatene nella Legione Straniera. Abbiamo bisogno di soldi, baby.”

Quindi, sembra che talvolta la ricerca scientifica che porta al vero progresso non sia favorita dai fondi, ma paradossalmente ne sia negativamente influenzata.

 

Irregolarità riguardanti la dimostrazione del nesso causale Hiv-Aids

Uno degli argomenti di battaglia dei dissidenti è sempre stato il seguente: non c’è nessun lavoro che dimostri che l’HIV causa l’Aids. Tuttavia, sia in testi recenti che non recenti  tale dimostrazione viene attribuita ai lavori di Gallo e Montagnier  (pubblicati nel 1983 e 1984).

In verità, nei suoi lavori su “Science” del 1984, Gallo non ha mai fatto direttamente una simile asserzione. Neppure Montagnier lo ha fatto: per dirla con i loro termini, l’HIV (LAV o HTLV-III) era solamente “un buon candidato”, nulla più. Successivamente cambiarono radicalmente idea. Gallo, per esempio, dichiarò nel 1993:

“La prova inconfutabile che ha convinto la comunità scientifica che questa specie di virus è la causa dell’Aids è venuta da noi. La giusta crescita di questo virus proviene da questo laboratorio principalmente tramite Mika Popovic. Lo sviluppo di un esame del sangue sensibile, ben funzionante. Non penso che ci sia qualcosa da discutere. Penso che la storia parli da sé.”

Possiamo osservare che se gli stessi fatti ed esperimenti vengono interpretati un giorno in una maniera, un giorno in un’altra, senza alcuna giustificazione, allora si tratta di operazioni politiche (nel senso spregiativo del termine), e non scientifiche.

Ben se ne è accorto Luca Rossi, alle cui stringenti domande sia Montagnier che Gallo non hanno saputo rispondere se non con argomenti circolari. Ecco cosa è arrivato al punto di dire Montagnier:

“Non è importante sapere la causa. È importante trovare una cura o un vaccino. Non è necessario dimostrare qual è la causa. Lo sarebbe per quelli come Duesberg, per farli tacere.”

Insomma sarebbe importante sapere, ossia dimostrare, la causa dell’Aids solo per far tacere quelli come Duesberg! Non poteva chiarire meglio il suo pensiero.

Gallo non è da meno: a Luca Rossi che gli pone la stessa domanda (su quale sia la prova definitiva che l’HIV causa l’AIDS), risponde:

“E già stata data.”

“Ma dov’è?”

“Io non vedo alcun problema e non ne voglio parlare.”

Gallo insomma rifiuta la risposta, anche se poco prima, nella medesima intervista, aveva ribadito che “un’ipotesi deve essere provabile e provata: il resto sono parole a vanvera.”

Ognuno giudichi se i suoi comportamenti siano conseguenti a quest’ultima affermazione epistemologica.

Il commento di Rossi è notevole nell’evidenziare le fallacie logiche di queste pseudo-argomentazioni:

“Qual è la prova? Che se avremo il vaccino vinceremo. Magnifico. Qual è la prova che l’HIV causa l’Aids? La prova è che se avremo un vaccino contro l’HIV preverremo l’Aids. Già. Ma qual è la prova? Qual è la prova che l’HIV causa l’Aids? La prova è che un giorno l’avremo. Non ce l’abbiamo, finora. Abbiamo un vaccino? No, non l’abbiamo, ma l’avremo. Avremo un vaccino contro qualcosa che quando avremo il vaccino sapremo che cos’era. Sapremo perché abbiamo inventato questo vaccino solo dopo che l’avremo inventato. Sappiamo qual è la causa dell’Aids? Possiamo dimostrarla? No, ma quando avremo sconfitto l’Aids lo faremo. Per adesso non possiamo, ma siamo fiduciosi. La prova che siamo nel giusto è che quando avremo il vaccino sapremo qual era la malattia, sapremo da cosa ci deve difendere il vaccino. Prima dobbiamo trovarlo, poi sapremo perché l’abbiamo trovato…. Non sappiamo come lavora, il virus, ma sappiamo che se lo sconfiggeremo avremo la prova che bisognava sconfiggerlo, la prova finale.”

A questo punto, poiché non possiamo fidarci troppo di scienziati interessati più alla politica della ricerca che all’accertamento della verità, è utile considerare cosa questi scienziati fecero nei lavori pubblicati nel 1983-84, considerati fondamentali e già citati.

 

 

Irregolarità riguardanti la scoperta del virus

Molti ricordano che si protrasse a lungo la discussione su chi, tra Gallo, Montagnier e pure Weiss, avesse effettivamente isolato per primo il virus HIV. Tutti e tre si sono infatti considerati suoi ‘co-scopritori’. Tutti e tre vantarono di aver ottenuto degli isolati pressoché identici a quello iniziale proveniente dal laboratorio Pasteur di Parigi. Pensavano allora che questo potesse essere una conferma reciproca, poiché una identità biologica, quale un virus, avrebbe dovuto essere come tutte le altre: stabile e identica a sé stessa. Invece all’epoca non sapevano ancora quello che essi stessi avrebbero sostenuto in seguito e cioè che neppure nello stesso paziente gli ‘isolati’ coincidono. Anzi, una enorme, incredibile variabilità sarebbe stata la regola.

Nel caso dell’HIV la differenza del corredo genetico arriverebbe al 10%, 13% e fino a oltre il 40% mentre fino allora differenze dell’1% nell’ambito della stessa specie venivano considerate come ‘estrema variabilità’ – il nostro patrimonio genetico differisce per il 2% da quello degli orangoo-tan e per l’1% da quello degli scimpanzée –). Come potevano allora i loro primi ‘isolati’ essere uguali, se provenivano, come sostenuto, da pazienti diversi in tempi differenti? “Si son rubati l’un l’altro dei diamanti falsi”, è stato il sarcastico e puntuale commento di Duesberg.

Gli aspetti poco limpidi non si limitano a questo; una commissione governativa statunitense (nominata dall’OSI, Office of Scientific Integrity dell’NIH) appurò nel 1991 che nei laboratori di Gallo c’erano “differenze tra quanto venne descritto e quanto venne fatto” (nei lavori pubblicati nell’aprile 1984 su “Science”). Il collaboratore di Gallo, Popovic, venne accusato di “condotta riprovevole per dichiarazioni false e inesattezze” e si concluse che Gallo “come capo di laboratorio creò e favorì condizioni che diedero origine a dati falsi/inventati e a relazioni falsificate”. Ciò nonostante, questa commissione si affrettava ad aggiungere nel rapporto che i risultati ottenuti con quei … ‘dati’ e quelle relazioni falsificate non venivano compromessi! (30) Sotto un certo punto di vista non avevano tutti i torti: se infatti si fingesse che quei dati fossero veri, il risultato non cambierebbe, anche se opposto a quello vantato. Gallo stesso sostenne che quello descritto da Montagnier nel 1983 “non fu vero isolamento”, mentre il suo sì. Eppure Gallo adottò esattamente le stesse procedure di laboratorio. Procedure che non gli avevano portato molta fortuna alcuni anni prima e che vale la pena di riconsiderare.

Quel che avvenne lo spiega Eleni Papadopulos Eleopulos, ricercatrice australiana ed uno dei maggiori critici della teoria infettiva:

“Nel 1984 Gallo aveva già passato più di una decina d’anni nella ricerca dei retrovirus e del cancro. Era uno dei molti virologi coinvolti nel decennio della guerra contro il cancro del Presidente Nixon. Verso la metà degli anni ’70 Gallo affermò di aver scoperto il primo retrovirus umano in pazienti affetti da leucemia. Affermava che i suoi dati provavano l’esistenza di un retrovirus che egli chiamò HL23V. Ora, proprio come avrebbe fatto più tardi per l’HIV, Gallo usò le reazioni agli anticorpi per ‘provare’ quali proteine nelle colture erano proteine virali. E non molto tempo dopo altri proclamarono di aver trovato gli stessi anticorpi in molte persone che non avevano la leucemia. Comunque, pochi anni dopo si dimostrò che questi anticorpi capitavano in modo naturale ed erano diretti contro molte sostanze che non avevano niente a che fare con i retrovirus. Allora ci si rese conto che l’HL23V era un grosso errore. Non vi era alcun retrovirus dell’HL23V. Così i dati di Gallo diventarono motivo di imbarazzo e ora l’HL23V è scomparso. Quello che ci sembra interessante è sapere che la dimostrazione usata per affermare l’esistenza dell’HL23V è lo stesso tipo di dimostrazione data per provare l’esistenza dell’HIV. In effetti la prova dell’HL23V era migliore di quella dell’HIV”.

 

La fotografia del virus

È quasi inevitabile a questo punto obiettare che sono state mostrate diverse fotografie dell’HIV, diventa necessario perciò ridimensionare anche questo argomento.

Il virus, per essere isolato, deve prima essere concentrato e purificato con una procedura che dal punto di vista teorico e tecnico è relativamente semplice (si tratta di una particolare tipo di centrifugazione e poi di una verifica al microscopio elettronico).

Ma Montagnier non riuscì a trovarlo proprio in quel materiale concentrato dove avrebbe dovuto esserci ‘virus puro’ (da dove, per esempio, vengono ricavati i reattivi per i vari test…):

“Vedemmo alcune particelle, ma non avevano la morfologia tipica dei retrovirus…Ripeto, noi non purificammo.”

In altre parole Montagnier dice: noi non isolammo l’HIV, noi non dimostrammo la sua esistenza. È difficile essere più chiari.

La fondamentale osservazione – che solitamente viene taciuta – è che le particelle fotografate e spacciate per virus HIV possono trovarsi sia in colture cellulari ‘infette’ sia in quelle ‘non infette’, indice di non specificità. Ed è perciò che l’intervistatore, Djamel Tahi, chiede:

“Non poteva essere qualcosa d’altro invece di un retrovirus?”

Luc Montagnier: “No… beh, dopo tutto, sì… poteva essere un altro virus a sporgere [dalla cellula]. Ma c’era un… noi abbiamo un atlante.”

 

Conclusione

In questa sede abbiamo sostenuto che anche nella ricerca scientifica sono molto comuni comportamenti scorretti, del tutto simili a quelli riscontrabili nel resto della società, anche se molti continuano a rifiutare quest’idea. Fin dal 1987 sono affiorate irregolarità e autentiche frodi nella ricerca sull’Aids, ma la loro pubblicazione non ha sortito l’effetto di provocare una reazione correttiva. Eppure la gravità delle denunce e la pesantezza delle implicazioni è manifesta anche nei pochi esempi – scelti tra i tanti possibili – che sono stati qui descritti (irregolarità riguardanti l’epidemiologia, il vaccino, la distribuzione dei fondi, la dimostrazione del nesso causale HIV-Aids, la stessa dimostrazione dell’esistenza dell’HIV). I responsabili non sono stati perseguiti, bensì incoraggiati nei loro comportamenti. La censura operata sui grandi mezzi di comunicazione è stata sufficiente – almeno sinora – a guidare l’opinione pubblica e quella scientifica.

Se ne è reso conto in modo drammatico lo stesso Luca Rossi, il quale, sicuro di poter finalmente rivelare ai suoi lettori il frutto della sua accurata inchiesta con uno scoop eccezionale (dalle pagine di un importante settimanale), si è sentito rispondere dal suo direttore:

“Caro, dice, ricordati una cosa. Noi siamo la verità, qui. La verità. Se pubblichiamo una cosa del genere è un casino. E io devo pensare al mio culo di direttore. Questo dice. Caro.”

La conclusione sconfortante è che noi dobbiamo arrenderci al fatto che molti hanno le loro parti meno nobili da difendere? Questo atteggiamento andrebbe forse bene se il nostro compito di ricercatori e di scienziati fosse solo quello di dare un resoconto delle umane deficienze, ma è palesemente insufficiente per gli scopi di una società libera dove il progresso della verità può sorgere solo dalla discussione libera e spregiudicata. Questa discussione è stata ed è scoraggiata. Non è certamente la prima volta che ciò accade nella storia della scienza. A nostro parere, tuttavia, la connessione tra salute, sesso, morte rende l’episodio delle distorsioni nella ricerca sull’Aids particolarmente grave. Il tutto è stato aggravato dall’atteggiamento conformistico della quasi totalità degli organi di informazione.

Il coraggioso scritto di Luca Rossi, dal quale abbiamo preso le considerazioni e stralci delle sue interviste, si conclude infatti con accenti sconfortati e pessimistici, che ne accrescono, se possibile, la qualità intellettuale. Ma la lettura del suo coinvolgente libro e l’indagine su questo caso di inganno scientifico insegnano per lo meno che l’atteggiamento critico nei confronti delle opinioni, delle dottrine e delle teorie dominanti deve essere continuamente rinnovato per essere autentico. Si tratta, oltre tutto, di un atteggiamento che è indispensabile trasmettere a chi ha la responsabilità della formazione delle nuove leve di intellettuali e ricercatori.

 

 

 

Note.

 

(1) Comunicazione personale a Fabio Franchi. back

(2) L. Rossi, Sex virus, Milano, Feltrinelli, 1999 p. 383. back

(3) P. Duesberg Human Immunodeficiency virus and acquired immunodeficiency syndrome: Correlation but not causation, “Proceedings of the National Academy of Sciences”, 1989; 86:755-764. back

(4) N. Hodkinson (elenco dei 12 articoli pubblicati sul “Sunday Times” dal 1992 al 1994). http://www.virusmyth.com/aids/index/nhodgkinson.htm. back

(5) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 105. back

(6) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 112. back

(7) L. Rossi, Sex virus, cit. p. 118. back

(8) Centro Operativo AIDS. ISS. Aggiornamento dei casi di AIDS notificati in Italia) Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità (Aggiornamenti periodici). back

(9) L. De Marchi & F. Franchi, AIDS la grande truffa, Roma, SEAM, 1996, p 69-79. back

(10) Vaccino anti-AIDS inchiesta in Francia, “Il Medico d’Italia”, 1991; 1904: 2. back

(11) Death in vaccine trial trigger French enquiry, “Science”, 1991;252:501-2. back

(12) Death in vaccine trial trigger French enquiry, cit. back

(13) O. Picard, P. Giral, M.C. Defer et alii (14 autori tra cui anche R. Gallo!), AIDS vaccine therapy: phase I trial, “The Lancet”, 1990; 336:179. back

(14) P. Dri, Il vaccino anti-AIDS nella bufera, “Tempo Medico”, 1 maggio 1991. back

(15) R. C. Gallo intervento in “AIDS and related diseases 1994” (Meeting). CRO, Aviano (Italy), 9 Aprile, 1994 (registrazione personale di Fabio Franchi). back

(16) D. Bolognesi, intervento in “AIDS and related diseases 1994” (Meeting). CRO, Aviano (Italy), 9 Aprile, 1994 (registrazione personale di Fabio Franchi). back

(17) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 119. back

(18) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 120. back

(19) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 392. back

(20) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 390. back

(21) L. Rossi, Sex virus, cit., pp. 254-5. back

(22) De Vita VT, Jr., Hellman S., Rosenberg SA. Curran J., Essex M. and A S Fauci. AIDS: Biology, Diagnosis, Treatment and Prevention, Lippincott-Raven Publishers, 19974, pp 177-195. (un autore è A. Fauci, ex direttore del National Institute of Health). back

(23) Mandell/Douglas/Bennet. Principles and Practice of Infectious Diseases, Wiley Medical, 19852, p 1670. back

(24) M. Popovic, M. G. Sarngadharan, E. Read, et alii, Detection, Isolation,and Continuous Production of Cytopathic Retroviruses (HTLV-III) from Patients with AIDS and Pre-AIDS, “Science”, 1984; 224: 497-500; R. C. Gallo, S. Z. Salahuddin, M. Popovic, et alii, Frequent Detection and Isolation of Cytopathic Retroviruses (HTLV-III) from Patients with AIDS and at Risk for AIDS, “Science”, 1984; 224: 500-502. back

(25) F. Barré-Sinoussi et alii (including L. Montagnier), Isolation of a T-lymphotropic retrovirus from a patient at risk for aquired immune deficiency syndrome (AIDS), “Science”, 1983; 220: 868-871. back

(26) “The Plague”(La piaga, il flagello), documentario televisivo, USA 1993. back

(27) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 319. back

(28) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 395. back

(29) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, D. Causer, The Isolation of HIV. Has it Really Been Achieved? The Case Against, “Continuum”, Sept/Oct, 1996; 4(3):1-24. back

(30) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, Has Gallo Proven the Role of HIV in AIDS? “Emergency Medicine”, 1993; 5: 5-147. back

(31) C. Johnson, Is HIV the Cause of AIDS? An interview with Eleni Papadopulos-Eleopulos, “Continuum”, Autumn 1997. back

(32) I tre principali criteri di isolamento utilizzati da Gallo e Montagnier: a) reazione anticorpale al test dell’AIDS (e ricerca dell’antigene), b) attività transcriptasica inversa, c) presenza di particelle similvirali in colture cellulari ‘infettate’ e stimolate con PHA. back

(33) E. Papadopulos-Eleopulos, V. Turner, J. M. Papadimitriou, Has Gallo Proven the Role of HIV in AIDS? “Emergency Medicine”, cit. back

(34) V. Turner, What Is the Evidence for the Existence of HIV?, http://www.virusmyth.com/aids/data/vtevidence.htm. back

(35) V. Turner, Do HIV Antibody Tests Prove HIV Infection?, http://www.virusmyth.com/aids/data/vttests.htm. back

(36) S. Zolla-Pazner et alii, Reinterpretation of HIV Western Blot Patterns, “New England Journal of Medicine”, 1989; 320:1280-1. back

(37) J. Maddox, Aids research turned upside down, “Nature”, 1991; 353:2. back

(38) E. P. Eleopulos, V. Turner, and J. M. Papadimitriou, Is a positive Western Blot Proof of HIV Infection?, “Bio/Technology”, 1993;11: 696-707; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, “Leadership medica”, 1998,7:18-33. back

(39) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? “I repeat, we did not purify”, “Continuum”, 1997; 5: 30-4. back

(40) E. P. Eleopulos, V. Turner, and J. M. Papadimitriou, Is a positive Western Blot Proof of HIV Infection?, “Bio/Technology”, 1993;11: 696-707. back

(41) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? “I repeat, we did not purify”, “Continuum”, 1997; 5: 30-4; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, cit. back

(42) D. Thai (interview to Luc Montagnier), Did Luc Montagnier discover HIV? “I repeat, we did not purify”, “Continuum”, 1997; 5: 30-4; F. Franchi, Alla ricerca del virus HIV, cit. back

(43) L. Rossi, Sex virus, cit., p. 314. back

 

ALLEGATI

Una  intera Sezione

 

 

 

 

 

 

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HIV e la frode scientifica del nostro secolo

 DOCUMENTI GOVERNATIVI UFFICIALI

Reportage e documenti aggiornati anno 2015

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Prima di procedere nella lettura consigliamo la visione dei seguenti documentari.

PER INFORMAZIONI E APPROFONDIMENTI :
 
Intervista al Dottor Pisani (in due parti):
 
-https://www.youtube.com/watch?v=WLuyxIx2Tfk
-https://www.youtube.com/watch?v=hCNgBJP1oXw-
 
-“House of Numbers Epidemiologia e Aids”
– https://www.youtube.com/watch?v=BwgmzbnckII
 
-“HIV-AIDS 2014: Ricercatore smaschera e rende pubblica la truffa dell’HIV”
– https://www.youtube.com/watch?v=hHcm3KUcM8o
 
-“L’Altro lato dell’Aids”
– https://www.youtube.com/watch?v=PBYmlXGxI94
 
-“The Emperor’s New Virus?”
-https://www.youtube.com/watch?v=PQFxratWh7E
 
-“La scienza del panico”
– https://www.youtube.com/watch?v=0fu-qy4X-WI
 
– HIV INFORMA: Intervento Prof. Marco Ruggiero
– https://www.youtube.com/watch?v=2VCeQyaV3Bw
 
-Daniele Mandrioli “DOES HIV CAUSE AIDS?”.
– https://www.youtube.com/watch?v=kzeD8Bbu-zk

Il 23 aprile 1984 il Dr. ROBERT GALLO affermò in una conferenza stampa con l’allora segretaria del Ministero della Salute statunitense MARGARET HECKLER che:

“la PROBABILE causa dell’AIDS era stata individuata, un virus chiamato HTLV-3 (oggi chiamato HIV); contiamo di avere un vaccino pronto entro 2 anni”.

Tale conferenza stampa venne effettuata prima che Gallo sottoponesse la sua ricerca e i suoi esperimenti alla comunità scientifica per poterne verificare la validità. 24 ore dopo il primo “test” ipoteticamente destinato all’individuazione degli anticorpi del “virus” nel sangue umano era già stato brevettato ed era pronto per essere venduto in tutto il mondo.

I documenti ufficiali che “provano” questa “scoperta” sono riportati nelle due pagine seguenti.


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Il giorno 26 marzo 1984 il dr. MATTHEW GONDA (che venne incaricato da Gallo e assistenti di fotografare il “virus” al microscopio elettronico al fine di verificarne l’effettiva esistenza tramite il protocollo standard microbiologico per poter così inviare le immagini alla rivista Science per la sua pubblicazione) scrive a Gallo e alla sua équipe che:

“…le particelle osservate sono solo FRAMMENTI DI UNA CELLULA DEGENERATA” e che “…NON CREDO AFFATTO CHE LE PARTICELLE FOTOGRAFATE SIANO IL VIRUS HTLV-3 (HIV)”.

Il collaboratore di Gallo, il Dr. MIKA POPOVIC scrisse nella sua ricerca (si veda il documento originale nella pagina seguente) che:

“nonostante intensi sforzi nella ricerca, l’agente patogeno causa dell’aids non è stato ancora identificato”.

Gallo, come si può notare nella bozza originale pronta per la pubblicazione su Science, depennò tale frase e la sostituì con una che affermava il contrario. E spedì il suo articolo alla rivista Science che lo pubblicò il 4 maggio del 1984..

(cliccare sulle immagini per ingrandirle e renderle visibili)

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Nel 2008, 37 scienziati inviarono una lettera a Science chiedendo che l’articolo del 1984 di Gallo venisse immediatamente ritirato poiché le prove di come fosse stato volutamente contraffatto erano tali da renderlo inaccettabile dal punto di vista scientifico e morale. Tale lettera è ancora in attesa di risposta.

Lo stesso governo USA avviò vari procedimenti disciplinari contro GALLO con l’accusa di frode scientifica, come dimostrato dai documenti seguenti.

 DOCUMENTI UFFICIALI: ROBERT GALLO DENUNCIATO PER FRODE SCIENTIFICA DALL’ OFFICE FOR RESEARCH INTEGRITY, ACADEMY OF SCIENCE E INSTITUTE OF MEDICINE.

 

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UNA LISTA DI PATOLOGIE DA SEMPRE ESISTITE PER CONTRAFFARE LE STATISTICHE,QUESTA E’ LA « MEDICINA POLITICA » DEL CDC

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In 5 anni le patologie indicatrici di « AIDS » passano misteriosamente da 12 a 25:

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E nel 1992 il CDC inserisce ancora altri 4 « nuovi indicatori di AIDS », raddoppiando così immediatamente i casi di « AIDS » negli USA. Dal 1992 è quindi possibile essere in perfetto stato di salute ma allo stesso tempo avere l’AIDS se si risulta « positivi » al « test HIV » e se le cellule T sono sotto un certo « cut-off » stabilito in modo arbitrario. La tubercolosi polmonare venne aggiunta alla lista: se un soggetto presenta una tubercolosi ma è « sieronegativo » ha quindi la tubercolosi; se ha la tubercolosi ma è « sieropositivo » ha l’AIDS. Il CDC aggiunse inoltre il cancro della cervice uterina per incrementare le statistiche dei soggetti di sesso femminile affette da « AIDS » visto che il 90% dei soggetti continuava ad essere solo ed esclusivamente di sesso maschile, cosa ovviamente incompatibile con qualunque tipo di infezione virale. Infine, aggiungendo anche la conta delle cellule T, il 61% di tutti i nuovi casi di « AIDS » era costituito da soggetti sani senza alcun tipo di patologia.

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Cenni Storici

Una « scoperta » scientifica annunciata in conferenza stampa, senza nessuna pubblicazione peer-reviewed; un articolo falsificato, un protocollo di isolamento e purificazione virale mai rispettato e un test brevettato in 24 ore. La nascita di un’epidemia mediatica.

Lo stesso giorno della conferenza stampa, Gallo depositò il brevetto per il procedimento del test oggi conosciuto come “test per l’Aids” e, il giorno successivo, The New York Times tramutò la teoria di Gallo in una certezza, pubblicando notizie sensazionali sul “virus che causa l’Aids”.Annunciando ai media la propria ipotesi senza produrre dei dati concreti, Gallo violò una regola fondamentale del procedimento scientifico. Innanzitutto, i ricercatori sono tenuti a far pubblicare su un giornale medico o scientifico l’evidenza di un’ipotesi, documentando le ricerche o gli esperimenti condotti per formularla.

Quindi, alcuni esperti esaminano e discutono l’ipotesi,tentando poi di ripetere gli esperimenti originari per confermare o smentire i risultati iniziali. Ogni nuova ipotesi, prima di venir considerata una teoria plausibile, deve reggere all’esame minuzioso di specialisti in quello stesso ambito ed essere verificata tramite esperimenti ad esito favorevole.Nel caso dell’Hiv, Gallo annunciò pubblicamente un’ipotesi non confermata e i media riportarono questa sua opinione come fosse un fatto accertato, incitando i funzionari del governo ad impegnarsi in un nuovo piano d’azione per la salute pubblica basato sull’idea, non comprovata,dell’esistenza di un virus dell’Aids.

La più importante delle regole standard per l’isolamento di un retrovirus in colture cellulari umane prevede la liberazione del materiale cellulare ottenuto nella coltura da tutte “le impurità”, a eccezione delle particelle retrovirali sospette, frutto della gemmazione dalle membrane dopo la stimolazione della coltura cellulare (budding). Queste particelle, presunti retrovirus, devono essere separate dal liquido cellulare tramite centrifugazione ad altissima velocità e quindi catturate in una soluzione di glucosio. Basandosi su ricerche sperimentali, era ben noto che in questa procedura i retrovirus si raccolgono nella soluzione di glucosio ad una certa profondità in forma di gradiente di densità. La tecnologia di laboratorio prevede una misura di 1,16 gm/ml.

Molecole, frammenti di cellule, particelle virali e non virali del liquido cellulare centrifugato di diverse colture si raccolgono in questo gradiente di densità, in quanto i componenti si distribuiscono nella soluzione di glucosio non in base al peso molecolare ma secondo la densità dei componenti. Per garantire quindi che le presunte particelle virali siano raccolte in corrispondenza del gradiente di densità di 1,16 gm/ml, è necessario applicare una procedura di purificazione e di concentrazione, visto che solamente la raccolta delle particelle in corrispondenza del gradiente di densità consente di verificare se il diametro e il volume di queste particelle corrispondono effettivamente alle particelle retrovirali sospette, osservate al microscopio elettronico in fase di gemmazione dalla membrana cellulare (purificazione).

Le colture cellulari contengono numerose particelle non virali, con forma, aspetto e struttura tali da non permetterne la distinzione con ragionevole certezza dai veri retrovirus; perciò, dopo l’effettivo isolamento tramite purificazione, il contenuto delle particelle deve essere preparato biochimicamente. Con una procedura di routine della biologia molecolare, le proteine del guscio delle particelle, compresa la proteina enzimatica caratteristica dei retrovirus e gli acidi nucleici all’interno del guscio delle particelle, devono essere identificati con precisione.

Se le proteine e gli acidi nucleici nelle particelle isolate e purificate presentano una struttura identica e se gli acidi nucleici in queste particelle formano molecole di RNA invece del DNA, solo così c’è qualche probabilità che si tratti di particelle retrovirali delle cellule umane. Una prova certa dell’esistenza di un retrovirus nelle cellule umane è possibile solo se le molecole RNA in queste particelle costruiscono dei geni contenenti le istruzioni codificate per la biosintesi delle proteine contenute nelle particelle stesse, e se queste proteine possono effettivamente essere sintetizzate in maniera identica. Una volta disponibili queste certezze, non è ancora certo che queste particelle retrovirali appartengano a virus esogeni, trasmettibili e infettivi. Infatti si potrebbe trattare anche di retrovirus endogeni, identificati in una grande varietà nel genoma di numerosi tipi di cellule umane, e che non sono affatto infettivi.

Per una differenziazione fra retrovirus esogeni ed endogeni nelle cellule umane, i retrovirus effettivamente isolati e caratterizzati biochimicamente devono essere trasmessi a colture cellulari umane, presentare nuovamente la gemmazione dalle cellule, essere nuovamente isolati e purificati, deve essere confermato l’isolamento tramite fotografie al microscopio elettronico, deve essere dimostrata l’identità biochimica delle proteine e degli acidi nucleici e l’RNA delle particelle deve essere un genoma codificato per la sintesi proteica specifica delle particelle retrovirali.

Verso la metà del 1983, l’ipotesi irrazionale della “letale epidemia sessuale dell’Aids” era già stata programmata nella psicologia di massa, sulla base di qualche centinaio di casi dal 1978 fra gli omosessuali passivi con prolungata inalazione di nitriti e anni di abuso di antibiotici. In stretta cooperazione fra specialisti di laboratorio della ricerca oncologica retrovirale, le autorità sanitarie statali e i mass media, nel 1983 era già stato deciso che la malattia dell’Aids dovesse essere la conseguenza di un nuovo “agente patogeno” e di una “letale epidemia trasmessa con il sesso e il sangue”. Si trattava solamente di decidere a chi la “mano invisibile del mercato” avrebbe concessola commercializzazione a livello mondiale dei kit diagnostici.

La squadra di Gallo con ogni evidenza doveva guadagnare tempo per individuare il trucco di laboratorio decisivo che permettesse di isolare una quantità sufficiente di “Hiv” per produrre le “proteine Hiv” in numero sufficiente per i test di massa. La “produzione di Hiv” in provetta non era sufficiente a questo scopo. La richiesta di brevetto di Montagnier per un “test antiHiv” venne rifiutata negli Stati Uniti; la richiesta di brevetto dell’Istituto Nazionale del Cancro degli USA per il « test hiv » di Gallo venne approvata in tempi record, prima ancora che lo stesso Gallo avesse pubblicato una sola riga sull’“isolamento dell’Hiv” e sullo sviluppo di un “test antiHiv” sulla base delle proteine dell’“Hiv” da lui isolato. Solo dopo anni di contenzioso giuridico fra gli Stati Uniti e la Francia, i diritti di brevetto per il “test anti Hiv” furono riconosciuti a Gallo e Montagnier in occasione di un vertice fra l’allora presidente Reagan e l’allora sindaco di Parigi Chirac; in un gesto apparentemente nobile, questi diritti vennero conferiti alla Fondazione mondiale anti Aids di cui Montagnier divenne presidente.

In realtà questa assurda controversia permetteva di distogliere l’attenzione dal problema vero: e cioè il fatto che né Gallo, né Montagnier avevano mai “isolato” un retrovirus umano e l’origine retrovirale delle proteine del “test Hiv” non era mai stata dimostrata. Per l’opinione pubblica mondiale, il fatto che due specialisti di famosi istituti di ricerca come l’Istituto Pasteur e l’Istituto Nazionale del Cancro degli USA combattessero per il riconoscimento degli onori della scoperta,doveva per forza significare che il “nemico numero uno dell’umanità” (presidente Reagan 1984)esisteva realmente e quindi doveva essere la causa della “più tremenda epidemia del XX secolo”(Gallo 1991) e il “test dell’Aids” doveva proteggere la popolazione mondiale da questa “epidemia di massa letale” .

Ma nel periodo dal 1983 al 1997, le immagini al microscopio elettronico dei componenti proteici del gradiente di densità non sono mai state pubblicate né da Montagnier e Gallo né da alcun altro retrovirologo. Le prime immagini al microscopio elettronico del gradiente di densità in fase di “isolamento dell’Hiv” sono state pubblicate da due gruppi di ricerca nel marzo 1997, vale a dire 14 anni dopo la prima pubblicazione del presunto “isolamento dell’Hiv” a cura di Gallo e Montagnier (Bess 1997, Gluschankof 1997).

A detta di uno dei pionieri della microscopia elettronica per il controllo dell’isolamento retrovirale in cellule di mammiferi, il professore di medicina De Harven, queste immagini al microscopio elettronico presentano “risultati disastrosi” (De Harven 1998a). Le prime immagini al microscopio elettronico, a comprova del materiale cellulare del gradiente di densità dopo “l’isolamento dell’Hiv” da cellule umane, mostrano “praticamente solo del materiale citologico” delle cellule umane nella coltura (Papadopulos-Eleopulos 1998a).

Quindi, 14 anni dopo il presunto “primo isolamento dell’Hiv” e 13 anni dopo l’applicazione del “test Hiv” viene messo in evidenza che i retrovirologi e oncologi Montagnier e Gallo avevano semplicemente simulato “l’isolamento dell’Hiv” e che le proteine alla base degli antigeni per il “test Hiv” non sono altro che proteine residuali e di scarto delle colture cellulari umane. Il risultato di “sieropositività” perciò non significa altro che la reazione di un livello di anticorpi naturale, seppure aumentato, nel siero dei probandi .

HIV e IDROCORTISONE: UNA ENNESIMA PROVA DELLE FALSIFICAZIONI DI ROBERT GALLO

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A comprova delle sue pratiche di falsificazione, Gallo ha lasciato una traccia del delitto.

Nel 1984, il gruppo di Gallo aveva utilizzato linfociti T helper di omosessuali affetti da AID e AIDS “per la documentazione, per l’isolamento e la produzione continua di retrovirus citopatici”, nonché per la produzione del “test anti HIV” [Popovic 1984, Gallo 1984, Schupbach 1984, Sarngadharan 1984].

A questi lavori di laboratorio avevano partecipato anche collaboratori esterni.

Due di questi collaboratori erano a servizio della Litton Bionetics, Kensington MD, USA. Nel 1987 questi riferirono sui metodi con cui il gruppo di Gallo aveva trattato i lingociti T helper di omosessuali affetti da AID e AIDS. Essi comunicarono tra l’altro: “La stimolazione in vitro poteva essere raggiunta tramite mitogeni o cellule aggiunte (antigeni allogeni).

Certe manipolazioni delle condizioni colturali miglioravano il risultato, ad esempio la coltivazione di cellule dei pazienti insieme a globuli bianchi periferici, stimolati con mitogeni e provenienti da donatori non infetti. Anche l’isolamento del retrovirus delle cellule coltivate fu notevolmente facilitato tramite l’aggiunta di IDROCORTISONE nella coltura [Sarngadharan 1987].

Le affermazioni degli scienziati che avevano partecipato all’ “isolamento dell’HIV” nel laboratorio di Gallo, confermano “l’isolamento HIV” simulato e l’uso di proteine liberate dalle cellule umane coltivate come antigeni proteici per il “test antiHIV”:

1-L’idrocostisone è un glucocorticoide.

2-I glucocorticoidi inibiscono la proliferazione e la replica dei linfociti T helper umani. In tutte le condizioni fisiologiche, fisiopatologiche, psicologiche e psicopatologiche di stress, essi provocano un’immunosoppressione efficace [Gabrielsen 1967, Machinodan 1970].

3-I retrovirus esistenti nei linfociti T helper possono riprodursi solo se gli enzimi per la duplicazione e la divisione della sequenza di DNA dei linfociti T helper, e cioè le DNA polimerasi, sono presenti e attive [Levine 1991].

4-I glucocorticoidi inibiscono la sintesi e l’attività delle DNA polimerasi dei linfociti T helper [Gillis 1979, 1979b].

5-I glucocorticoidi inibiscono l’espressione genetica dell’enzima NO sintasi per la produzione dell’NO citotossico a livello di trascrizione genetica e di traduzione dei trascritti RNA nella biosintesi proteica [Kunz 1996].

6-I glucocorticoidi favoriscono la sintesi di enzimi di riparazione e di processi di riparazione nei linfociti T helper [Brattstad 1996, Lincoln 1997].

7-La conditio sine qua non, vale a dire la condizione indispensabile per la produzione dell’ “HIV” nei linfociti T helper, è la stimolazione con la citochina di tipo 1 IL-2 [Gallo 1984, Montagnier 1985] e mitogeni. I glucocorticoidi bloccano l’azione dell’IL-2 e dei mitogeni [Gillis 1979°, 1979b].

8-La produzione di citochine di tipo 1 nell’organismo umano è soggetta a un ritmo giorno/notte. Quando, durante le ore notturne e mattutine, il livello di glucocorticoidi (cortisolo) nel siero è più basso, la produzine di citochine infiammatorie di tipi 1 è massima [Petrovsky 1998].

9-I glucocorticoidi sono usati clinicamente per il trattamento di iperattività da citochine di tipi 1 in numerose patologie infiammatorie e autoimmunologiche, leucemie e tumori, ma anche nei pazienti organo trapiantati, per impedire il rigetto [Cupps 1982].

 

  •  L’enunciato: “L’ISOLAMENTO DELL HIV DALLE CELLULE COLTIVATE FU NOTEVOLMENTE FACILITATO DALL’AGGIUNTA ALLA COLTURA DI IDROCORTISONE“ [Sarngadharan 1987] E’ OBIETTIVAMENTE ABERRANTE.
  • Tutti gli specialisti concordano nell’affermare che LE CONDIZIONI IRRINUNCIABILI PER LA COLTIVAZIONE DEI RETROVIRUS DI LINFOCITI T HELPER UMANI VENGONO BLOCCATE DAL GLUCOCORTICOIDE IDROCORTISONE.

Nella sua pubblicazione originale del 1984, Gallo ha taciuto la manipolazione delle colture dei linfociti T helper di malati di AID e AIDS con l’idrocortisone per l’ “isolamento dell’HIV” [Gallo 1984].

Occorre perciò ribadire che l’affermazione secondo cui i retrovirus nei linfociti T helper umani si replichino più facilmente con l’aggiunta di idrocortisone, rappresenta una contraddizione logica.

L’aver taciuto l’aggiunta di idrocortisone e il rifiutare ogni chiarimento in merito, dimostra che Gallo ha sistematicamente soppresso tutte le prove che avrebbero potuto contraddire la sua affermazione dell’ “isolamento dell’HIV” e smascherare gli antigeni proteici utilizzati per il “test HIV” come proteine cellulari umane (cosa ammessa da Montagnier). La conclusione è ovvia: nei confronti della comunità scientifica e dell’opinione pubblica mondiale, Gallo ha spacciato i prodotti della contro regolazione biologicamente programmata dei linfociti T helper umani, esposti a stress ossidanti e nitrosativi, per “retrovirus HIV” e “test anti HIV”.

I TEST PER EFFETTUARE LA “DIAGNOSI” DI HIV SONO 3:

 

  • Il primo è chiamato test Elisa, definito test anticorpale di diagnosi di routine; se questo test risulta positivo, è obbligatorio effettuare un secondo test Elisa al paziente che, nel caso di un secondo risultato positivo, implica l’utilizzo di un altro test detto “di conferma” chiamato Western Blot.
  • Il Western Blot è costituito da 10 bande antigeniche che si ritengono specifiche del virus HIV. Ma in ogni paese del mondo il numero di bande necessarie alla conferma della positività del test è diverso. Si può essere positivi in Svizzera, dover le bande richieste sono 2, e negativi in Australia, dove le bande richieste sono 4. In Africa la diagnosi di AIDS viene effettuata senza l’uso dei test, ma in base ai cosiddetti principi di Bangui, indicatori clinici aspecifici di infezione come febbre, dissenteria, perdita di peso. Questo in un paese in cui la malnutrizione e la mancanza di acqua potabile creano un numero di malattie note alla scienza da secoli e che nulla hanno a che fare con un virus. Inoltre, a rigor di logica, se le 10 proteine attribuite ad Hiv fossero specifiche di un unico e definito retrovirus esogeno bisognerebbe sempre averle tutte e 10.
  • Un terzo tipo di test genetico, chiamato PCR (Reazione a catena della Polimerasi), viene utilizzato per confermare e monitorare l’intensità dell’infezione Hiv in base al presunto numero di copie di virus per millilitro di sangue. Tale tecnica, inventata da Kary Mullis negli anni 90, e per la quale Mullis ottenne il premio Nobel nel 1993, è parte della screening diagnostico e prognostico delle infezioni da HIV; in base a questo test si decide quando, quanti e quali farmaci somministrare a vita al paziente. Ma lo stesso Mullis ha affermato che la sua tecnica “non è in grado di identificare virus” perché è una metodica di amplificazione aspecifica (Mullis stesso affermò “La PCR amplifica anche l’acqua”) di piccoli frammenti di codice genetico. I seguenti sono i foglietti illustrativi che accompagnano tutti i “test Hiv” ad oggi esistenti; il primo il tanto sponsorizzato “test hiv sulla saliva”. Ma è sempre stato detto che l’Hiv NON si trasmette con baci, starnuti etc…
  • Questo è il test “ORAQUICK” che afferma “SI PENSA CHE L’HIV CAUSI L’AIDS” “EFFETTUARE UN TEST SUGLI ANTICORPI E’ UN AIUTO ACCURATO NELLA DIAGNOSI DI HIV”):

x4

 

 

  • Foglio illustrativo del Test Elisa per ANTICORPI HIV.

test elisa

 

 

  • Foglio illustrativo del « test di conferma » Western Blot:

10 doc hiv

 

“SUMMARY AND EXPLANATION OF THE TEST”HIV-1 Western Blot Kit
Epitope, Inc. Product Number 72827
PN201-3039 Revision #8

A sample that is reactive in both the EIA screening test and the Western blot is presumed to be positive for antibody to HIV-1, indicating infection with this virus except in situations of passively acquired antibody or experimental vaccination.”

“LIMITATIONS OF THE PROCEDURE”

  1. The assay must be performed in strict accordance with these instructions to obtain accurate, reproducible results.
  2. Although a Positive result may indicate infection with the HIV-1 virus, a diagnosis of Acquired Immunodeficiency Syndrome (AIDS) can be made only if an individual meets the case definition of AIDS established by the Centers for Disease Control. A repeat test on an independent sample should be considered to control for sample mix-up or operator error, and to verify a positive test result.
  3. Individuals with HIV-1 infection may present incomplete patterns due to the natural history of AIDS or other immunodeficiency states, e.g.:
  4. AIDS patients may lose antibody reactions to p24 & p31;
  5. Infants born to HIV-1 infected mothers, but who are uninfected, may display incomplete patterns as passively acquired maternal antibodies begin to disappear ;
  6. Individuals who have recently seroconverted may display incomplete band patterns;
  7. Infected patients with malignancies and individuals receiving immunosuppressive drugs may fail to develop a Positive result;
  8. Individuals infected with HTLV-I/II or HIV-2, may exhibit incomplete cross-reactivity;
  9. Individuals may develop incomplete patterns that reflect the composition of experimental HIV sub-unit vaccines that they may have received.
  1. Since reactivity of any degree with any of the virus-specific proteins identified on the strip is possible evidence of antibodies to HIV-1, all samples interpreted as Indeterminate should be repeated using the original specimen. In addition, it is recommended that samples interpreted as Indeterminate be retested after six months, using a fresh specimen.
  2. Do not use this kit as the sole basis of diagnosis of HIV-1 infection. 7. A Negative result does not exclude the possibility of HIV-1 infection. Antibody testing should not be used in lieu of donor self-exclusion by blood collection establishments.”

Sensitivity and Specificity

Sensitivity and specificity of the HIV-1 Western Blot Kit was determined in comparative studies with a previously licenced HIV-1 Western blot using EIA repeatedly reactive samples from high AIDS risk and low risk populations respectively.”*

“INTERFERING FACTORS AND SUBSTANCES

Testing was performed on specimens from individuals with clinical conditions unrelated to HIV-1 which might result in a reactivity with proteins present. Samples studied included 25 from persons with auto immune diseases, 12 with elevated gammaglobulins, 110 with viral infections unrelated to HIV-1 and 38 other conditions. The viral infections included samples positive in clinical tests for Cytomegalovirus (12), Infectious mononucleosis (10), Epstein-Barr virus (3), Rubells (12), Varcella-Zoster (3), Herpes Simplex (12), HBsAg (7), and HTLV-1 (39). Although bands were occasionally present at viral locations, none of the strips could be interpreted as positive.”**

COMMENTARY:

* Although the Western Blot is supposed to be a “more specific” test to confirm the results of the EIA (ELISA), the specificity and sensitivity are assumed by the same indirect means. No gold standard was applied, such as isolating HIV-1 from fresh patient plasma, in any of these studies. These studies confuse specificity with a high reproducibility of EIA by Western Blot.

UNA DIAGNOSI CHE CAMBIA DA PAESE A PAESE?

 

Come si può notare dall’immagine qui sotto, in ogni Paese i criteri richiesti per una diagnosi di “sieropositività confermata” dal test Western Blot sono differenti. Se si è positivi in un Paese in cui le bande richieste sono 2, basta recarsi in  un altro Paese in cui le bande richieste sono maggiori e si diventa automaticamente sieronegativi. In Inghilterra questo test non è adottato in quanto ritenuto del tutto inaffidabile. Infine: se le 10 proteine attribuite al genoma di Hiv fossero uniche e specifiche, perché non è sufficiente UNA SOLA PROTEINA PER CONFERMARE LA SIEROPOSITIVITA’? O perché NON SONO NECESSARIE TUTTE E 10?

tabella paesi

 

  • Foglio illustrativo test PCR “carica virale”

11 hiv doc

 

 

The AMPLICOR HIV-1 MONITOR test is an in vivo nucleic acid amplification test for the quantification of Human Immunodeficiency Virus Type 1 (HIV-1) in human plasma. The test is intended for use in conjunction with clinical presentation and other laboratory markers as an indicator of disease prognosis.

The test has been used as an aid in assessing viral response to antiretroviral treatment as measured by changes in plasma HIV-1 RNA levels. The clinical significance of changes in HIV RNA measurements has not been fully established although several large studies that will more fully determine the role of comparative HIV RNA measurements in patient management are now in progress. HIV-1 RNA levels as measured by PCR were used as one of the surrogate markers in the accelerated approval process for the protease inhibitor drugs INVIRASE, CRIXIVAN and NORVIR, and for the reverse transcriptase inhibitor drug EPIVIR. The utility of plasma HIV-1 RNA in surrogate endpoint determinations has not been fully established.

The AMPLICOR HIV-1 MONITOR Test is not intended to be used as a screening test for HIV or as a diagnostic test to confirm the presence of HIV infection.

 

Come si può notare, gli stessi produttori del test Elisa, alla voce “sensibilità e specificità del test” affermano:

“AD OGGI NON ESISTE UNO STANDARD RICONOSCIUTO PER STABILIRE LA PRESENZA O L’ASSENZA DI ANTICORPI HIV-1 E HIV-2 NEL SANGUE UMANO”.

Ma tale test viene usato per affermare che nel sangue analizzato del paziente gli anticorpi sono presenti.

Nel foglio illustrativo del test Western Blot, chiamato “test di conferma” perché appunto dovrebbe confermare un’infezione rivelatasi al primo test Elisa, si legge che:

“UN CAMPIONE DI SANGUE RISULTATO POSITIVO SIA AL TEST ELISA CHE AL TEST WESTERN BLOT SI PRESUME  INFETTO DA HIV-1” e ancora:

 

“SEBBENE UN RISULTATO POSITIVO (ricordiamo che la sua positività cambia da paese a paese…) POTREBBE INDICARE INFEZIONE DA HIV-1, LA DIAGNOSI DI AIDS PUO’ ESSERE EFFETTUATA SOLO SE L’INDIVIDUO RISPECCHIA I CRITERI DIAGNOSTICI STABILITI DAL CDC (CENTER FOR DISEASES CONTROL)”  e inoltre al punto 6 viene affermato:

NON USARE IL WESTERN BLOT COME UNICO TEST DI CONFERMA DI DIAGNOSI DI POSITIVITA’ AL VIRUS HIV-1”.

  • Ma questo viene chiamato e usato come test di conferma

Passando alla terza metodica diagnostica, la PCR (Reazione a catena della Polimerasi), ecco cosa riporta il foglio illustrativo del test:

“QUESTA TECNICA NON DEVE ESSERE USATA COME TEST DI SCREENING PER IL VIRUS HIV O COME STRUMENTO DIAGNOSTICO PER CONFERMARE LA PRESENZA DEL VIRUS

 

Ma, invece, proprio con questa metodica decide il destino di un paziente visto che sulla base di questi risultati i medici decidono quando iniziare a prescrivere le terapie farmacologiche a base di chemioterapici che andranno assunti quotidianamente per tutta la vita, sui pazienti definiti sieropositivi sulla base di test che non diagnosticano nulla. Terapie farmacologiche basate su farmaci tossici e mortali (chiamati farmaci antiretrovirali-ARV) nei cui bugiardini, consultabili liberamente sul sito della FDA (Food and Drugs Administration) viene affermato che “non curano e non prevengono né l’infezione da Hiv né l’insorgenza dell’Aids” e che alcuni effetti collaterali degli stessi sono indistinguibili dalle manifestazioni cliniche di Aids (si veda l’immagine nella pagina seguente,, esemplificativa alcuni dei tanti farmaci ARV, fotografata direttamente dal sito americano www.fda.gov):

 

acabir


  Azt label

 

L’etichetta del farmaco AZT, che anni fa veniva usato in monoterapia e attualmente si somministra alle donne  gravide e ai neonati per evitare di “trasmettere il virus” al nascituro (l’eventuale rifiuto di tale protocollo porta alla perdita della patria potesta’); inoltre tale veleno (venduto ancora in Italia con il nome di “Retrovir”) si usa ancora in combinazione con altri farmaci: -PERICOLO DI MORTE- “Tossico per inalazione, in contatto con la pelle e se deglutito”

Un esempio di uno dei farmaci più usati per “curare” l’Hiv, chiamato ATRIPLA: ecco lo screenshot del suo foglio illustrativo (SI NOTI TRA GLI EFFETTI COLLATERALI COMUNI LA NEUTROPENIA, CHE SIGNIFICA IMMUNODEFICIENZA, CHE SIGNIFICA AIDS) :

 

atripla

 

Dalla rivista The Lancet, agosto 2006, uno studio sull’inefficacia e tossicità dei farmaci anti-hiv:

“IL RISCHIO DI MORIRE DI AIDS E’ AUMENTATO DA QUANDO SI USANO I FARMACI ANTI-HIV”

anti retrovirus

antiretrovirus2


“QUESTO FARMACO NON CURA E NON PREVIENE L’INFEZIONE DA HIV E NON NE IMPEDISCE LA TRASMISSIONE. QUESTO FARMACO PUO’ CAUSARE, CON I SUOI EFFETTI COLLATERALI, SINTOMI INDISTINGUIBILI DALLA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (EFFETTI COLLATERALI COMUNI: LEUCOPENIA=AIDS)”.

 

kivexa

Milioni di vittime nel mondo sono quindi morte a causa dei farmaci che dovevano curarle.

Françoise Barrè-Sinoussi ha preso il Premio Nobel per la Medicina insieme a Luc Montagnier per la presunta scoperta del virus HIV; ma la prima ha affermato nel documentario “The Emperor’s New Virus?” che: “Purificare il virus era fondamentale per poter preparare i test per trovare gli anticorpi dell’hiv perché volevamo che i test diagnostici fossero quanto più precisi possibile. Infatti se si usa una preparazione di virus che non è purificata ovviamente identificherai anticorpi di ogni tipo…”

Però Luc Montagnier che ha condiviso con lei il Nobel ha onestamente sostenuto che…

 

montagnier non abbiamo purificato

 

Luc Montagnier: “LO RIPETO, NOI NON ABBIAMO PURIFICATO IL VIRUS”

 

Esistono circa 70 condizioni mediche riconosciute che possono portare alla positività dei test hiv, che non vengono MAI comunicate al paziente al momento del test. Tra queste troviamo la semplice influenza e il vaccino antinfluenzale stesso (nel foglio illustrativo di questo viene dichiarato che può determinare positività ai test hiv), vaccinazioni di vario tipo (ad esempio i lisati batterici), il raffreddore, la gravidanza, infezioni di varia natura (citomegalovirus, mononucleosi, herpes simplex I e II), etc..

A tal proposito, si veda l’elenco seguente, compilato da Christine Johnson:

.Fattori che possono dare esito positivo al test Hiv.

 

Anticorpi anti-carboidrati
Anticorpi che si trovano in modo naturale (Naturally-occurring antibodies)
Immunità passiva: recezione di gamma globulina o immunoglobulina (come profilassi contro infezione che contiene anticorpi)
Lebbra
Tubercolosi
Micobacterium avium
Lupus eritematoso sistemico
Insufficienza renale
Emodialisi/Insufficienza renale
Terapia di alfa interferone in pazienti di emodialisi
Influenza
Vaccino contro l’influenza
Virus Herpes semplice I (labiale)
Virus Herpes semplice II (genitale)
Infezione del tratto respiratorio superiore (raffreddore o influenza)
Infezione virale recente o esposizione a vaccini virali
Gravidanza in donne multipare ( che hanno partorito molto)
Malaria
Alti livelli di complessi immuni circolanti
Ipergammaglobulinemia (alti livelli di anticorpi)
Falsi sieropositivi in altri test, incluso il test RPR (rapid plasma reagent) per la sifilide
Artrite reumatoide
Vaccino contro l’epatite B
Vaccino contro il tetano
Trapianto di organi
Trapianto renale
Anticorpi anti-linfociti
Anticorpi anti-collageni (riscontrati in omosessuali, emofiliaci, africani in tutte e due i sessi, in persone con lebbra)
Sieropositivi al fattore reumatoide, anticorpi anti-nucleari (entrambi riscontrati nella artrite reumatoide e in altri auto-anticorpi)
Malattie autoimmuni -Lupus eritematoso, scleroderma, malattia del tessuto connettivo, dermatomiositi
Infezioni virali acute, infezioni virali del DNA
Neoplasmi maligni (cancri)
Epatite alcolica/malattia epatica alcolica
Colangite sclerosante primaria
Epatite
Sangue “appiccicoso” (negli africani)
Anticorpi con un’alta affinità per il polistirene (adoperati nei kit dei test)
Trasfusioni sanguinee, trasfusioni sanguinee molteplici
Mieloma molteplice
Anticorpi HLA (contro antigeni dei leucociti di tipo I e di tipo II)
Anticorpi anti-muscoli lisci
Anticorpi anti-celle parietali
IgM (anticorpi) anti-epatite A
IgM anti-Hbc
Somministrazione di preparati di immunoglobulina umana raccolti prima di 1985
Emofilia
Disordini ematologici maligni/limfoma
Cirrosi biliare primaria
Sindrome di Stevens-Johnson
Febbre Q con epatite associata
Campioni trattati con calore (specimens)
Siero lipemico (sangue con alti livelli di grassi o lipidi)
Siero emolizzato (sangue in cui l’emoglobulina si separa dai globuli rossi)
Iperbilirubinemia
Globuline prodotte durante gammopatie policlonali (le quali si riscontrano in gruppi a rischio AIDS)
Individui sani come risultato di reazioni crociate non capite
Ribonucleoproteine umane normali
Altri retrovirus
Anticorpi anti-mitocondriali
Anticorpi anti-nucleari
Anticorpi anti-microsomiali
Anticorpi dell’antigene di leucociti delle cellule T
Proteine nel filtro di carta
Virus Epstein-Barr
Leishmaniasi viscerale
Sesso anale ricettivo

Cosa rilevano dunque questi test che si definiscono specifici per HIV, se invece danno una reazione crociata con innumerevoli tipi di anticorpi non specifici?

In un’intervista del 2009, il co-scopritore del virus HIV Luc Montagnier ha dichiarato che:

“POSSIAMO ESSERE TUTTI ESPOSTI AL VIRUS HIV SENZA ESSERNE CRONICAMENTE INFETTATI; UN SISTEMA IMMUNITARIO FUNZIONANTE DEBELLERA’ IL VIRUS IN POCHE SETTIMANE”.

Il prof. Montagnier dovrebbe spiegarci come sia possibile liberarsi “in modo” naturale da un retrovirus che per quasi 30 anni è stato definito incurabile, letale, altamente trasmissibile….

Inoltre ricordiamo che la funzione di un vaccino è creare gli anticorpi verso la malattia stessa. Se una persona risulta positiva al test per il citomegalovirus o la toxoplasmosi, ad esempio, viene dichiarata immunizzata verso tali agenti patogeni, poiché nel sangue vengono rilevati appunto gli anticorpi specifici. Nei test HIV che, come abbiamo visto i produttori stessi dichiarano non in grado di identificare gli anticorpi HIV, la positività (ovvero la presenza dei anticorpi) viene invece valutata come indicatore di infezione cronica, progressiva e mortale.

Ma se anche l’HIV fosse un retrovirus, come sostenuto da decenni, è importante sapere che nella storia della microbiologia e della virologia nessun retrovirus è mai stato né pericoloso nè letale. Il nostro patrimonio genetico contiene infatti circa novantasettemila (97000) retrovirus endogeni (ovvero innati, non acquisiti dall’esterno) naturalmente presenti nel nostro organismo e assolutamente innocui.

Le culture cellulari usate da Gallo nel 1983, a cui seguì la pubblicazione su Science dell’articolo-annuncio della scoperta del virus HIV, erano mescolate a linfociti provenienti dal sangue di cordone ombelicale, tessuto riconosciuto da tempo per la sua ricchezza in retrovirus umani. Tale articolo comprende dunque gravi errori metodologici.

15 anni più tardi vennero effettuati controlli sperimentali in laboratori francesi e statunitensi che pubblicarono un articolo nella rivista Virology (1997), in cui si dimostravano i risultati dei loro studi al microscopio elettronico sui gradienti ottenuti a partire da culture cellulari che si ritenevano infette da HIV. In entrambi gli studi, gli autori hanno riscontrato un’abbondanza di residui cellulari senza alcuna evidenza accettabile di particelle retro virali. Quasi nello stesso momento Luc Montagnier venne intervistato da Djamel Tahi e finì per ammettere che in effetti il virus HIV non era mai stato isolato nel suo laboratorio.

 

Da cosa è causata allora l’’Aids?

L’immunodeficienza è conosciuta in medicina da secoli ed è prevalentemente causata da:

  • Uso e abuso di droghe, soprattutto nitrito di amile (“Popper”); indicativa a questo proposito la seguente ordinanza del Ministro Fazio, di cui nessuno ha parlato:

Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

ORDINANZA 19 novembre 2009

Divieto di fabbricazione, importazione, immissione sul mercato e uso di achil-nitriti alifatici, ciclici o eterociclici e loro isomeri, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o di articoli (Poppers). (10A00117) (G.U. Serie Generale n. 8 del 12 gennaio 2010

Tenuto conto che gli alchil-nitriti sono  stati  riconosciuti come

immunosoppressori e  promotori  della  replicazione  virale  e delle cellule tumorali, nonchè l’assunzione abituale di dette sostanze e’ stata  associata  ad  aumento  di   rischio   di   infezioni virali trasmissibili per via sessuale e di sarcoma di Kaposi;

Ritenuto pertanto di dover  adottare  specifiche  disposizioni  per limitare l’uso non  regolare  di  sostanze  denominate  «poppers»  in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli; Rilevato che e’ necessario e urgente mantenere, fino a  quando  non si disporra’ di una soluzione permanente,  disposizioni  cautelari  a tutela dell’incolumita’ pubblica;Visto il decreto del Presidente della  Repubblica  21  maggio  2009 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  del  28  maggio  2008,  n.  122,recante «Attribuzione del titolo di vice Ministro al  Sotto segretario di Stato presso  il  Ministero  del  lavoro,  della  salute  e  delle politiche sociali prof. Ferruccio Fazio, a norma dell’art. 10,  comma3 della legge 23 agosto 1988, n. 400»;

ORDINA:

  •  Art. 1

Campo di applicazione

  1.  E’ vietata la fabbricazione, immissione sul mercato e l’uso di

alchil-nitriti alifatici, ciclici o eterociclici e  loro  isomeri  in

quanto tali  o  in  quanto  componenti  di  miscele  o  di  articoli,

destinati a consumatori.

  •  Art. 2

Ritiro dal commercio

  1.  Le sostanze, le miscele e gli articoli di cui all’art. 1,  gia’

immessi sul mercato,  devono  essere  ritirati  dal  commercio  entro

trenta giorni dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.

  • Art. 3

Vigilanza

  1.  Le Autorita’ sanitarie di controllo e  gli  organi  di  polizia

giudiziaria e postale  sono  preposti  alla  vigilanza  sulla  esatta

osservanza della presente ordinanza.

  •  Art. 4

Disposizioni transitorie e finali

  1.  La presente ordinanza ha validita’ di 12 mesi a decorrere dalla

data di pubblicazione.

  1. La presente ordinanza entra in vigore il medesimo giorno  della

sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 19 novembre 2009

 

  • Il vice Ministro: Fazio

Registrato alla Corte dei conti il 21 dicembre 2009

Ufficio di  controllo  preventivo  sui  Ministeri  dei  servizi  alla

persona e dei beni culturali, registro n. 7, foglio n. 177.

 

  •  Patologie varie (emofilia, malaria, lebbra, tubercolosi, infezioni ricorrenti di varia natura, abuso di antibiotici e cortisonici, che sono immunosoppressori;
  •  Gli stessi farmaci anti-hiv (come dichiarato nel loro stesso foglio illustrativo); carenze alimentari, malnutrizione, assenza di acqua potabile-Africa.

 

L’AIDS e la legge.

La corte di Dortmund, il 15 Gennaio 2001, ha emesso una sentenza di condanna ad 8 mesi, con sospensione della pena, in un procedimento per corte di Dortmund(Legge § 220a StGB) contro le Autorità Sanitarie Federali Tedesche e contro il Parlamento della Repubblica Federale Tedesca. Le autorità sanitarie erano accusate di aver diffuso informazioni e foto false relative all’isolamento del virus HIV.

il Parlamento Tedesco era accusato di aver assecondato tali menzogne nonostante fosse a conoscenza dal 1994 del fatto che il virus HIV non è mai stato isolato, e che conseguentemente nessun test poteva essere approvato ed utilizzato per definire infette persone che, sane prima del test, sono poi morte dopo un trattamento con farmaci antiretrovirali.

La tesi dell’accusa, e cioè che ne Montagnier (1983) ne Gallo (1984) avevano isolato alcun virus in connessione con l’AIDS e che il Bundestag era dal 1994 a conoscenza di tale fatto, è stata provata sulla base di un documento registrato negli archivi del German Bundestag stesso col numero DS 12/8591. Dopo la sentenza i ricorrenti hanno indirizzato una lettera nella quale descrivono le motivazioni e le conclusioni del procedimento legale a:

* ONU, Office of the High Commissioner for Human Rights, Mary Robinson
* Tutti i capi di Stato e tutti i capi di Governo
* Tutte le Organizzazioni Governative

 

Un’altra notizia non riportata dai mass media, liberamente consultabile sul sito americano del CDC; ne riportiamo un estratto significativo:

On Jan 4, 2010, the US government made a very significant about face: “HHS/CDC is removing HIV infection from the definition of communicable disease of public health significance contained in 42 CFR 34.2(b) and scope of examination, 42 CFR 34.3 because HIV infection does not represent a communicable disease that is a significant threat to the general U.S. population”.

“L’HIV NON E’ UNA MALATTIA SESSUALMENTE TRASMISSIBILE DI RILEVANZA PER LA SALUTE PUBBLICA” 

(Center for Diseases Control & Hillary Clinton, 4 gennaio 2010)

 

Nessuno stato europeo considera l’aids un’emergenza epidemica, tanto è vero che anche in Italia è considerata solo epidemia di Classe III (perfino la sorveglianza epidemiologica della rosolia si trova in Classe II, quindi è considerata più rilevante).

 

Padian Study:

il più importante studio epidemiologico condotto sulla trasmissibilità dell’hiv, condotto in California, ha esaminato 175 coppie eterosessuali sessualmente attive, in cui un partner era sieropositivo e l’altro sieronegativo; le coppie sono state monitorate per un periodo di oltre 6 anni per valutare eventuali casi di siero conversione. Un quarto delle coppie ammise di non usare precauzioni durante i rapporti sessuali: non ci fu nemmeno un caso di siero conversione.

 

-Estratto della tesi di laurea in Medicina e Chirurgia del dr. Daniele MANDRIOLI,

(Università degli Studi di Bologna, Votazione 110/110 e lode, reperibile in formato video su youtube)

.Legislazioni nazionali e internazionali che si contraddicono da sole e incoerenze diagnostiche e cliniche-

 

.La diagnosi secondo la legge italiana.

 

La nostra indagine non poteva che cominciare dal sito del Ministero della Salute. Qui scopriamo che la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) viene diagnosticata in Italia secondo i criteri stabiliti dalla circolare del Ministero della Sanità n. 9 del 9 aprile 1994, integrati successivamente dai decreti interministeriali del 21 ottobre 1999 e del 7 maggio 2001. Queste disposizioni si rifanno ai criteri suggeriti dal CDC nel documento «Revised Classification System for HIV Infection and Expanded Surveillance Case Definition for AIDS Among Adolescents and Adults» del 1993.

Riportiamo ora un estratto della circolare n. 9 del 9 aprile 1994 sottolineando quelle parti che verranno poi analizzate più a fondo.

Circolare Ministero della Sanità 29 aprile 1994, n. 9

(Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 13 maggio 1994)

Revisione della definizione di caso di AIDS ai fini della sorveglianza epidemiologica

Lista delle malattie infettive di AIDS:

 

– candidosi di bronchi, trachea, o polmoni;

– candidosi esofagea;

– carcinoma cervicale invasivo;

– coccidioidomicosi disseminata o extrapolmonare;

– criptococcosi extrapolmonare;

– criptosporidiosi intestinale cronica (durata un mese);

– infezione da Cytomegalovirus (con interessamento diverso o in aggiunta

a fegato, milza o l’infonodi);

– retinite da Cytomegalovirus;

– encefalopatia HIV-correlata;

– herpes simplex: ulcera cronica (durata un mese), o bronchite, polmonite,

o esofagite;

– istoplasmosi disseminata o extrapolmonare;

– isosporidiosi intestinale cronica (durata un mese);

– linfoma di Burkitt;

– linfoma immunoblastico;

– linfoma primitivo cerebrale;

– micobatteriosi da M. Avium o da M. Kansasii disseminata o extrapolmonare;

– tubercolosi polmonare;

– tubercolosi extrapolmonare;

– micobatteriosi da altre specie o da specie non identificate disseminata

o extrapolmonare;

– polmonite da Pneumocystis Carinii;

– polmonite ricorrente;

– leucoencefalopatia multifocale progressiva;

– sepsi ricorrente da salmonella;

– toxoplasmosi cerebrale;

– wasting syndrome HIV-correlata;

 

La notifica dei casi conclamati di sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) è obbligatoria in base al decreto ministeriale 28 novembre 1986 del Ministero della Sanità.

Definizione epidemiologica di caso adulto di AIDS per cui è richiesta la notifica:

  1. In assenza di risultati positivi circa l’infezione da HIV, ed in assenza di altre cause note di immunodeficienza, ognuna delle forme cliniche di seguito elencate è indicativa di AIDS se diagnosticata in modo definitivo (per la definizione di diagnosi accertata vedi le successive istruzioni della sezione 2 della scheda):

– candidosi esofagea, tracheale, bronchiale o polmonare;

– criptococcosi extrapolmonare;

– criptosporidiosi con diarrea persistente da oltre un mese;

– infezione da Cytomegalovirus polmonare o del S.N.C;

– infezione da Herpes simplex ulcerativa e persistente o bronchite o polmonite, o esofagite;

– sarcoma di Kaposi in un paziente di età superiore ai 60 anni;

– linfoma cerebrale primitivo in un paziente di età inferiore ai 60 anni;

– micobatteriosi atipica disseminata (con localizzazione diversa o in aggiunta a quella polmonare o di linfonodi ilari o cervicali);

– polmonite da Pneumocystis Carinii;

– leucoencefalite multifocale progressiva;

– toxoplasmosi cerebrale.

  1. In presenza di risultati positivi circa l’infezione con HIV indipendentemente dal riscontro con altre cause note di immunodeficienza, ognuna delle forme cliniche già riportate nel paragrafo 1, e di quelle sottoelencate, con il relativo livello di accertamento diagnostico, è indice di diagnosi di AIDS. Per la definizione di diagnosi accertata e presuntiva di ciascuna specifica patologia vedi le successive istruzioni della sezione 2 della scheda.

Malattie per le quali è richiesto l’accertamento diagnostico:

– coccidioidomicosi disseminata (con localizzazioni diverse associate a polmoni o linfonodi ilari o cervicali);

– encefalopatia da HIV, detta AIDS dementia complex;

– istoplasmosi disseminata (con localizzazioni diverse o associate in polmoni o linfonodi ilari o cervicali);

– isosporiasi con diarrea persistente da oltre un mese;

– linfoma cerebrale primitivo a qualsiasi età;

– altri linfomi non Hodgkin del fenotipo immunologico a cellule o di fonotipo immunologico sconosciuto e dei seguenti tipi istologici:

  1. a) linfoma a cellule piccole non clivate; b) sarcoma immunoplastico;

– qualsiasi infezione disseminata da Micobatteri diversi da quelli della tubercolosi;

– setticemia ricorrente da salmonella non tifoide;

– wasting syndrome;

– carcinoma cervicale invasivo.

Malattie per le quali è sufficiente una diagnosi presuntiva:

– esofagite da Candida;

– retinite da CMV con grave compromissione del virus;

– sarcoma di Kaposi;

– micobatteriosi disseminata;

– polmonite da Pneumocystis Carinii;

– tubercolosi extrapolmonare;

– polmonite ricorrente;

– tubercolosi polmonare;

– toxoplasmosi cerebrale.

SEZIONE 2

In assenza di evidenza di laboratorio per l’infezione da HIV le cause di immunodeficienza che squalificano le infezioni opportuniste come indicatori di AIDS sono:

– terapia corticosteroidea sistemica ad alte dosi o a lungo termine o altre terapie immunodepressive o citotossiche nei tre mesi prima dell’inizio della malattia opportunistica;

– qualsiasi delle seguenti malattie diagnostiche prima o entro tre mesi dopo la diagnosi di malattia opportunistica;

– leucemia linfocitica;

– mieloma multiplo;

– morbo di Hodgkin;

– linfoma non Hodgkin oppure altri tumori maligni di tessuti linforeticolari o istioetici, per esempio linfoma di Burkitt, istiocitiosi X, sarcoma

immunoblastico, micosi fungoide, sindrome di Szezary, linfoadenopatia angioimmunoblastica;

– una sindrome di immunodeficienza acquisita atipica per l’infezione da HIV come quelle in cui si rileva una ipogammaglobulinemia, o una sindrome di immunodeficienza genetica.

Altre possibili cause di immunodeficienza di per sé non squalificano la malattia opportunistica come indicatore di AIDS.

Nella circolare del 1994 non viene presa in considerazione la conta dei linfociti CD4 come parametro diagnostico di AIDS, al contrario di quanto suggerito dal CDC. Ma coi due decreti ministeriali sopra citati, il legislatore introdurrà sia la conta dei linfociti CD4, sia l’indice di Karnofsky (che valuta lo stato fisico di un malato oncologico) come parametri di «grave deficienza immunitaria» che permettono la diagnosi di AIDS nel paziente sieropositivo. Ecco un estratto dei due decreti.

Decreto 21 ottobre 1999

(Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 22 dicembre 1999)

Definizione dei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria per i fini di cui alla legge 12 luglio 1999, n. 231

ART. 1 – Definizione di caso di AIDS

  1. La definizione di caso di AIDS conclamata ricorre, ai fini di cui all’art. 1 della legge 12 luglio 1999, n. 231, nelle situazioni indicate nella circolare del Ministero della Sanità 29 aprile 1994, n. 9, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 110 del 13 maggio 1994.

ART. 2 – Grave deficienza immunitaria

  1. La grave deficienza immunitaria ricorre, ai fini di cui all’art. 1 della legge 12 luglio 1999, n. 231, quando, anche in assenza di identificazione e segnalazione ai sensi della circolare di cui all’art. 1 del presente decreto, la persona presenti anche uno solo dei seguenti parametri:

– numero di linfociti TCD4+ pari o inferiore a 100/mmc, come valore ottenuto in almeno due esami consecutivi effettuati a distanza di quindici giorni l’uno dall’altro;

– indice di Karnofsky pari al valore di 50.

Decreto 7 maggio 2001

Definizione dei casi di AIDS conclamata o di grave deficienza immunitaria per i fini di cui alla legge 12 luglio 1999, n. 231. Modifica dell’art. 2 del decreto interministeriale 21 ottobre 1999

ART. 1 – Modificazioni all’art. 2 del decreto interministeriale 21 ottobre 1999

L’art. 2 del decreto del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro della Giustizia del 21 ottobre 1999 citato nelle premesse è sostituito dal seguente:

ART. 2 – Grave deficienza immunitaria

  1. La grave deficienza immunitaria ricorre, ai fini di cui all’art. 1 della legge 12 luglio 1999, n. 231, quando, anche in assenza di identificazione e segnalazione ai sensi della circolare di cui all’art. 1 del presente decreto, la persona presenti anche uno solo dei seguenti parametri:
  2. a) numero di linfociti TCD4+ pari o inferiore a 200/mmc, come valore ottenuto in almeno due esami consecutivi effettuati a distanza di 15 giorni l’uno dall’altro;
  3. b) indice di Karnofsky pari o inferiore al valore di 50.

 

Discussione

È sorprendente apprendere che per legge e secondo il Center of Disease Control and Prevention (CDC), organo ufficiale americano preposto alla sorveglianza delle epidemie, si può avere AIDS in assenza di HIV. Recita infatti la legge «in assenza di risultati positivi circa l’infezione da HIV, ed in assenza di altre cause note di immunodeficienza, ognuna delle forme cliniche di seguito elencate è indicativa di AIDS se diagnosticata in modo definitivo».

Questo contraddice la famosa Dichiarazione di Durban -voluta con urgenza da Montagnier- pubblicata su Nature con 5000 firmatari, tra cui 11 premi Nobel, dove si afferma che «patients with acquired immune deficiency syndrome, regardless of where they live, are infected with HIV», cioè «i pazienti con AIDS, indipendentemente da dove vivono, sono infetti da HIV».

Allora perché è possibile fare diagnosi di AIDS in assenza di esami di laboratorio che confermino che l’individuo è sieropositivo? Infatti pazienti che sono negativi in qualsiasi test per HIV, se sviluppano un sarcoma di Kaposi a più di 60 anni sono legalmente etichettabili come pazienti con AIDS. Ricordiamoci, però, che Moritz Kaposi scoprì il sarcoma che porta il suo nome nel 1872 [98], proprio su 5 pazienti anziani. Perciò è alquanto improbabile che l’HIV ne sia la causa esclusiva, essendo comparso più di cento anni dopo.

Quindi non possiamo considerare il sarcoma di Kaposi come sintomo patognomonico di infezione da HIV. E se un sintomo non è patognomonico (cioè attribuibile solo ed esclusivamente ad HIV), e se inoltre gli esami di laboratorio escludono la presenza di HIV, fino a prova contraria la malattia sarebbe da considerarsi idiopatica (cioè di origine sconosciuta) oppure dovrebbero essere ricercate altre possibili cause.

Come osservato da Ruggiero, Galletti et al. [99], il ministero stesso elenca alcune cause di immunosoppressione (terapie corticosteroidea o citotossiche, nei tre mesi precedenti l’insorgenza della malattia opportunistica) che entrano in diagnosi differenziale con HIV. Cioè ammette che i sintomi, dovuti alle altre cause di immunodepressione elencate nella circolare, siano indistinguibili dai sintomi dovuti ad HIV. Ma inspiegabilmente la legge afferma anche che «altre possibili cause di immunodeficienza di per sé non squalificano la malattia opportunistica come indicatore di AIDS».

La legge, quindi, ignora come possibili altre cause tutte quelle condizioni patologiche o fisiologiche che possono portare a immunodepressione, solo perché non presenti nella circolare, quali: malnutrizione, stress (psicologico e fisico), abuso di droghe, farmaci, infezioni croniche, flogosi croniche, sostanze tossiche e perfino la gravidanza.

Facciamo un esempio: se una donna HIV negativa, che è incinta e allo stesso tempo abusa di droghe, sviluppa una toxoplasmosi cerebrale, può venire diagnosticato come caso di AIDS (anche se è sieronegativa).

Al contrario, un paziente HIV negativo affetto da sarcoidosi, che è in terapia con corticosteroidi ad alte dosi e sviluppa la stessa infezione, non viene diagnosticato come caso di AIDS, solo perché i corticosteroidi sono elencati nella circolare (mentre l’abuso di droghe no).

Questo non ha alcuna giustificazione dal punto di vista medico-legale poiché una toxoplasmosi cerebrale non ha come uniche cause necessarie, esclusive e sufficienti HIV e quelle elencate dalla circolare.

Bensì tutte le cause possibili, indipendentemente che siano o non siano nell’elenco.

Una toxoplasmosi cerebrale non si può quindi assolutamente considerare patognomonica di infezione di HIV, soprattutto in un e paziente sieronegativo dove non si siano escluse altre plausibili cause.

«In presenza di risultati positivi circa l’infezione con HIV indipendentemente dal riscontro con altre cause note di immunodeficienza, ognuna delle forme cliniche già riportate nel paragrafo 1, e di quelle sottoelencate, con il relativo livello di accertamento diagnostico, è indice di diagnosi di AIDS».

Si esclude cioè il ruolo di concausa di qualsiasi altro tipo di immunosoppressore, se è presente HIV, nel generare il quadro clinico. Perciò, se un paziente sieropositivo assume cortisone e chemioterapici, considerati nella medesima circolare fattori capaci di generare sintomi indistinguibili da quelli di HIV, e in seguito sviluppa una polmonite opportunista, viene necessariamente diagnosticato come malato di AIDS.

Egli non può, secondo la legge, essere considerato come un paziente sieropositivo che ha sviluppato una polmonite opportunista iatrogena (cioè causata da atto o terapia medica). Questo è totalmente irrazionale.

Dal momento che la legge ammette che entrambe possano essere cause sufficienti nel dare il medesimo sintomo, non dovrebbe poi negare a una delle due il valore di concausa quando siano entrambe presenti. Infatti, se il medesimo paziente assume alte dosi del farmaco immunodepressore, sarà più probabilmente questo a contribuire come concausa di maggior peso allo sviluppo del quadro clinico. Al contrario, se assume dosi bassissime del farmaco immunodepressore e si sviluppa comunque un quadro clinico grave, si potrebbe eventualmente considerare come preponderante il ruolo della concausa HIV. Ma in nessun caso si dovrebbero poter considerare come cause mutualmente esclusive, cioè che si escludono a vicenda, fino a prova contraria.

 

HIV: ULTERIORE LETTERATURA MEDICA

1)“In 1985, at the beginning of HIV testing, it was known that “68% to 89% of all repeatedly reactive ELISA (HIV antibody) tests [were] likely to represent false positive results.” (New England Journal of Medicine. 1985)”.

NEW ENGLAND JOURNAL O MEDICINE: “dal 68% all’89% dei test Elisa per anticorpi HIV rappresentano falsi positivi”

2) In 1992, the Lancet reported (“HIV Screening in Russia”) that for 66 true positives, there were 30,000 false positives. And in pregnant women, “there were 8,000 false positives for 6 confirmations.”

LANCET: “per 66 individui positivi al test hiv ci sono 30.000 falsi positivi”

In September 2000, the Archives of Family Medicine stated that the more women we test, the greater “the proportion of false-positive and ambiguous (indeterminate) test results.”

The tests described above are standard HIV tests, the kind promoted in the ads. Their technical name is ELISA or EIA (Enzyme-linked Immuno-sorbant Assay). They are antibody tests. The tests contain proteins that react with antibodies in your blood.

False Positives.

In the U.S., you’re tested with an ELISA first. If your blood reacts, you’ll be tested again, with another ELISA. Why is the second more accurate than the first? That’s just the protocol. If you have a reaction on the second ELISA, you’ll be confirmed with a third antibody test, called the Western Blot. But that’s here in America. In some countries, one ELISA is all you get.

It is precisely because HIV tests are antibody tests, that they produce so many false-positive results. All antibodies tend to cross-react. We produce anti-bodies all the time, in response to stress, malnutrition, illness, drug use, vaccination, foods we eat, a cut, a cold, even pregnancy. These antibodies are known to make HIV tests come up as positive.

The medical literature lists dozens of reasons for positive HIV test results: “transfusions, transplantation, or pregnancy, autoimmune disorders, malignancies, alcoholic liver disease, or for reasons that are un-clear…” (Archives of Family Medicine. Sept/Oct. 2000).

“Liver diseases, parenteral substance abuse, hemodialysis, or vaccinations for hepatitis B, rabies, or influenza…” (Archives of Internal Medicine, August, 2000).

The same is true for the confirmatory test the Western Blot. Causes of indeterminate Western Blots include: “lymphoma, multiple sclerosis, injection drug use, liver disease, or autoimmune disorders. Also, there appear to be healthy individuals with antibodies that cross-react….” (ibid).

ARCHIVES OF INTERNAL MEDICINE: “ESISTONO DOZZINE DI CAUSE CHE POSSONO RENDERE POSITIVO UN TEST HIV: VACCINAZIONI, INFLUENZA, GRAVIDANZA, TRASFUSIONI, E INOLTRE CI SONO INDIVIDUI SANI I CUI ANTICORPI REAGISCONO AL TEST HIV”.

Pregnancy is consistently listed as a cause of positive test results, even by the test manufacturers. “[False positives can be caused by] prior pregnancy, blood transfusions… and other potential nonspecific reactions.” (Vironostika HIV Test, 2003).

 

ALTRA LETTERATURA: 

  • Già nel 1985, proprio il futuro Nobel Montagnier mostrò sulla prestigiosa rivista Annals of Internal Medicine che un test Hiv positivo ritorna negativo e che un conteggio di cellule T4 basso torna normale attraverso la cessazione dei rapporti anali, ciò significa che il risultato positivo del test Hiv non è dovuto a un retrovirus:

 

x5

 

http://www.annals.org/content/103/4/545.abstract

  • Articolo storico scritto del co-premio Nobel Howard Temin (per la scoperta della transcriptasi inversa) che dimostra come questo enzima NON sia specifico di una ipotetica attività retrovirale.

 

revers trasciption

 

http://mbe.oxfordjournals.org/content/2/6/455.full.pdf

  • La prestigiosa rivista Science, pubblicò un articolo storico che dimostra come il famoso “virus” hiv non uccida i linfociti T nelle colture di laboratorio.

http://www.sciencemag.org/content/229/4720/1400.abstract

  •  La prestigiosa rivista Annals of Internal Medicine afferma che svariate patologie AIDS-correlate appaiono poco dopo aver iniziato la terapia antiretrovirale. Ma per molti sono farmaci “salvavita”.

http://www.annals.org/content/133/6/447.abstract

  • Il CDC (Centro di Controllo per le Malattie) affermò, prima di sfruttare l’idea infondata di un virus che “l’esposizione ad alcune sostanze tossiche e droghe (piuttosto che un agente infettivo) può condurre all’ immunodeficienza un gruppo di omosessuali maschi che condivide un particolare stile di vita”.

http://www.cdc.gov/mmwr/preview/mmwrhtml/00001114.htm

  • Secondo questo studio, pubblicato proprio da Gallo e Gonda, il presunto virus HTLV-3/HIV si trova nella saliva. E, sebbene esistano test salivari per la rilevazione dei presunti anticorpi HIV (se ci sono anticorpi in un fluido organico, deve esserci anche il virus), da decenni viene detto che il virus non si trasmette con starnuti, colpi di tosse, etc… La foto, secondo gli autori, rappresenterebbe una micrografia elettronica del virus nella saliva.

http://www.sciencemag.org/content/226/4673/447.abstract

  • In questo articolo dell’American Journal of Reproduction and Immunology si dimostra come le presunte “proteine hiv” siano presenti nella placenta umana. Ricordiamo che nei loro esperimenti all’inizio degli anni 80 sia Gallo che Montagnier aggiunsero nelle colture cellulari in cui affermarono di aver trovato il nuovo retrovirus hiv proprio della placenta umana.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/1930645

Come infatti si può notare nella micrografia seguente, confrontando le particelle isolate da Montagnier con le particelle presenti nella placenta umana, non vi è alcuna differenza:

  • Articolo che dimostra la presenza della “carica virale” in soggetti sieronegativi.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9890848

  •  Il più grande studio mai effettuato sulla presunta trasmissione del “virus hiv” con lo scambio di siringhe infette dimostra che tra la persone che usavano gli aghi sterili distribuiti dalle associazioni di prevenzione il livello di sieroconversione era molto superiore rispetto a chi si scambiava aghi potenzialmente infetti:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9420522

  •  Articolo sull’epatotossicità dei farmaci antiretrovirali. Il collasso epatico è la prima causa di morte nei sieropositivi e non fa parte delle presunte patologie hiv-correlate:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11830344

  •  Articolo che dimostra come pazienti confermati sieropositivi siano ritornati sieronegativi:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9863108

  •  Studio pubblicato su Lancet: le donne sieropositive che allattano al seno i bambini NON trasmettono il “virus”. I bambini che bevono latte non materno…diventano sieropositivi… Ma alle donne sieropositive e ai loro nascituri viene somministrato il chemioterapico tossico AZT per “prevenire” in contagio madre-figlio.

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10465172

  • Recentemente un gruppo di ricerca italiano ha dimostrato e pubblicato sulla prestigiosa rivista Blood (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22286198) che si può incontrare HIV molte volte e rimanere (o tornare) sieronegativi. Questi ricercatori, mediante sofisticate analisi molecolari hanno dimostrato che esistono soggetti i cui CD4 recano traccia (firma di miRNA) molecolare dell’incontro con HIV, ma che restano (o tornano ad essere) sieronegativi (vedi lavoro su Blood allegato). Le parole chiave sono all’inizio della discussione: In this study, we have shown that exists a miRNA signature that discriminate infected from exposed uninfected subjects. Cioè esistono soggetti con esposizioni multiple che hanno incontrato inequivocabilmente il virus (miRNA signature), definiti “exposed” ma restano (o tornano ad essere) sieronegativi, e secondo loro, “uninfected”. Questa è la dimostrazione molecolare delle parole del Prof. Montagnier “puoi incontrare HIV tutte le volte che vuoi ed il tuo sistema immunitario se ne libererà in poche settimane, se hai un buon sistema immunitario”. Il che vuol dire che prima viene l’immunodeficienza e poi l’infezione produttiva di HIV ed eventualmente la sua cronicizzazione.

Questo lavoro dimostra chiaramente che i test anticorpali non sono in grado di rilevare l’infezione da HIV in quanto puoi avere incontrato il virus (come dimostrato dalla firma molecolare), ma essere sieronegativo.

Se si entra nel dettaglio, ovviamente lo studio dimostra che l’esposizione era avvenuta molto tempo prima; cioè non è che ancora non sono diventati HIV+ e lo diventeranno tra un po’. Questo è scritto chiaramente nella discussione. Inoltre il lavoro su Blood dimostra che l’approccio con vaccini che usino proteine virali non appare molto promettente (nonostante 25 anni di ricerche e soldi pubblici spesi dall’Istituto Superiore di Sanità). Infatti nelle conclusioni scrivono chiaramente, pur usando la diplomazia necessaria:

Furthermore, the evidence that HIV-1 antigen exposure (as observed both in ex vivo and in vitro condition) causes a significant change in miRNA expression profile, is particularly intriguing because of its possible implication for understanding the inefficacy of some HIV-1 vaccine based on viral proteins as antigens.).

Cioè, danno per acquisita l’inefficacia e dicono che grazie ai loro risultati si può comprendere il perché dell’inefficacia, Questo articolo dimostra che :

1 si può essere esposti a quello che viene chiamato hiv e/o alle sue proteine specifiche e rimanere sieronegativi ;

2 I soggetti esposti all’Hiv che non diventano sieropositivi non svilupperanno dunque mai l’Aids per definizione ;

3 I test Elisa e Western Blot non sono dunque adeguati per dimostrare l’esposizione all’Hiv dato che gli autori dimostrano che ci sono individui che recano la firma molecolare di esposizioni multiple all’Hiv ma rimangono sieronegative ai test suddetti ;

4 Quindi la sieropositività non è dovuta alla sola esposizione all’Hiv; ci sono altri fattori che rendono sieropositivi ;

5 Ipotetici vaccini sono inutili, e questo spiega l’ennesima truffa e il totale fallimento con annesso spreco di miliardi di Ensoli e compagnia bella.

  • Riportiamo, infine, un estratto molto indicativo di un procedimento penale nei confronti di Robert Gallo, tenutosi in Australia nel 2007 in cui Gallo stesso ammette davanti al Giudice che L’HIV NON E’ LA CAUSA DELL’AIDS.

L’avvocato a Gallo: “Lei aveva trovato l’hiv in 48 persone su 119, cioè il 40%?”

Gallo: “Sono d’accordo”

L’avvocato: “E’ d’accordo sul fatto che l’isolamento dell’HIV soltanto dal 40% dei pazienti non costituisce la prova che l’HIV causa l’AIDS?”

Gallo: “Direi di sì, da solo, indipendentemente, un isolamento del 40% di un nuovo virus, direi che non è la causa“.

A pagina 1300 Gallo ammette il fatto di riscontrare basse percentuali di positività nei soggetti con i sintomi dell’AIDS:

Avvocato: “Per gli adulti con KS (Sarcoma di Kaposi), del 30%; per gli adulti con infezioni opportunistiche da AIDS del 47%. Lei accetta le sue cifre?”

Gallo: “Accetto le cifre”.

Nella pagina 1317 Gallo riconosce che non ha riscontrato il cosiddetto HIV nelle lesioni da KS (Sarcoma di Kaposi) e nemmeno nelle cellule T; nella pagina 1318 Gallo ammette che i test PCR di ‘carica virale’ non possono essere adoperati per dimostrare l’avvenuta infezione dovuta ad un virus.

NB: La trascrizione del processo è su: http://aras.ab.ca/articles/legal/Gallo-Transcript.pdf

L’ossessione virale e il fallimento di ROBERT GALLO:

-la questione del virus “HL23V”-.

 

Nel 1984 Gallo aveva già passato più di una decina d’anni nella ricerca dei retrovirus e del cancro. Era uno dei molti virologi coinvolti nel decennio della guerra contro il cancro del Presidente Nixon. Verso la metà degli anni ’70 Gallo affermò di aver scoperto il primo retrovirus umano in pazienti affetti da leucemia. Affermava che i suoi dati provavano l’esistenza di un retrovirus che egli chiamò HL23V. Ora, proprio come avrebbe fatto più tardi per l’Hiv, Gallo usò le reazioni agli anticorpi per ‘provare’ quali proteine nelle colture erano proteine virali. E non molto tempo dopo altri proclamarono di aver trovato gli stessi anticorpi in molte persone che non avevano la leucemia. Comunque, pochi anni dopo si dimostrò che questi anticorpi capitavano in modo naturale ed erano diretti contro molte sostanze che non avevano niente a che fare con i retrovirus. Allora ci si rese conto che l’HL23V era un grosso errore. Non vi era alcun retrovirus dell’HL23V. Così i dati di Gallo diventarono motivo di imbarazzo e ora l’HL23V è scomparso. Quello che ci sembra interessante è sapere che la dimostrazione usata per affermare l’esistenza dell’HL23V è lo stesso tipo di dimostrazione data per provare l’esistenza dell’Hiv.

 

Esempio di una reale foto al microscopio elettronico che mostra l’isolamento e la purificazione virale; le piccole frecce indicano impurità, le restanti particelle sono tutte virali (virus Friend della leucemia, fotografato nel 1965 dal prof. Etienne De Harven, anatomo-patologo e microscopista elettronico). Tale procedura ufficiale di isolamento e purificazione virale non è mai stata adottata per l’Hiv.

PURIFICAZIONE

Dalla rivista Virology, 1997 – Studio condotto in maniera congiunta da gruppi di ricerca in USA, Francia e Germania, rappresenta il primo e unico tentativo di isolamento e purificazione del presunto retrovirus HIV, dalla sua presunta scoperta nel 1984: gli autori stessi ammettono di aver purificato solo delle vescicole cellulari. I due gruppi di ricerca, inoltre, hanno isolato particelle di dimensioni diverse non solo l’uno dall’altro, ma anche e soprattutto molto più grandi rispetto alle presunte particelle virali isolate da Gallo e Montagnier negli anni 80. Non fu possibile isolare e purificare alcun virus.

Questo è stato confermato anche direttamente in una video intervista da Charles Dauguet,  microscopista elettronico di Luc Montagnier:

In ultima istanza, viene da chiedersi perché il programma mondiale di lotta contro l’aids degli Stati Uniti sia gestito dal National Security Council e dalla CIA, e non sia stato invece affidato agli organismi sanitari competenti.


 

PER INFORMAZIONI E APPROFONDIMENTI CONSULTARE SU  WWW.YOUTUBE.COM:

-“House of Numbers Epidemiologia e Aids”;

-“HIV-AIDS 2014: Ricercatore smaschera e rende pubblica la truffa dell’HIV”;

-“L’Altro lato dell’Aids”;

-“The Emperor’s New Virus?”

-“La scienza del panico”;

– HIV INFORMA: Intervento Prof. Marco Ruggiero;

-Daniele Mandrioli “DOES HIV CAUSE AIDS?”.

 

PER SCARICARE DIRETTAMENTE QUESTA DOCUMENTAZIONE O PER VISIONARE TUTTE LE FOTO E GLI ARTICOLI,CLICCARE IL SEGUENTE LINK

ALLEGATI

LETTURE

Questo articolo è stato tradotto dal tedesco allo spagnolo e dallo spagnolo all’italiano da traduttori non professionisti. Scusate quindi eventuali errori di definizione di termini medici o di forma.

E’ in nostra opinione un articolo molto importante perché permette di aprire una discussione sul fatto che quello che viene presentato come distruzione del sistema immunitario da parte dell’ ”HIV”, viene qui descritto come un comportamento cellulare in condizioni di estremo stress, già studiato e conosciuto. Ne deriva che i test non solo sarebbero inutili in quanto le proteine o il DNA rilevati non avrebbero origine virale ma endogena, ma anche estremamente dannosi perché un risultato positivo aumenta enormemente due dei fattori di stress, quello psicologico e quasi sempre quello tossico, per i farmaci somministrati a volte anche come preventivi (antiretrovirali, antibiotici, sulfamidici che presi per lunghi periodi provocano danni permanenti al DNA mitocondriale)…

http://www.tig.org.za/TIGit/Haessig.htm

http://digilander.libero.it/controinfoaids/doc/patogenesi.htm

http://igienismo-igienenaturale.blogspot.it/2008/04/aids-e-se-non-fosse-un-virus.html

 

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1 DICEMBRE: la giornata mondiale contro un’epidemia inventata e un virus inesistente

1 DICEMBRE: la giornata mondiale contro un’epidemia inventata e un virus inesistente

 

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Il potere dei mass media. Un pò di storia.

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Annunciare una scoperta scientifica in una conferenza stampa? Inimmaginabile in qualunque disciplina scientifica, soggetta a rigorosi controlli e un metodo che non può essere ignorato. Ma nel 1984, Robert Gallo e Margaret Heckler annunciarono proprio in questo modo la scoperta di un terribile “virus”, causa di quella che da GRID (Gay Related Immune Deficiency) venne in seguito definita AIDS. Gallo, la cui mediocre carriera scientifica è nota nel settore e verificabile da chiunque, godette del pieno sostegno delle istituzioni USA, ormai al collasso dopo aver cercato invano nei virus la causa principale del cancro.

Il Presidente Nixon, con la sua “guerra al cancro” spese il più grande capitale (pubblico) della storia della medicina. Per non concludere nulla, come ammise lui stesso. Interessante sottolineare come la Heckler affermò che:

“la PROBABILE causa dell’AIDS” fosse stata individuata e che “un vaccino sarebbe stato pronto entro 2 anni”. E di anni ne sono passati 31.

Ma, ancora più interessante, è il fatto che in poche ore quella “probabile causa dell’Aids”, aggettivo avvalorato dal terrificante fatto che Gallo non fornì un singolo dato o esperimento scientifico a sostegno delle sue parole, venne totalmente e volutamente rimosso e trasformato in certezza causale: Hiv causa Aids.

Il giorno dopo la stampa mondiale gridò ad un disastro senza precedenti: un terribile virus letale che si trasmette con i rapporti sessuali e non solo avrebbe portato alla distruzione dell’umanità. Altra strana combinazione: in 24 ore Gallo brevettò il suo “test Hiv”, basato sulla metodologia ELISA, coprendolo però da segreto di brevetto e rendendo quindi impossibile verificarne il contenuto e il funzionamento preciso.

Non il virus stesso che ad oggi non è mai stato visto da nessuno secondo il protocollo ufficiale stabilito negli anni 70 all’Istituto Pasteur dal gruppo di ricerca di Luc Montagnier (Nobel per la medicina nel 2008 per la “scoperta” dell’Hiv”; già, perché Gallo non ha preso alcun Nobel. E lo ha preso Montagnier 24 anni dopo). Di fondamentale importanza sottolineare come tali test siano totalmente inattendibili e gli stessi produttori dichiarino nei fogli illustrativi che non siano test con uno standard riconosciuto per poter confermare una diagnosi di infezione da hiv. Non avere un “gold standard” significa non avere un patogeno di riferimento. E questo vale per tutti i tipi di test Hiv.

Nello stesso periodo Luc Montagnier affermava di aver scoperto per primo l’ Hiv. Nacque un contenzioso giuridico tra USA e Francia che si concluse con un accordo tra Chirac e Reagan in cui si decise che tutto il malloppo sarebbe stato diviso tra i due paesi. Ancora oggi Gallo e Montagnier guadagnano circa 1 dollaro US per ogni test Hiv effettuato.

Curioso evento storico di dubbia verità: Montagnier avrebbe spedito una coltura cellulare infetta a Gallo. Un virus che sopravvive pochi minuti è quindi riuscito, magicamente, ad attraversare l’oceano. Francia-USA in perfetta forma, nonostante qualche ora di stressante viaggio intercontinentale. Probabilmente viaggiava in Concorde.

  • Migliaia di scienziati dalle credenziali superlative iniziarono subito a sollevare dubbi sulla serietà e credibilità di tutto questo. Dilungarci sulla parte storica non è l’obiettivo principale della presente trattazione; il lettore interessato potrà trovare tutto facilmente sul web.  Nomi come Peter Duesberg, il Nobel per la chimica Kary Mullis (inventore della tecnica propinata come conteggio della “carica virale”, un concetto fantasmatico totalmente privo di senso dal punto della biologia molecolare), il patologo Etienne de Harven e anche alcuni ricercatori nostrani sono ormai celebri. Vengono chiamati “negazionisti”, “dissidenti” e perseguitati come pericoli pubblici.

Da coloro che, come vedremo, non solo negano le evidenze disponibili nella letteratura ufficiale e le dichiarazioni degli scienziati “ortodossi” (molto scomode e stranamente mai citate dai media o dalle associazioni di lotta all’Aids), dichiarazioni che hanno dato il colpo di grazia alla “malattia virale” più in-credibile della storia. Vedremo anche come questi soggetti, che a volte mostrano il loro volto a volte si nascondono nel trolling usando nickname, hanno sempre interessi economici nel perpetuare la menzogna.

La scienza “ortodossa” dalla parte dei “negazionisti”

 

Montagnier, oltre a dimostrare fin dal 1985 con un articolo pubblicato su Annals of Internal Medicine che si può “tornare sieronegativi” in poco tempo (http://annals.org/article.aspx?articleid=699983), ha sentito il probabile bisogno di “alleggerire la sua coscienza” dichiarando nel 2008 che:

il “terribile” Hiv possiamo prenderlo tutte le volte che vogliamo, tanto un buon sistema immunitario lo ERADICHERA’ spontaneamente in poche settimane.

 

E questo, sottolinea, vale anche per un “povero africano” al quale più che medicine sarebbe secondo lui opportuno somministrare opportuni antiossidanti, intervenire sulla malnutrizione, curare le altre infezioni etc… E lancia una stoccata in punta di fioretto, o sarebbe meglio dire un letale colpo di sciabola, non solo contro il “vaccino“, ma anche contro il buon Bill Gates, il Global Fund e altri pseudo-benefattori vari. E, sorridente ma imbarazzato, conclude con il giornalista che lo videointervista affermando che “le cose che sta dicendo sono piuttosto diverse da quelle che siamo stati abituati a sentire…”; pienamente consapevole e orientato si direbbe… Ma il Nobel sembra meno consapevole di un cardine dell’immunologia che ben si guarda dal chiarire:

“l’immunocompetenza non influenza la possibilità di contrarre un’infezione”.

 

Ma di combatterla dopo averla contratta certamente. E non spiega come sia possibile “eradicare” un virus il cui genoma dovrebbe essere inscritto a vita in quello umano. Un soggetto tornerebbe quindi “sieronegativo” e la sua “carica virale” si azzererebbe? come dimostrato in letteratura da lui e non solo? Ma, su questo, il goffo Luc non può o non vuole esprimersi.

Sarebbe curioso vedere le facce dei soggetti marchiati “sieropositivi” perfettamente sani, che diventano deformi e sviluppano una serie infinita di malattie  come l’insufficienza epatica grave, disturbi del sistema emopoietico e soprattutto immunodeficienza proprio grazie alla chemioterapia “anti-Hiv” (vitalizia e in pastiglie) che viene loro prescritta.

  • Una terapia che, scrivono i produttori nei fogli illustrativi, non cura e non previene l’infezione da Hiv e l’insorgenza dell’Aids e i cui effetti collaterali sono indistinguibili dalle manifestazioni cliniche associate all’Aids stessa. Qualcuno ha mai sentito tutto questo? O visto la suddetta intervista di Montagnier in tv? O sui giornali? O sulle pagine di associazioni come LILA, UNAIDS e chi più ne ha più ne metta? No, ovviamente. Perché Montagnier andava bene finché stava al gioco.

Montagnier va bene perché è il “Nobel per la Medicina che ha scoperto l’Hiv”. Ma, in pieno meccanismo dissociativo o forse schizofrenico, dopo certe dichiarazioni il grande Luc  è diventato improvvisamente un vecchio pazzo, è stato “frainteso” ad uso e consumo dei “negazionisti” e “le sue affermazioni sono state tolte dal contesto”. E altre amenità deliranti varie.

Verità dette, ribadite, pubblicate, videoregistrate. Ma che la censura non concede agli scienziati e ricercatori “negazionisti” di divulgare e alla gente di sapere. Perché capiamoci bene: ciò che dice Montagnier, i processi subìti da Gallo per frode scientifica e falsificazione delle sue pubblicazioni, gli articoli scientifici ortodossi  che hanno dimostrato l’inesistenza dell’Hiv, ecco tutto questo è “negazionismo” e “dissidenza”. La censura invece forse è mafia.

  • E ancora, interessante ma non certo stupefacente: ognuno di questi scienziati “ortodossi”, così come molti pseudo-trolls/debunkers, ha stretti legami con le multinazionali farmaceutiche. A questo proposito non si può non citare un fatto made in Italy che riguarda un ormai “celebre” troll (che si scagliò a suon di lettere anonime e insulti di ogni tipo contro il prof. Marco Ruggiero e gli altri pochi ricercatori italiani che si sono esposti pubblicamente).

Un individuo che ribalta la realtà e travisa i fatti come i molti ricercatori e professionisti, i quali hanno abbandonato le università spontaneamente, rinunciando a contratti di docenza appena firmati, diventando professionisti di cui “le università si sono liberate senza troppo clamore” .

Va bene inventare ma qui siamo alla base del funzionamento mentale normale.

Un individuo che cerca e pretende di conoscere fatti mai accaduti tramite strategie zoppicanti e facilmente rintracciabili e verificabili nella loro realtà. Un individuo, e ci avviciniamo così alla ciliegina sulla torta, che usa un nickname su vari siti incluso il suo sito personale. Un sito che, guarda te che caso strano, risulta intestato ad una aziendina farmaceutica del centro Italia; un piccolo braccino sacrificabile a fini di gossip e invenzioni istrioniche di bassa leva di una grande multinazionale del farmaco. Sorpresi?

Un troll appunto. Che, come molti altri, potrebbe magari invece impiegare le proprie energie nel parlare dei miliardi spesi dalla nostrana Barbara Ensoli per il famoso e inesistente vaccino contro Hiv, già promesso da Gallo 31 anni fa e che ancora si continua a promettere, come si promette a un bimbo l’arrivo di Babbo Natale.


  • Un vaccino contro un virus inesistente.

    Già. Un vaccino che, se anche tutta questa boutade fosse vera, creerebbe anticorpi rendendo gli eventuali “sieropositivi vaccinati” indistinguibili dai “veri sieropositivi”, essendo come già detto il test Hiv un test anticorpale. Un ragionamento circolare per sostenere l’insostenibile, difendere l’indifendibile e tenere in piedi ciò che ormai giace a terra. Sì. Questa è logica del business dell’Aids.

E’ evidente come questi soggetti, oltre ad avere dimostrati conflitti di interesse, presentino marcate difficoltà nel ragionamento di base o forse difficoltà cognitive più o meno intenzionali, che sembrano talvolta sfociare in disturbi dell’adattamento sociale veri e propri.

Perché se non si hanno i titoli, secondo loro non si può parlare (vorremmo sapere i titoli dei vari “VIP” utilizzati dalle associazioni “senza scopo di lucro” contro l’Aids, alcuni dei quali ricorderemo a breve); e, attenzione, perché se invece hai i titoli per farlo sei comunque un soggetto pericoloso, un pazzo in preda alla “demenza senile” come è stato detto più volte del Nobel Montagnier o un ambizioso ricercatore che vende “yogurtini” e intrugli magici.

Il buco nero della logica e del buon senso. L’atomo della falsità e della scorrettezza.

Sono i “negazionisti” a guadagnarci?

 

Non serve una laurea per porsi una domanda banale: ma chi ci guadagna qui? I “negazionisti” o gli “ortodossi” o questi bizzarri individui che, con ogni mezzo e oltrepassando il patetico, non dicono stranamente nemmeno il loro nome e cognome e rifiutano ogni tipo di confronto, incluso quello scientifico del cui metodo si fanno sovrani blasonati e autoproclamati? Al lettore la risposta.

Ma, come ormai da tempo per fortuna è palpabile, la menzogna del secolo sta crollando. La popolazione mondiale è in aumento. Anche in Africa, paese decimato da fame e sete e inaccettabile laboratorio di sperimentazioni farmaceutiche aberranti con cavie umane. E, come dimostrato dalle statistiche, la Natura se ne infischia dell’Hiv, delle epidemie costruite a tavolino e dei virus invisibili e inesistenti. Nel mondo intero e soprattutto in Africa, dove l’acqua e il cibo sono ancora un miraggio e probabilmente lo rimarranno, la Natura fa il suo corso. E la verità anche.

E le “caricatevoli” associazioni di varia natura, con i loro grandi “esperti” in materia scientifica (Bill Gates, Sharon Stone, Bono, Carla Bruni, Raul Bova e la lista di ignoranti che salgono sui palchi internazionali a ripetere come oche le frasette predigerite da qualcuno, ma che ormai non hanno alcuna risonanza sulla psicologia sociale), che lottano per salvarci tutti, cosa fanno? Stanno a guardare. E chiedono fondi nelle piazze. Come al mercato, solo che almeno lì si vende qualcosa di reale. Un carciofo o una banana. Non virus inesistenti.

Un’ultima riflessione?

Se davvero questi soggetti e queste associazioni, visti i suddetti legami con le aziende farmaceutiche e i mass media, avessero a cuore la salute del prossimo anziché “altro”, non avrebbero problemi a rendere pubbliche le affermazioni di Montagnier e le innumerevoli pubblicazioni scientifiche che provano che l’Aids e il suo ipotetico patogeno Hiv sono state solo una abile mossa politica, sostenuta dai mass media e che (per fortuna solo inizialmente) è riuscita ad entrare nella psiche dell’umanità come una Apocalisse annunciata (in conferenza stampa) e senza precedenti.

  • Non ci sarebbero problemi nel rendere pubblici gli articoli, pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche, in cui si dimostra che questo misterioso “Hiv” non lo si trova da nessuna parte; che molta gente è tornata “sieronegativa”; che i fogli illustrativi dei test mettono nero su bianco che non testano nulla che si possa chiamare “Hiv”; che i farmaci antiretrovirali sono la vera condanna a morte (se anche esistesse un virus immunosoppressore, secondo quale logica avrebbe senso “curarlo” con una chemioterapia immunosoppressiva?).

 

E non ci sarebbe necessità così urgente e ridicola di additare come “pericolosi criminali” i numerosi ricercatori (nel mondo sono ormai migliaia) che, noncuranti dei propri interessi personali, hanno dichiarato pubblicamente che questo scempio antiscientifico deve finire.

Ricercatori marchiati come “negazionisti” e “dissidenti”: perché capite, mostrare documenti e fatti oggettivi, certo significa negare e dissentire. Da chi occulta e vive ormai da decenni su questo scandalo. E, probabilmente, è consapevole della ricaduta economica e non solo che la verità avrà e già sta avendo sulla rete diabolica costruita a tavolino dai primi anni ‘80. E la gente di certo è consapevole che la violenza di un attacco è proporzionale alla dimensione della menzogna che si vuole (ulteriormente) nascondere.Di seguito tutte le interviste agli scienziati sopracitati per ulteriori approfondimenti. Buona visione.  

“HIV LA FRODE SCIENTIFICA DEL NOSTRO SECOLO”

 

Hiv-Aids 2014 CORRETTA INFORMAZIONE: Luc Montagnier dalla parte dei “negazionisti”.

RIPORTIAMO QUI L’INTERVISTA  TRATTA DAL PROGRAMMA RADIOFONICO “OUVERTURE”, posta in due differenti maniere,la prima supportata da immagini e documenti che riassumono il tutto,la seconda,riporta l’audio dell’intervista in sè…

 

.https://www.youtube.com/watch?v=x8QG57nN7lY

.https://www.youtube.com/watch?v=hHcm3KUcM8o

.https://www.youtube.com/watchv=AmW8tBp2X0s

 

    marco-ruggiero

I’intervista al Prof. Marco Ruggiero  

Intervento del Prof. Marco Ruggiero (Professore Ordinario di Biologia Molecolare presso Università degli Studi di Firenze) durante la conferenza HIV INFORMA “Hiv e Aids: Tutto quello che non vi hanno detto”. Bari 16 Maggio 2011.

 

 

.HIV 2014 


Pubblicato il 14/mar/2013

 Documenti ufficiali:

  • http://www.scribd.com/doc/135713547/H…

DOCUMENTARIO INTERESSANTE E DA VEDERE ASSOLUTAMENTE ,IL CUI TITOLO è ” HOUSE OF NUMBERS”

INTERVISTE

DOCUMENTI VISIONABILI E SCARICABILI CLICCANDO IL LINK DI SEGUITO

https://vacciniinforma.it/?p=293

 

Sull’ argomento “HIV e  AIDS”   un libro scritto dal Prof. Etienne de Harven


PROFESSOR ETIENNE DE HARVEN


.VIDEO 2014 

  • https://www.youtube.com/watch?v=svSVVw7V5as
  • https://www.youtube.com/watch?v=nHH0OP4FsQU

. Tesi di Laurea del Dottor Daniele Mandrioli “HIV e AIDS”  

parte 1 
  • https://www.youtube.com/watch?v=7YUoU4EQYAY
 parte 2
  • https://www.youtube.com/watch?v=HjvqYRZoBzI

 

 

 

 

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Conferme Biomolecolari alle celebri affermazioni di Montagnier


Conferme Biomolecolari alle celebri affermazioni di Montagnier in “House of numbers” pubblicate sulla rivista Blood


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NOTA: Questo documento è stato ispirato e prodotto da Christine Johnson, che ha compilato la sua lista iniziale di Continuum nel 1996 senza il suo aiuto e l’aiuto di collaboratori di OMSJ, questo rapporto non sarebbe stato possibile.


TROVERETE DI SEGUITO tutte le analisi molecolari  per verificare la presenza di anticorpi, di antigeni e del genoma ( scaricabili attraverso il seguente link)

  • Tests Only Online.pdf

    RICORDIAMO CHE  i test anticorpali non sono in grado di rilevare l’infezione da HIV in quanto puoi avere incontrato il virus (come dimostrato dalla firma molecolare), ma essere sieronegativo


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  • Abbott HIVAB™ HIV-1/HIV-2 (rDNA) EIA

  • Abbott HIVAB HIV-1 EIA

  • Abbott HIVAG-1 Monoclonal (1989)

  • Abbott HIVAG-1 (1989)

  • Abbott HIVAB™ HIV-1/HIV-2 (rDNA) EIA

  • Abbott Prism HIV O-Plus

  • ARCHITECT HIV Ag/Ab Combo

  • Bio-Rad Multispot HIV-1/HIV-2 Rapid Test

  • Calypte HIV-1 Urine EIA

  •  Cambridge Biotech HIV-1 Western Blot Kit

  • Chembio HIV 1/2 STAT-PAK™ Assay

  • COBAS® AmpliScreen HIV-1 Test, version 1.5

  • Coulter HIV-1 P24 AG Assay

  •  Fluorognost HIV-1 IFA

  • Genetic Systems rLAV – Bio-Rad Laboratories

  • Genetic Systems HIV-1 HIV-2 Peptide (Plus O) EIA

  • Genetic Systems HIV-2 EIA

  •  Genetic Systems HIV-1 Western Blot Bio-Rad

  • Home Access HIV-1 Test System

  • INSTI™ HIV-1 Antibody Test

  • Maxim HIV-1 Urine EIA

  •  MP Diagnostics HIV BLOT 2.2

  • Murex SUDS HIV-1 Test

  • NucliSens HIV-1 QT

  • OraQuick® ADVANCE Rapid HIV-1/2 Antibody Test

  •  OraQuick® Rapid HIV-1 Antibody Test

  •  OraSure HIV-1 Western Blot Kit

  • Procleix ® HIV-1/HCV Assay

  •  Reveal™ Rapid HIV -1 Antibody Test

  • Roche Amplicor HIV-l Monitor Test

  • Sure Check® HIV 1/2 Assay

  • Trugene HIV-1 Genotyping Kit

  •  UltraQual HIV-1 RT-PCR assay

  • Uni-Gold™ Recombigen® HIV

  • Versant® HIV-1 RNA 3.0 Assay

  • Vironostika® (Avioq) HIV-1 Microelisa System

  • ViroSeq™ HIV-1 Genotyping System

  • CD4 TEST KITS

  • FlowCellect™ Human CD4/CD8 T Cell Kit

  • CD154/IL5/CD4 Detection Kit

  • Dynal® T4 Quant Kit

  • Dynabeads® CD4

  • MultiTEST CD3 FITC/CD8 PE/CD45 PerCP/CD4 APC

  • Guava® Express CD3/CD4 Reagent Kit

  • PointCare Now

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Recentemente un gruppo di ricerca italiano ha dimostrato e pubblicato sulla prestigiosa rivista Blood (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22286198) che si può contrarre l’ HIV molte volte e rimanere (o tornare) sieronegativi (in perfetta linea con quanto detto e messo per iscritto da Montagnier).


Questi ricercatori, mediante sofisticate analisi molecolari hanno dimostrato che esistono soggetti i cui CD4 recano traccia (firma di miRNA) molecolare dell’incontro con HIV, ma che restano (o tornano ad essere) sieronegativi (vedi lavoro su Blood allegato).


Le parole chiave sono all’inizio della discussione: “In this study, we have shown that exists a miRNA signature that discriminate infected from exposed uninfected subjects“. Cioè esistono soggetti con esposizioni multiple che hanno incontrato inequivocabilmente il virus (miRNA signature), definiti “exposed” ma restano (o tornano ad essere) sieronegativi, e secondo loro, “uninfected”.


Questa è la dimostrazione molecolare delle parole del Nobel Montagnierpuoi incontrare l’HIV tutte le volte che vuoi ed il tuo sistema immunitario se ne libererà in poche settimane, se hai un buon sistema immunitario”. Il che vuol dire che prima viene l’immunodeficienza e poi l’infezione produttiva di HIV ed eventualmente la sua cronicizzazione.


Questo lavoro dimostra chiaramente che i test anticorpali non sono in grado di rilevare l’infezione da HIV in quanto puoi avere incontrato il virus (come dimostrato dalla firma molecolare), ma essere sieronegativo.


Se si entra nel dettaglio, ovviamente lo studio dimostra che l’esposizione era avvenuta molto tempo prima; cioè non è che ancora non sono diventati HIV+ e lo diventeranno tra un po’. Questo è scritto chiaramente nella discussione. Inoltre il lavoro su Blood dimostra che l’approccio con vaccini che usino proteine virali (vedi la bufala miliardaria sulla proteina TAT) non appare molto promettente (nonostante 25 anni di ricerche e soldi pubblici spesi dall’Istituto Superiore di Sanità).


Infatti nelle conclusioni scrivono chiaramente, pur usando la diplomazia necessaria: “Furthermore, the evidence that HIV-1 antigen exposure (as observed both in ex vivo and in vitro condition) causes a significant change in miRNA expression profile, is particularly intriguing because of its possible implication for understanding the inefficacy of some HIV-1 vaccine based on viral proteins as antigens.)”. Cioè, danno per acquisita l’inefficacia e dicono che grazie ai loro risultati si può comprendere il perché dell’inefficacia, In sintesi, per i profani,questo articolo dimostra che :


  • 1 si può essere esposti a quello che viene chiamato hiv e/o alle sue proteine specifiche e rimanere sieronegativi ;

  • 2 I soggetti esposti all’Hiv che non diventano sieropositivi non svilupperanno dunque mai l’Aids per definizione ;

  • 3 I test Elisa e Western Blot non sono dunque adeguati per dimostrare l’esposizione all’Hiv dato che gli autori dimostrano che ci sono individui che recano la firma molecolare di esposizioni multiple all’Hiv ma rimangono sieronegative ai test suddetti ;

  • 4 Quindi la sieropositività non è dovuta alla sola esposizione all’Hiv; ci sono altri fattori che rendono sieropositivi ;

  • 5 Ipotetici vaccini sono inutili, e questo spiega l’ennesima truffa e il totale fallimento con annesso spreco di miliardi, Vaccini promessi dal 1984 da Gallo in USA e in Italia dalla Ensoli. Vaccini mai visti. E che mai vedremo.

Considerazioni finali: le prove scientifiche fornite da questo articolo aprono un algoritmo che non ammette tertium: se le proteine non sono virali (e per questo si resta sieronegativi) allora si deve ammettere che esistono proteine non virali identiche a quelle virali e quindi essere sieropositivi non vuol dire aver incontrato il virus.


Oppure si sostiene che quelle proteine (di cui resta la firma nei CD4) sono proprio ed esclusivamente quelle virali ed allora si è costretti ad ammettere che si può incontrare il virus tutte le volte che si vuole e l’organismo se ne libera in poche settimane (come detto e messo per iscritto da Luc Montagnier). Tanto in fretta se ne libera che il soggetto non fa in tempo a montare una risposta anticorpale e resta sieronegativo.


  • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22286198

Di seguito è riportata l’intervista al Premio Nobel Luc Montagnier


(reperibile e scaricabile attaraverso il link di seguito)

Montagnier_intervista.pdf


Luc-Montagnier


Luc Montagnier scoprì l’HIV?


Di Djamel Tahi Continuum inverno 1997


Testo della conferenza filmata effettuata all’Istituto Pasteur nel luglio 1997 (evidenziazione di affermazioni particolarmente significative in giallo da parte del traduttore, FF). Please note: The answers by Luc Montagnier have been numbered for easier reference to the analyses in the reply by Papadopulos-Eleopulos et al.


DT: Un gruppo di scienziati australiani afferma che nessuno finora ha isolato il virus dell’AIDS, l’HIV. Per loro le regole dell’isolamento dei retrovirus non sono state correttamente rispettate per l’HIV. Queste regole sono: coltura, purificazione del materiale con ultracentrifugazione, fotografie con Microscopio Elettronico (EM) del materiale che si separa alla densità dei retrovirus, caratterizzazione di queste particelle, prova della infettività delle particelle.


LM: No, questo non è isolamento. Noi effettuammo l’isolamento poiché noi “passammo oltre” il virus, noi facemmo una coltura del virus. Per esempio Gallo disse: “Essi non hanno isolato il virus … e noi (Gallo et al.), noi l’abbiamo fatto emergere in abbondanza in una linea cellulare immortale.”
Ma prima di farlo emergere in linee cellulari immortali, noi lo facemmo emergere in  colture di linfociti normali di un donatore di sangue. Questo è il criterio principale. Uno aveva qualcosa che poteva passare avanti serialmente, che uno poteva mantenere. E caratterizzarlo come un retrovirus non solo per le sue proprietà visive, ma anche biochimicamente, l’attività della RT (transcriptasi inversa) che è propriamente specifica dei retrovirus. Noi avevamo anche la reazione degli anticorpi contro alcune proteine, probabilmente le proteine interne. Dico probabilmente per analogia con la conoscenza di altri retrovirus. Uno non avrebbe potuto isolare questo retrovirus senza la conoscenza di altri retrovirus, questo è ovvio. Del tutto. (1)


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DT: Mi lasci tornare alle regole dell’isolamento virale che sono: coltura, purificazione alla densità dei retrovirus, fotografie al microscopio elettronico del materiale alla densità dei retrovirus, caratterizzazione delle particelle, prova della infettività delle particelle. Sono stati effettuati tutti questi passaggi per l’isolamento dell’HIV? Vorrei aggiungere che, in accordo con le numerose citazioni bibliografiche pubblicate dal gruppo australiano, la Transcriptasi inversa non è specifica dei retrovirus ed in più il Suo lavoro per individuare la transcriptasi inversa non venne forse fatto su materiale purificato?


LM: Io penso che abbiamo pubblicato su Science (maggio 1983) un gradiente che ha dimostrato che
la transcriptasi inversa (RT) aveva la densità di 1,16. Così uno aveva un picco che era la RT. Così uno ha assolto questo criterio di purificazione. Ma effettuarlo in passaggi seriali è difficile perché quando poni il materiale in purificazione, in un gradiente, i retrovirus sono molto fragile,così si rompono uno con l’altro e perdono gran parte della loro infettività. Ma penso che anche così abbiamo mantenuto una parte della loro infettività. Ma non era così semplice come lo è oggigiorno, perché le quantità del virus erano comunque molto basse. All’inizio noi ci imbattemmo in un virus che non uccideva cellule. Il virus veniva da un paziente asintomatico e così fu classificato tra i virus non formanti sincizi, non citopatogeni usando il co-recettore ccr5. Era il primo virus BRU.
Se ne aveva una piccolissima quantità, e non si poteva passarlo nelle linee di cellule immortali. Provammo per alcuni mesi, non ci riuscimmo. Riuscimmo molto facilmente con il secondo ceppo. Ma qui sta il problema piuttosto misterioso della contaminazione di quel secondo ceppo dal primo. Questo era il LAI. (2)


DT: Perché le fotografie al ME da Lei pubblicate provengono dalla coltura e non dalla purificazione? LM: C’era così poca produzione di virus che era impossibile vedere cosa poteva esserci in un concentrato di virus da un gradiente. C’era troppo poco virus per fare quello. Naturalmente lo si cercava, lo si cercava nei tessuti fin dall’inizio, così nelle biopsie. Noi vedemmo alcune particelle ma non avevano la morfologia tipica dei retrovirus. Esse erano molto differenti. Relativamente differenti. Così con le colture ci vollero molte ore per trovare le prime immagini. Fu uno sforzo titanico! E’ facile criticare dopo l’evento. Quello che non avevamo, ed io l’ho sempre riconosciuto, era la dimostrazione che fosse veramente la causa dell’AIDS. (3)


DT: Come è possibile senza la fotografie con microscopio elettronico dalla purificazione sapere se queste particelle sono virali ed appartengono ad un retrovirus, più in particolare ad uno specifico retrovirus?


LM: Bene c’erano fotografie della gemmazione. Noi pubblicammo immagini della gemmazione che sono caratteristici dei retrovirus. Avendo detto ciò, unicamente sulla morfologia non si poteva affermare che era veramente un retrovirus. Per esempio, uno specialista francese di Microscopia elettronica pubblicamente mi ha attaccato dicendo: “Questo non è un retrovirus, è un arena virus”. Questo perché ci sono altre famiglie di virus che gemmano e hanno estroflessioni sulla superficie, etc. (4)


DT: Perché questa confusione? Le fotografie con Microscopio Elettronico non mostravano chiaramente un retrovirus?


LM: In quel momento I retrovirus meglio conosciuti erano quelli di tipo C, che erano molto tipici. Questo retrovirus non era di tipo C ed i lentivirus erano poco conosciuti. Io stesso l’ho riconosciuto cercando tra le fotografie del virus dell’anemia infettiva equina nella biblioteca, e poi il virus Visna.  Ma, io ripeto, non era solamente la morfologia della gemmazione, c’era la transcriptasi inversa … era l’associazione di queste proprietà che mi indusse a dire che era un retrovirus (5).


DT: A proposito di transcriptasi inversa, è rivelata nelle colture. Quindi c’è la purificazione dove uno trova particelle retrovirali. Ma a questa densità ci sono molti altri elementi, tra gli altri quelli che uno chiama “simil-virali”.


LM: Esattamente, esattamente. Se preferisce non è una proprietà ma l’assieme delle proprietà che ci fece dire che era un retrovirus della famiglia dei lentivirus. Presi da sole nessuna delle proprietà è veramente specifica. E’ l’associazione di esse. Così noi avevamo : la densità, RT, fotografie delle gemmazioni e l’analogia con il visna virus. Queste sono le quattro caratteristiche. (6)


DT: Ma come tutti questi elementi costituiscono prova di un nuovo retrovirus? Alcuni di questi elementi potrebbero appartenere ad altre cose, “simil virali”…? LM: Si, e per di più noi abbiamo retrovirus esogeni che talvolta esprimono particelle – ma di origine endogena, e che perciò non hanno ruoli patologici, in ogni caso non in AIDS. (7)


DT: Ma uno come può cogliere la differenza?


LM: Perché noi potevamo passare oltre al virus. Noi passammo oltre alla attività della transcriptasi inversa nei nuovi linfociti. Noi ottenemmo un picco di replicazione e tenemmo traccia del virus. Era l’associazione delle proprietà che ci portò a dire che era un retrovirus. E perché nuovo? La prima domanda a noi posta dalla Natura era: “E’ o no una contaminazione di laboratorio? E’ forse un retrovirus murino o un virus animale?” Così uno poteva dire no! Perché noi abbiamo dimostrato che il paziente aveva anticorpi contro le proteine di questo virus. L’associazione (delle proprietà) ha una logica perfetta! Ma è importante prenderla come un’associazione.

Se voi prendete ciascuna proprietà separatamente, essi non sono specifici. E’ l’associazione che da’ la specificità. (8)


DT: Ma alla densità dei retrovirus, avete osservato particelle che assomigliavano a retrovirus? Un nuovo retrovirus?


LM: Alla densità di 1.5, 1.16, noi avevamo un picco di attività della transcriptasi inversa, che è l’enzima caratteristico dei retrovirus. (9)


DT: Ma poteva quello essere qualcosa d’altro?


LM: No nella mia opinione era molto chiaro. Non poteva essere che un retrovirus in quella maniera. Poiché l’enzima che Barré Sinoussi caratterizzò biochimicamente aveva bisogno del magnesio, così come l’HTLV. Aveva bisogno della matrice, il template, il primer che erano completamente caratteristici di una transcriptasi inversa. Questo era fuori discussione. A Cold Spring Harbour nel  settembre 1983, Gallo mi domandò se io ero sicuro che era una RT: Lo sapevo, Barré Sinoussi aveva fatto tutti I controlli per quello. Non era una semplice polimerasi, era una trascriptasi inversa. Lavorava solo con i primer a RNA, formava DNA: Questo era sicuro. (10)


DT: Con gli altri retrovirus che avete incontrato nella vostra carriera, avete seguito le stesse procedure ed avete incontrato le stesse difficoltà


LM: Direi che per l’HIV è un procedimento facile. Paragonato con gli ostacoli che uno trova con gli altri … poiché il virus non compare o perché l’isolamento è sporadico – si riesce una volta su cinque. Sto parlando circa la ricerca attuale su altre malattie. Uno può citare il virus della Sclerosi Multipla del prof Peron. Egli mi mostrò il suo lavoro 10 anni fa e ci mise circa dieci anni per trovare una sequenza genica che è molto vicina a quella di un retrovirus endogeno. Vede, è molto difficile. Poiché egli non riuscì a propagare il virus, egli non poté farlo crescere in una coltura. Mentre l’HIV cresce come erba matta. Il ceppo LAI per esempio cresce come erba matta. E’ così ha contaminato le altre colture. (11)


DT: Con cosa coltivaste I linfociti del vostro paziente? Con la linea cellulare H9? LM: No, poiché non funzionava affatto con la H9. Noi usammo molte linee cellulari e l’unica che poteva produrlo erano i linfociti Tambon. (12)


DT: Ma usando questi tipi di elementi, è possibile introdurre altre cose capaci di indurre una RT e proteine, ecc?


LM: Completamente d’accordo. Questo è il motive per cui non eravamo tanto entusiasti di usare linee cellulari immortali. Per coltivare il virus in grandi quantità – OK. Ma non per caratterizzarlo,poiché noi eravamo consapevoli di portare dentro altre cose. Queste sono linee cellulari MT che sono state trovate dai Giapponesi (MT2, MT4) che replicano l’HIV molto bene e che nello stesso tempo sono trasformate dall’HTLV. Perciò voi avete una mistura di HIV e HTLV. E’ una vera minestra. (13)


DT: Quel che più conta, non è possible che il paziente sia infettato da altri agenti infettivi?


LM: Potevano esserci dei mycoplasmi … potevano esserci un sacco di cose, ma per fortuna avevamo l’esperienza negative con i virus associate con il cancro e che ci era d’aiuto, poiché avevamo incontrato tutti questi problemi. Per esempio, un giorno ebbi un bel picco di RT, che F. Barre-Sinoussi mi diede, con un gradiente di densità un po’ più alto, 1,19. Ed io controllai! Era un mycoplasma, non un retrovirus. (14)


DT: Come accorgersi della differenza tra cosa è virale e cosa non lo è? Perché a questa densità c’è un sacco di altre cose, incluse particelle “simil virali”, frammenti cellulari …


LM: Sì, questo è il motivo con le colture di cellule poiché uno vede le fasi della produzione virale. Voi avete l’estroflessione. Charles Dauget (uno specialista in microscopia elettronica) guardava piuttosto alle cellule. Ovviamente guardava anche il plasma, il concentrato, ecc non vide niente di importante. Poiché se fai un concentrato, è necessario fare sottili sezioni [per vedere con EM], e per fare sottili sezioni è necessario avere un concentrato almeno della grandezza di una testa di spillo. Queste sono le enormi quantità di virus che sono necessarie. All’opposto, si fa una sezione di cellule molto facilmente ed è in queste sezioni sottili che Charles Dauget trovò il retrovirus, in differenti fasi di estroflessione. (15)


microscopico elettronico


DT: Quando si guarda alle fotografie elettroniche, per lei che è un retrovirologo, è chiaramente un retrovirus, un nuovo retrovirus?


LM: No, a quel punto non si può dire. Con le prime immagini di estroflessione, potrebbe essere un virus tipo C. Non si può distinguere. (16)


DT: Non potrebbe essere qualcosa d’altro che un retrovirus?


LM: No, ebbene, dopotutto, sì. Ma c’è un … noi abbiamo un atlante. Uno riconosce qualcosa per la padronanza dell’argomento, cos’è un retrovirus e cosa non lo è. Con la morfologia uno può distinguere, ma presuppone una certa buona conoscenza. No … bene, dopo tutto sì …avrebbe potuto essere un altro virus ad estroflettersi. Ma c’è un … noi abbiamo un atlante. Uno conosce un po’ dalla somiglianza, cosa è un retrovirus e cosa non lo è. Con la morfologia uno può distinguere, ma presuppone una certa famigliarità. (17)


DT: Perché nessuna purificazione?


LM: Ripeto, noi non purificammo. Noi purificammo per caratterizzare la densità della RT, che era certamente quella di un retrovirus. Ma non cogliemmo il picco … o non funzionò … poiché se purifichi allora danneggi. Così per le particelle infettive è meglio non toccarle granché. Così, tu prendi semplicemente il sopranatante delle colture dei linfociti che hanno prodotto il virus e le poni in piccola quantità in altre colture di linfociti. E così segue che tu passi il retrovirus serialmente e trovi sempre le stesse caratteristiche e tu aumenti la produzione ogni volta che effettui un passaggio. (18)


DT: Così lo stadio della purificazione non è necessario?


LM: No, no, non è necessario. Quello che è essenziale è passare avanti il virus. Il problema che Peron ebbe con il virus della sclerosi multipla era che non poteva passare il virus da una coltura ad un’altra. Questo è il problema. Egli provò un poco, non a sufficienza per caratterizzarlo. Ed oggigiorno caratterizzare significa soprattutto allo standard molecolare. Se tu vuoi la procedura va più velocemente.
Per farlo: un DNA, clonare questo DNA, amplificarlo, determinarne la sequenza, ecc. Così tu hai il DNA, la sequenza di DNA che ti dice se questo è realmente un retrovirus. Uno conosce la struttura famigliare dei retrovirus, tutti i retrovirus hanno una struttura genomica famigliare con questo e quel determinato gene che sono caratteristici. (19)


DT: Così, per l’isolamento dei retrovirus lo stadio di purificazione non è obbligatorio? Si può isolare senza purificare?


LM: Si, non si è obbligati a trasmettere materiale puro. Sarebbe meglio, ma c’è il problema che si danneggia (il virus) e si diminuisce la infettività dei retrovirus. (20)


DT:Senza andare attraverso questo stadio di purificazione, non c’è un rischio di confusione sulle proteine che uno identifica e anche sulla transcriptasi inversa che potrebbe venire da qualcos’altro?


LM: No, dopotutto, ripeto che noi abbiamo un picco di RT alla densità di 1,15, 1,16, ci sono 999 probabilità su 1000 che è un retrovirus. Ma questo poteva essere un retrovirus di origine diversa. Ripeto, ci sono alcuni retrovirus endogeni, pseudo-particelle che possono essere emesse dalle cellule, ma anche così, dalla parte del genoma che codifica i retrovirus. E che uno acquisisce attraverso l’ereditarietà, nelle cellule per un tempo molto lungo. Ma infine io penso per la prova – poiché le cose evolvono nel modo consentito dalla biologia molecolare che permette persino una più facile caratterizzazione questi giorni – è necessario procedere molto velocemente alla clonazione. E questo venne fatto molto velocemente, sia da Gallo sia da noi stessi. Clonare e sequenziale, e così uno ha la completa caratterizzazione. Ma io ripeto, la prima caratterizzazione appartiene alla famiglia dei lentivirus, la densità l’estroflessione, ecc, le proprietà biologiche, l’associazione con le cellule T4. Tutte queste cose sono parte della caratterizzazione, e fummo noi a farlo. (21)


DT: Ma viene il momento in cui uno deve effettuare la caratterizzazione del virus. Questo significa: quali sono le proteine di cui è composto?


LM: Questo è il punto. Così dunque, l’analisi delle proteine del virus richiede produzione di massa e purificazione. E’ necessario fare questo. E là io dovrei dire che questo parzialmente ha fallito. J.C. Chermann aveva questo incarico, almeno per le proteine interne. Ed egli ebbe difficoltà nel produrre il virus e non funzionava. Ma questa era una possibile strada, l’altra era di ottenere l’acido nucleico, clonare, ecc. E’ questo il modo che ha funzionato molto velocemente. La prima strada non funzionava poiché noi avevamo a quel tempo un sistema di produzione che non era efficiente a sufficienza. Uno non aveva a disposizione abbastanza particelle prodotte per purificare e caratterizzare le proteine virali. Non poteva essere fatto. Uno non poteva produrre una adeguata quantità di virus a quel tempo, perché quel virus non si manifestava nelle linee cellulari immortali. Noi potemmo farlo con il virus LAI, ma a quel tempo noi non lo sapevamo. (22)


DT: Gallo lo fece?


LM: Gallo? .. Non so se egli realmente purificò. Non lo credo. Io credo che si lanciò molto velocemente sulla parte molecolare, il che significa sulla clonazione. Quello che fece è il Western Blot. Noi usammo la tecnica RIPA, così quello che fecero era nuovo cioè dimostrarono alcune proteine che non si erano viste bene con le altre tecniche. C’è un altro aspetto della caratterizzazione del virus. Non puoi purificarlo ma se conosci qualcuno che ha gli anticorpi contro le proteine del virus, puoi purificare il complesso antigene/anticorpo. Questo è quello che si fece. E così uno aveva una banda visibile, marcata radio attivamente, che si chiamò proteina 25, p25. E Gallo ne vide altre. C’era la p25 che egli chiamò p24, c’era la p41, che egli vide … (23)


gallo


DT: Riguardo gli anticorpi, numerosi studi hanno mostrato che questi anticorpi regiscono con alter proteine o elementi che non sono parte dell’HIV. E che non sono sufficienti a caratterizzare le proteine dell’HIV


LM: No! Poiché avevamo controlli. Noi avevamo persone che non avevano l’AIDS e non avevano anticorpi contro queste proteine. E le tecniche che abbiamo usato erano tecniche che io stesso avevo perfezionato alcuni anni prima, per individuare il gene src. Lei vede il gene src che fu anch’esso identificato con la immunoprecipitazione. Era la p60 (proteina 60). Ero molto abile, e così i miei tecnici, con la tecnica RIPA. Se uno ottiene una specifica reazione, è specifica. (24)


DT: Ma noi sappiamo che I pazienti con AIDS sono infettati da una moltitudine di altri agenti infettivi che sono suscettibili a …


LM: Ah, sì, ma gli anticorpi sono molto specifici. Essi sanno come distinguere una molecola tra un milione. C’è una grandissima affinità. Quando gli anticorpi hanno una sufficiente affinità, Lei identifica qualcosa di realmente molto specifico. Con anticorpi monoclonali, Lei “pesca” realmente una sola proteina. Tutto questo è usato per la determinazione diagnostica dell’antigene. (25)


DT: Per Lei la p41 non era di origine virale e così non apparteneva all’HIV. Perché questa contraddizione?


per leggere la conclusione dell’intervista ( punti 25-35) clicca il link seguente


Montagnier_intervista.pdf


Questa,l’intervista al Premio Nobel Luc Montagnier,mai confutata da nessuno,del famoso gruppo di ricercatori di Perth,in Australia a cui si collegano i seguenti documenti 

(CLICCA IL LINK SEGUENTE)

Reply to Montagnier-Tahi interview in ITALIAN.doc


Generalmente si accetta che Peyton Rous scoprì i retrovirus nel 1911, quando indusse tumori maligni nei polli attraverso iniezioni di filtrati privi di cellule ottenuti da un tumore muscolare. Esperimenti simili furono ripetuti da diversi ricercatori ed i filtrati indotti dai tumori furono resi noti come agenti filtrabili, virus filtrabili, agenti di Rous, virus di Rous. Tuttavia, lo stesso Rous espresse dubbi riguardo al fatto che gli agenti che causavano i tumori fossero (in realtà) infettivi. In verità, Rous avvertì che, ‘La prima tendenza sarà quella di considerare l’agente auto perpetuante attivo in questo sarcoma del pollo come un piccolissimo organismo parassita. L’analogia con diverse malattie infettive dell’uomo e degli animali inferiori, causata da organismi ultramicroscopici, suffraga questa visione delle risultanze e, attualmente, il lavoro viene indirizzato per la sua verifica sperimentale. Comunque non è impossibile un’azione di altro tipo. E’ plausibile che una sostanza chimica stimolante, prodotta dalle cellule neoplasiche, possa causare il tumore in un altro ospite e, di conseguenza, possa provocare una ulteriore produzione della medesima   sostanza stimolante’.(1)


 

 

Nel 1928, A E Boycott, presidente della Reale società di medicina, Sezione di patologia, nel suo Discorso presidenziale intitolato ‘‘La transizione dalla vita alla morte: la natura dei virus filtrabili’, disse: ‘Un altro fenomeno analogo ci porta, penso, ad un ulteriore livello. I prodotti dell’autolisi delle cellule morte nel corpo, in una concentrazione idonea, stimolano la crescita tissutale. E’ un meccanismo meraviglioso di auto regolazione nel quale la quantità di stimolo è proporzionale alla quantità di distruzione delle cellule, e quindi alla quantità di crescita cellulare richiesta, ed è ovviamente di grandissima importanza per la sopravvivenza – un fattore molto più potente nella selezione ed evoluzione di qualsiasi precedente malattia. Come avviene normalmente nella guarigione delle nostre dita tagliate, il risultato finale è semplicemente la ricostruzione delle cellule che furono distrutte. Ma se la normale restrizione esercitata dai tessuti vicini viene evitata e vengono impiegate colture di tessuti, i prodotti dell’autolisi o del metabolismo (sotto forma di estratti di tessuti, tumori, o embrioni) stimolano la crescita indefinitamente e si potrebbe ottenere una molto più grande quantità di tessuto rispetto a quella con cui si iniziò. Dall’autolisi di ciò, si può ottenere una maggiore quantità di sostanza stimolante, e non sembra che ci sia alcuna ragione per cui questo processo di moltiplicazione debba avere un qualsiasi limite: i tessuti normali nell’isolamento fisico di colture di tessuti sono tanto immortali quanto i tessuti maligni nel loro isolamento fisiologico dal resto del corpo…


Questi prodotti dell’autolisi…non hanno ricevuto l’attenzione dovuta, ma hanno probabilmente delle costituzioni relativamente semplici e riscontrabili. Tuttavia, quando vengono applicati alle cellule, causano crescita e, nel farlo, aumentano potenzialmente la loro stessa quantità; questo è anche ciò che fa l’agente di Rous…Per quanto riguarda l’origine, tutta l’evidenza sembra concorrere ad indicare che il virus di Rous si origina de novo in ciascun tumore. Non esistono prove epidemiologiche che indichino che il cancro arrivi all’organismo da fuori; tutto ciò che sappiamo appoggia la visione classica che si tratta di una malattia locale autoctona. I sarcomi sperimentali prodotti dall’estratto di embrione e dall’indolo, dall’arsenico o dal catrame sono stati trasmessi dai filtrati. Gli epiteliomi vengono prodotti facilmente, nei topi, attraverso il catrame e, nell’uomo, attraverso l’irritazione cronica; e se crediamo che tutti i tumori maligni contengano più o meno un agente cancerogeno simile al virus di Rous, ne consegue che possiamo, con un considerevole grado di certezza, stimolare i tessuti normali a produrre virus’.(2)


 

 

Dieci anni prima, in un articolo intitolato ‘La teoria del plasmagene come origine del cancro’, quando discuteva l’induzione del cancro attraverso l’agente di Rous, i virus filtrabili e le particelle ‘auto propaganti’ trasmesse per ereditarietà, ma che stanno fuori dal nucleo, riscontrate nelle piante e ‘conosciute come plasmageni’, Darlington scrisse: ‘Verrà visto che queste infezioni sono artificiali, o almeno innaturali. Adesso la distinzione tra infezione naturale o artificiale è nota da tempo, anche se poco considerata, nella discussione dei virus delle piante. Una serie di condizioni aberranti possono essere trasmesse dal progenitore al discendente, e alcune hanno originato un discendente dopo che è stato innestato in un ceppo sano. Queste sono malattie artificiali, che in realta’ vengono trasmesse solo attraverso l’innesto. Alcune possono essere originate dalla mutazione delle proteine auto propaganti nelle cellule delle piante propagate durante lunghi periodi attraverso mezzi vegetativi (come possono esserlo i tumori). Altre sono emerse, certamente, attraverso la migrazione o il trapianto di proteine da un organismo all’altro. In qualsiasi caso hanno una proprietà d’infezione che possono svelare solamente in circostanze artificiali…Quindi facciamo un grosso errore nel chiamarli virus; sono dei provirus…Vale la pena rispondere ad un’altra domanda: Quale forma è possibile che prenda la proteina mutante nella cellula tumorale? A causa della sua veloce moltiplicazione, potrebbe mostrare a ragione un maggiore grado di aggregazione rispetto al suo progenitore. Apparirebbe allora come una particella estranea nella cellula mutante. Ciò è avvalorato dalle osservazioni al microscopio elettronico di due agenti tumorali nei polli della classe dei provirus di Claude, Porter e Pickels (1947)’.(3)


 

 

L’osservazione al microscopio elettronico di Claude et al è la prima relazione riguardo a particelle simili ai virus in un tumore, le prime microfotografie elettroniche del ‘virus Rous’. Subito dopo, molti altri ricercatori riferirono questi tipi di particelle in molti tumori e, come Boycott predisse, nei ‘tessuti normali stimolati’. Per quanto riguarda la predizione di Darlington che quelle particelle possono essere dovute ad ‘un maggior grado di aggregazione’ del citoplasma, può essere interessante notare che: (a) affinché si producano le proteine, gli acidi nucleici o l’aggregazione proteine/acidi nucleici (condensazione, contrazione), è necessaria l’ossidazione;(4) (b) i tessuti tumorali sono ossidati;(4) (c) tutti gli agenti adoperati per ‘stimolare i tessuti normali’ a indurre i retrovirus sono agenti ossidanti.(5-7)


 

 

Negli anni 40, in seguito allo sviluppo della microscopia elettronica (EM) e della tecnica di ultracentrifugazione nei gradienti di densità, le particelle osservate nei tessuti maligni potevano essere isolate, e quindi purificate, cioè, separate da tutte le altre cose. Poiché queste particelle furono viste nei tessuti maligni, ‘fu ipotizzato che le particelle costituissero l’agente eziologico della malattia’ e, negli anni 50, gli agenti filtrabili di Rous si resero noti come oncovirus (onkos=tumore). La principale caratteristica morfologica di queste particelle è una ristretta gamma di diametri e la caratteristica fisica principale è la loro densità.(8) Quando l’ultrastruttura di queste particelle fu determinata, le particelle sono state definite di un diametro dai 100 ai 120nM contenenti ‘corpi (cori) interni condensati’ e superfici ‘costellate da sporgenze (punte, protuberanze)’.(9)


 

 

Negli anni 50, dei retrovirologi rinomati, come ad esempio J W Beard, riconobbero che le cellule, comprese le cellule non infettate, sotto diverse condizioni, erano responsabili della generazione di un assortimento eterogeneo di particelle, alcune delle quali possono sembrare oncovirus. Questo ‘problema delle particelle’ portò all’opinione che, per provare l’esistenza di un retrovirus, ‘lo schema di approccio (come fu ben illustrato da ciò che è stato concepito e rigorosamente testato nelle indagini degli agenti virali), è relativamente semplice. Ciò consiste in:


(1) isolamento delle particelle d’interesse;


(2) recupero (purificazione) delle particelle che sono omogenee rispetto alla classe di particella in un dato preparato;


(3) identificazione delle particelle, e..


(4) analisi e caratterizzazione delle particelle, per riscontrare le proprietà fisiche, chimiche e biologiche desiderate’.


Beard sottolineò anche che ‘l’identificazione, la caratterizzazione, e l’analisi sono soggetti a discipline note, stabilite da indagini intensive, e le possibilità non sono state esaurite in alcun modo. Stranamente, è in questo campo che vengono visti i difetti più frequenti. Queste manchevolezze si relazionano, alle volte, con l’evasione delle discipline o con la loro applicazione a materiali inadatti. Come fu previsto, una grande parte dell’interesse agli aspetti più tediosi dell’isolamento e all’analisi delle particelle è stato deviato dai processi  più semplici e indubbiamente informativi della microscopia elettronica. Mentre si può imparare molto e velocemente con lo strumento, è comunque chiaro che i risultati ottenuti adoperandolo non possono mai sostituire, e assai spesso possono oscurare, la necessità di analisi fondamentali e critiche che dipendono dall’accesso ai materiali omogenei’(10) (il corsivo è nostro).


 

 

I retrovirologi concordarono anche sul fatto che i Virioni dell’RTV (retrovirus) hanno una densità esuberante caratteristica, e la tecnica preferita per la purificazione dell’RTV è la centrifugazione all’equilibrio in gradienti di densità’.11 In un incontro europeo sull’uso della centrifugazione nei gradienti di densità, tenuto nell’Istituto Pasteur nel 1972, dove Jean-Claude Chermann faceva il segretario, fu sottolineato che una volta che i liquidi di coltura (supernatanti) sono marcati a bande, la banda di densità nella quale vengono intrappolati i retrovirus (ciò varia leggermente a seconda della sostanza impiegata per produrre i gradienti), deve essere completamente analizzata. Il saggio consiste da quanto segue:


 

 

‘Saggi per i Virus del tumore a RNA

 


 

            Fisici


Microscopia elettronica (colorante negativo e sezione fine)

Conta dei virus

Morfologia

Purezza

 


 

            Biochimici


Transcriptasi inversa

RNA 60-70S, RNA totale

Proteina totale

Analisi col gel di proteine virali e dell’ospite e acidi nucleici

 


 

            Immunologici

Diffusione su gel

Fissazione complementare*

Immunofluorescenza*

 


 

            Biologici

Contagiosità in vivo

Contagiosità in vitro

 

*Con reagenti specifici per gli antigeni avvolti e interni gs e env’.(12)

 


 

(La transcriptasi inversa è un enzima che è stato scoperto negli oncovirus nel 1970 (13), di qui il loro nome presente: retrovirus, e RNA 60-70S, l’RNA ‘virale’. I retrovirus vengono alle volte chiamati virus tumorali a RNA, perché il loro genoma è composto da RNA e non da DNA).

 


istitut pasteur

Il metodo specificato nell’Istituto Pasteur nel 1972 non è dunque diverso da quello discusso da J. W. Beard due decenni prima. In verità, il metodo è logica basica applicata alla definizione di un virus. E’ impossibile affermare che una proteina o un RNA sono retro virali, a meno che non si dimostri prima che questi sono costituenti di una particella e che la particella è infettiva. Come si può vedere, il primo passo è l’esame con la microscopia elettronica per dimostrare che la banda contiene particelle con le caratteristiche morfologiche dei retrovirus e, come segnalarono Francoise Barre-Sinoussi e Jean Claude Chermann nell’incontro all’Istituto Pasteur, che la banda sia pura, che contenga, cioè, nient’altro che particelle che ‘non hanno differenze palesi nell’apparenza fisica’.(14)


 

Il secondo passo nell’analisi del materiale a 1,16g/ml è provare che le particelle sono capaci di trascrivere inversamente l’RNA in DNA. Tuttavia, come Gallo stesso mise in guardia nei confronti del riscontro di particelle, anche quelle che contengono la transcriptasi inversa, è prova insufficiente per dimostrare che una particella è un retrovirus. La prova completa dipende da esperimenti che:


  • (a) ottengono particelle da una coltura dove sono separate da qualsiasi altra cosa (isolate), che dimostrano che le particelle contengono proteine e RNA ma non DNA e che le proteine sono codificate dall’RNA (il genoma virale);

  • (b) dimostrano che quando le particelle vengono introdotte in una coltura di cellule non infettate, le particelle entrano nelle cellule, l’RNA delle particelle viene trascritto inversamente in DNA che viene incorporato nel DNA cellulare;

  • (c) dimostrano che queste cellule a loro volta producono particelle simili a quelle retrovirali;

  • (d) dimostrano che le particelle prodotte da queste cellule contengono proteine e RNA che sono identici a quelli delle particelle originali introdotte nelle cellule;

  • (e) dimostrano che le colture cellulari identiche a quelle nelle quali furono introdotte le particelle simili a quelle retrovirali non producono tali particelle, quando vengono coltivate esattamente nelle stesse condizioni, ma invece di introdurre particelle retrovirali, si introduce un altro materiale di coltura, come ad esempio le microvescicole cellulari.

Ciò è perché, a differenza di qualsiasi altro agente infettivo, tutte le cellule contengono genomi retrovirali che, sotto condizioni appropriate, si possono esprimere in coltura. In altre parole, ciò può portare ad avere all’apparenza retrovirus noti come retrovirus endogeni. Ne consegue che, sia le cellule nella coltura dalla quale le particelle originali furono ottenute, sia la coltura nella quale furono introdotte, possono produrre particelle retrovirali identiche, anche se le particelle che furono introdotte non erano infettive. Di conseguenza, è assolutamente necessario avere controlli idonei.

 


 

Per provare l’esistenza di un retrovirus le particelle simili a quelle retro virali devono dunque venire isolate e analizzate due volte. La prima volta per ottenere e analizzare i costituenti delle particelle prodotte nella prima coltura, la seconda volta per provare che le particelle prodotte, semmai ce ne sia qualcuna, provenienti dalle cellule nella seconda coltura, sono identiche alle particelle ancestrali. L’avvertimento cruciale in questa procedura è l’impiego di tecniche sperimentali per controllare gli effetti della co-coltivazione, gli agenti chimici e gli altri diversi fattori che, da soli, possono indurre fenomeni retrovirali indipendenti dall’infezione retrovirale esogena.(15-17)

 


 

Per concludere, all’inizio degli anni 80, i retrovirologi concordarono che,  per provare l’esistenza dei retrovirus, prima si devono isolare (purificare) le particelle candidate, ed il metodo per raggiungere ciò era attraverso la marcatura con le bande in un gradiente di densità.

 


 

Sintesi dell’articolo del 1983 su Science di Montagnier e colleghi

 


 

Nel 1983 Luc Montagnier, i suoi colleghi dell’Istituto Pasteur ed altri ricercatori francesi pubblicarono un articolo che viene ritenuto il primo studio nel quale fu provata l’esistenza dell’’HIV’. L’articolo è intitolato: ‘Isolamento di un retrovirus linfotropico T da un paziente a rischio di Sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS)’(18), che aveva Francoise Barre-Sinoussi come autore principale e Jean Claude Chermann come secondo autore. L’affermazione degli autori di aver isolato un retrovirus, e che quindi avevano provato la sua esistenza, era basata sui seguenti esperimenti:

 


 

  1. I linfociti provenienti dai linfonodi di due pazienti con linfoadenopatie come anche cellule mononucleari del sangue periferico di questi pazienti ‘furono messi in un mezzo di coltura insieme alla fitoemagglutinina (PHA), il fattore di crescita delle cellule T (RCGF), e l’antisiero contro l’interferone umano…Nel topo, abbiamo mostrato previamente che l’antisiero contro l’interferone poteva aumentare la produzione di retrovirus per un fattore da 10 a 50’. I supernatanti erano regolarmente analizzati per riscontrare l’attività di transcriptasi inversa (RT), adoperando il primer da stampo sintetico An.dT12-18. ‘Dopo 15 giorni di coltura, fu individuata un’attività di transcriptasi inversa nel supernatante della coltura del linfonodo’ di uno dei pazienti, il primo paziente. (Il livello di attività non viene dato). ‘I linfociti del sangue periferico coltivati nella stessa maniera erano consistentemente negativi nei confronti dell’attività di transcriptasi inversa anche dopo 6 settimane’. Lo stesso accadeva per entrambe le colture provenienti dal secondo paziente. Apparentemente l’individuazione di attività RT fu considerata come prova dell’infezione da un retrovirus.

 


 

  1. I linfociti di un donatore di sangue adulto e sano sono stati messi in coltura (le condizioni di coltura non sono state fornite) e dopo tre giorni la metà della coltura fu co-coltivata con linfociti provenienti da una coltura del paziente nella quale fu individuata l’RT. (Le condizioni non sono state fornite). ‘Si poteva individuare l’attività di transcriptasi inversa nel supernatante nel quindicesimo giorno delle co-colture’, (il livello di attività non viene fornito) ma non nella coltura del donatore del sangue. (Non viene menzionato se le condizioni nella coltura del donatore del sangue erano le stesse delle condizioni della co-coltura. Tuttavia, è ovvio che le cellule del donatore del sangue non furono co-coltivate con linfociti provenienti da linfonodi di pazienti che non erano a rischio di AIDS, ma che comunque avevano anormalità cliniche e di laboratorio simili al paziente numero uno. Visto che quella co-coltivazione porta alla comparsa di retrovirus endogeni, questa è una omissione significativa del protocollo sperimentale).

 


 

3. 3. Dei linfociti normali del cordone ombelicale furono coltivati durante tre giorni (le condizioni di coltura non sono state fornite), dopodiché sono stati aggiunti dei supernatanti provenienti dalla co-coltura e dal polibrene. ‘Dopo un periodo di latenza di 7 giorni, fu individuato un titolo relativamente elevato di attività di transcriptasi inversa’. (Infatti l’attività era relativamente bassa, non più di 8.000 conteggi per minuto). E’ stata riferita un’attività di sfondo che raggiungeva 4000 conteggi per minuto.(19) Le ‘Colture identiche’ alle quali non era stato aggiunto un supernatante, rimasero negative. (Poiché non è stato aggiunto alcun supernatante, le colture non potevano essere identiche. Poiché il supernatante proveniente da colture non infettate aggiunte alle cellule normali non infettate porta alla comparsa di retrovirus endogeni, ciò è anche una differenza significativa). Gli autori, quando commentarono le risultanze dei tre esperimenti, scrissero: ‘Queste due infezioni successive mostrano chiaramente che il virus poteva propagarsi su linfociti normali provenienti sia da neonati sia da adulti’. Le conclusioni dei tre esperimenti furono anche apparentemente considerate prova dell’’isolamento’, comunque, ‘Il fatto che questo nuovo isolato era un retrovirus, fu indicato ulteriormente dalla sua densità in un gradiente di saccarosio, che era di 1,16’.

 


 

4. L’evidenza proveniente dai gradienti di saccarosio consisteva in due parti.


  • (a) il supernatante dei linfonodi del sangue ombelicale, nel quale fu individuata l’attività RT, fu marcato a bande nei gradienti di densità del saccarosio. Fu riferita un’attività RT massima nella banda 1,16g/ml.

  • (b) Fu aggiunta la metionina alla coltura di linfociti del sangue del cordone nella quale fu individuata l’attività RT [35S], cioè, la metionina radioattiva, un aminoacido che viene incorporato alle catene di proteine che si sviluppano e la cui radioattività consente l’individuazione di proteine del genere. Sono stati eseguiti due tipi di esperimenti con questa coltura, uno con le cellule, e l’altro con il supernatante:

  • (i) un estratto di cellula fu lisato (rotto) e centrifugato. Sono stati aggiunti diversi sieri a parti del supernatante cellulare (contenenti anticorpi) e le proteine sono state elettroforizzate (separate attraverso l’impiego di un campo elettrico) su un gel in una lastra di poliacrilamide-SDS. Sono state riscontrate diverse proteine che hanno reagito, non solo con i sieri provenienti dai due pazienti con linfoadenopatie molteplici, ma anche con i sieri provenienti da un donatore sano e da una capra sana.

  • (ii) il supernatante della coltura fu marcato in bande in un gradiente di densità del saccarosio. Anche se non vengono menzionati degli studi EM della banda 1,16g/ml, si affermò che la banda fu fatta reagire con i sieri dei due pazienti così come dei due donatori del sangue sani, e che fu trattata nella stessa maniera con la quale fu trattato l’estratto cellulare. Anche se nei manoscritti pubblicati è virtualmente impossibile distinguere proteine che reagiscono con qualsiasi siero, anche con sieri provenienti dai due pazienti, si afferma nel testo che ‘quando il virus purificato, marcato [la banda 1,16g/ml] fu analizzato [fatto reagire con i sieri], furono viste tre proteine importanti: la proteina p25 e le proteine con pesi molecolari di 80.000 e 45.000. La proteina 45K può essere dovuta a contaminazione del virus attraverso l’actina cellulare che era presente negli immunoprecipitati di tutti gli estratti cellulari’. (il corsivo è nostro) Gli studi EM della coltura dei linfociti del sangue del cordone ‘mostrarono particelle immature caratteristiche con una gemmazione (di tipo C) densa e crescente sulla membrana plasmatica…Il virus è un virus tumorale a RNA di tipo C tipico’.

 


 

 

 

 

 

Commenti alle risposte di Montagnier

 


 

A1. 1 Se ‘la coltura, la purificazione del materiale per ultracentrifugazione, le fotografie con la microscopia elettronica (EM) del materiale che marca in bande alla densità dei retrovirus, la caratterizzazione di quelle particelle, la prova della contagiosità delle particelle’ non è un vero isolamento, allora perché Montagnier ed i suoi colleghi affermarono nel 1983 di aver isolato l’’HIV’ o eseguendo o affermando di aver eseguito tutte queste procedure tranne una (nessuna fotografia EM del materiale marcato a bande)?


Perché nell’articolo del 1984, dove loro affermarono il primo isolamento dell’’HIV’ dagli emofiliaci, così come in altri articoli dello stesso’anno nei quali loro affermano anche l’isolamento dell’’HIV’, hanno eseguito o affermavano di aver eseguito tutti questi passi eccetto uno? (20-21) Perché nel loro studio intitolato ‘Caratterizzazione della DNA polimerasi dipendente dall’RNA di un nuovo retrovirus umano linfotropico T (virus associato alla linfoadenopatia)’ (22) affermarono che il virus era stato ‘purificato su un gradiente di saccarosio adoperando la centrifugazione isopicnica (8)’? Il riferimento 8 è l’articolo presentato da Sinoussi e Chermann nel Convegno Pasteur del 1972, dove sottolinearono l’importanza di dimostrare che il materiale marcato a bande conteneva soltanto particelle che ‘non avevano differenze apparenti nelle apparenze fisiche’. (14)


 

2. Il ritrovamento di alcuni o di tutti i fenomeni che delinea Montagnier non sono prova di isolamento. Questi fenomeni possono essere considerati soltanto prova per il riscontro virale e poi, se e solo se, sono specifici dei retrovirus. La parola ‘isolamento’ deriva dal latino ‘insulatus’ che significa ‘trasformare in un’isola’. Si riferisce all’azione di separare un oggetto da tutta la materia estranea che non è quell’oggetto.


Qui, l’oggetto di interesse è una particella retrovirale. Le parole ‘isolamento’ e ‘trasmissione’ hanno significati differenti e distinti. ‘Isolare’ significa ottenere un oggetto, ad esempio una particella retrovirale, separata da qualsiasi altra cosa. ‘Trasmettere’ significa trasferire un oggetto (che può essere isolato o no) da un luogo a un altro, ad esempio, da una coltura a un’altra. Di conseguenza, anche se si ipotizza che il ‘qualcosa’ che Montagnier ed i suoi colleghi trasmisero da una coltura a un’altra, attraverso cellule di trasferimento o supernatanti delle colture, era un retrovirus, e che fu trasmesso ad un infinito numero di colture successive, non è ancora un’evidenza di isolamento.


Ad esempio, se si ha una serie di bottiglie con dell’acqua nelle quali la prima contiene un colorante aggiunto, poi si prende una parte della prima e la si mette nella seconda, e dalla seconda si passa un campione alla terza, eccetera, chiaramente questa procedura non ha isolato il colorante dall’acqua. Una coltura contiene una miriade di cose, perciò, per definizione, non è prova di isolamento di un oggetto. L’unico modo possibile per affermare che uno ha ‘fatto una coltura del virus’ è di aver avuto prove dell’esistenza del virus, prima di fare una coltura. L’unica cosa che Montagnier ed i suoi colleghi hanno dimostrato è l’emergenza di attività RT nella co-coltura con ‘linfociti da un donatore di sangue’. Il riscontro di un enzima nella coltura, anche se è specifico nei confronti dei retrovirus, non è prova di isolamento.


Ad esempio, la misurazione degli enzimi cardiaci o epatici, rispettivamente, nei casi di infarti miocardici o epatiti, non può essere interpretato come ‘isolamento’ del cuore o del fegato. La rivelazione nella coltura di particelle con caratteristiche morfologiche di retrovirus e di attività di transcriptasi inversa o nella coltura o nella banda di 1,16g/ml, anche se ‘veramente specifica dei retrovirus’, non è prova di isolamento retrovirale. Anche se Montagnier ed i suoi colleghi sapevano in precedenza che alcune delle proteine presenti nella coltura o nella banda di 1,16g/ml erano retrovirali, ed i pazienti avevano anticorpi retrovirali che reagivano con queste proteine, una reazione del genere non è prova di isolamento. Un argomento basato su analogie, o anche su conoscenza di altri retrovirus, non può essere inteso come prova di isolamento. Ad esempio, l’osservazione nell’Oceano di qualcosa che ha l’aspetto di un pesce (anche se è un pesce), non è l’equivalente di avere il pesce nella padella separato da qualsiasi altra cosa che c’è nell’oceano.


 

3. Siamo d’accordo con Gallo sul fatto che Montagnier et al non presentarono alcuna prova di ‘isolamento vero’ di un retrovirus, qualsiasi retrovirus, sia vecchio che nuovo, sia esogeno che endogeno.

 


 

4. La ‘conoscenza di altri retrovirus’ dimostra che non tutte le particelle con attività RT e ‘proprietà visive di retrovirus’ sono dei virus. Questo è un fatto riconosciuto anche da Gallo ben prima dell’era dell’AIDS. (23) Inoltre dimostra che l’RT non è ‘veramente specifica dei retrovirus’. Le cellule non infettate, così come i batteri o i virus, oltre ai retrovirus, hanno RT. Secondo alcuni dei più conosciuti retrovirologi, tra cui gli stessi scopritori della transcriptasi inversa, così come Harold Varmus, premio Nobel e direttore degli Istituti della sanità nazionale americana, le transcriptasi inverse sono presenti in tutte le cellule, compresi i batteri. (13,24-25) Infatti, l’attività RT è stata riscontrata in diverse linee cellulari, dalle quali viene ‘isolato’ l’’HIV’, compreso l’H9 ed il CEM, così come i linfociti normali, anche quando non sono infettati con l’’HIV’. (26-27) Montagnier, Barre-Sinoussi e Chermann stessi hanno dimostrato che l’attività RT non è specifica dei retrovirus.


Nel loro articolo del 1972, Barre-Sinoussi scrisse: ‘C’era attività significativa nella zona di campione e nel picco di sedimentazione più veloce, che consisteva principalmente in rifiuti cellulari. Questa attività enzimatica può essere spiegata dalla presenza di alcune particelle di virus in queste regioni e, poiché un’attività polimerasica simile è stata riscontrata nelle cellule normali, può essere attribuita principalmente all’enzima cellulare’.


In questa intervista, quando Luc Montagnier risponde alla domanda 14 dice: ‘Ad esempio, un giorno ebbe un bel picco di RT, che mi dette F Barre-Sinoussi, con una densità leggermente più elevata, cioè 1,19, e ho controllato! Si trattava di un micoplasma, non di un retrovirus’. Allora, come è possibile che Montagnier dica che l’RT è specifica dei retrovirus? Siamo d’accordo che l’attività RT è caratteristica dei retrovirus. Tuttavia, ‘specificità’ non ha lo stesso significato di ‘caratteristica’. I peli sono caratteristici degli esseri umani, ma non tutti gli animali con peli sono esseri umani.

 


 

5. Isolare significa ottenere un oggetto separato da qualsiasi altra cosa. I retrovirus sono particelle e nessuna ‘analogia’ può dimostrare che è stata isolata una particella retrovirale. ‘La conoscenza di altri retrovirus’ può essere di aiuto nello scegliere il miglior metodo per ottenere l’isolamento. La ‘conoscenza di altri retrovirus’ dimostra che il miglior metodo, ma certamente non perfetto, per isolare e dimostrare l’esistenza dei retrovirus, è quello di eseguire la marcatura delle bande isopicniche (densità identica di particella e porzione del gradiente) e di eseguire tutti i saggi specificati nel convegno Pasteur del 1972. Inoltre, la ‘conoscenza di altri retrovirus’dimostra che non c’è niente di specifico circa la morfologia delle particelle retrovirali, delle reazioni proteina-anticorpo o anche delle marcature delle bande alla densità di 1,16g/ml nei gradienti di densità del saccarosio. Le particelle retrovirali marcano una banda alla densità di 1,16g/ml, ma non tutto a quella densità è un retrovirus, comprese le particelle che hanno la morfologia delle particelle retrovirali. (11-13,28) Per ricordare a noi stessi che le cose stanno così, possiamo prendere in considerazione soltanto il ‘primo’ retrovirus umano, l’’HL23V’.


 

A metà degli anni 70, Gallo ed i suoi colleghi riferirono l’isolamento del primo retrovirus umano. Infatti, le prove dell’isolamento dell’’HL23V’ non furono le prove di Montagnier et al e di tutti gli altri nei confronti dell’’HIV’ in almeno tre aspetti importanti. A differenza dell’‘HIV’, nel caso dell’’HL23V’, il gruppo di Gallo:


  • (a) riferì la scoperta di attività RT in leucociti freschi, non coltivati;

  • (b) non avevano bisogno di stimolare le loro colture cellulari con diversi agenti. (Entrambi, Montagnier e Gallo, ammettono che nessun fenomeno che dimostri  l’esistenza dell’’HIV’ può essere riscontrato, a meno che le colture vengano stimolate con diversi agenti);

  • (c) pubblicarono una microfotografia elettronica di particelle che assomigliano ai virus che marcano bande a una densità di saccarosio di 1,16g/ml. (23-29)

Tuttavia, oggigiorno nessuno, neanche Gallo, ritiene l’’HL23V’ come il primo retrovirus umano, e nemmeno lo ritiene un retrovirus. (Per una discussione più dettagliata, vedi Papadopulos-Eleopulos et al (30-32). Dobbiamo dimenticare la seguente conoscenza addizionale riguardo i retrovirus: (a) la lezione dell’enzima adenosin trifosfatasi. Alla pari dell’RT, questo enzima era ritenuto specifico dei retrovirus e, almeno nel 1950, fu impiegato non solo per la loro rivelazione e caratterizzazione, ma anche per la loro quantificazione. (8-11) Tuttavia, al presente, viene accettato che questo è uno degli enzimi più ampiamente diffusi. (b) una percentuale di sieri più elevata proveniente dai pazienti con l’AIDS e da quelli a rischio, reagisce con proteine di retrovirus endogeni rispetto ai sieri dei soggetti sani: il 70% contro il 3%. (33)

 


 

A2. 1 E’ vero che Montagnier ed i suoi colleghi trovarono un picco di attività RT alla densità di 1,16g/ml. Tuttavia, la scoperta di questo picco non è prova che la banda fosse composta da particelle di retrovirus, sia puri che impuri. Di conseguenza, questa evidenza non può essere considerata come prova che ‘è stato soddisfatto il criterio di purificazione’.

 


 

scienze


2. Sulla stessa edizione di Science, dove Montagnier ed i suoi colleghi pubblicarono i loro studi, Gallo segnalò che ‘l’involucro virale che viene richiesto per la contagiosità è molto fragile, tende a staccarsi, quando il virus gemma dalle cellule infette, perciò rende le particelle incapaci di infettare nuove cellule’. Per questo motivo Gallo affermò che ‘può essere richiesto il contatto diretto tra le cellule per l’infezione retrovirale’. (34) Ora tutti gli esperti dell’’HIV’ sono d’accordo che, per la contagiosità dell’’HIV’, è assolutamente necessaria la gp120.


Nel 1993 Montagnier stesso disse che, affinché le particelle dell’’HIV’ fossero infettive devono prima legarsi al recettore cellulare CD4 e che ‘La gp120 è responsabile di legare il recettore CD4’. (35-36) Tuttavia, al giorno d’oggi,  nessuno ha pubblicato fotografie EM di particelle prive di cellule che hanno la dimensione delle particelle retrovirali e che hanno anche protuberanze, punte, cioè gp120, nemmeno Hans Gelderblom ed i suoi colleghi dell’Istituto Koch a Berlino che hanno eseguito gli studi di microscopia elettronica più dettagliati delle particelle presenti nelle colture/co-colture che contengono tessuti derivati dai pazienti con l’AIDS. Su una delle loro pubblicazioni più recenti, dove viene discusso questo argomento, loro giudicano che subito dopo essere state prodotte, le ‘particelle dell’HIV’ hanno una media di 0,5 protuberanze per particella, ma anche segnalò che ‘era possibile che delle strutture che assomigliano a protuberanze siano osservate anche quando non sia presente la gp120, cioè, falsi positivi’. (37)

 


 

Ciò significa che né Montagnier né i suoi colleghi né nessun’altra persona successivamente è stato in grado di infettare colture con cellule provenienti da donatori sani, da linfociti del cordone ombelicale o da qualsiasi altra coltura con l’’HIV purificato’ o, nemmeno dai fluidi privi di cellule (il supernatante delle colture) anche se il virus ‘purificato’ non è nient’altro che particelle. In altre parole, è impossibile che Montagnier ed i suoi colleghi abbiano avuto una qualsiasi contagiosità, nemmeno ‘una piccola’ con il supernatante della coltura o con il ‘virus marcato purificato’. Per la stessa ragione il ‘secondo ceppo’ non poteva essere stato contaminato dal ‘primo’. Per di più, poiché Montagnier et al dettero a Gallo supernatanti privi di cellule, sarebbe stato impossibile che le colture di Gallo fossero contaminate dal BRU, dal LAI o da una miscela.

 


 

 

3. Il virus di Montagnier non proveniva ‘da un paziente asintomatico’, ma da un paziente con ‘linfoadenopatia e astenia’. Né nel loro studio e nemmeno oggi, dopo pressoché quindici anni dell’’HIV’, esiste prova dell’esistenza di un retrovirus umano che ha la capacità di ‘uccidere cellule’. Lo studio che ora viene citato più spesso come prova che l’’HIV’ uccide le cellule T4, ritenuto la ‘pietra miliare’ dell’AIDS, è stato pubblicato nel 1984 da Montagnier ed i suoi colleghi. Loro coltivarono cellule CD4+ (T4) provenienti da un paziente emofiliaco che era un ‘portatore asintomatico di un virus’, ‘in presenza della fitoemagglutinina (PHA) seguito dalla IL-2’. Loro riscontrarono attività RT nella coltura e ‘particelle di virus caratterizzate da un piccolo core eccentrico’. Il numero di cellule T4 (CD4+), nella coltura, fu misurato attraverso il conteggio del numero di cellule capaci di legare un anticorpo monoclonale che si afferma di essere specifico per la proteina CD4. Col passare del tempo, il numero di cellule che erano in grado di farlo diminuì. Quando discussero le loro risultanze, scrissero: ‘Questo fenomeno affascinante può essere dovuto ad una modulazione indotta da un virus nei confronti della membrana cellulare, o per un impedimento sterico del punto agglomerante dell’anticorpo’, cioè, la diminuzione non è causata dall’uccisione delle cellule. (38-39)

 


 

Date le loro risultanze, non è sorprendente la conclusione che la diminuzione nelle cellule T4 non è dovuta all’uccisione delle cellule. Tuttavia, è sorprendente la loro conclusione che l’effetto può essere indotto dal ‘virus’. Montagnier ed i suoi colleghi erano consapevoli della prova sperimentale che dimostrava che, sotto certe condizioni (compresa l’esposizione al PHA, all’IL-2 e ad altri agenti ossidanti),  la diminuzione delle cellule T4 avviene in assenza dell’HIV. In questo tipo di coltura, le cellule T perdono i loro marker CD4 e acquistano altri marker, compreso il CD8, mentre il numero totale di cellule T rimane costante. (40-43) Inoltre, avevano prove che nelle ‘cellule infette, questo fenomeno non può essere riscontrato, a meno che la coltura venga stimolata con sostanze come il PHA o gli antigeni’. (Le proteine come le proteine ‘non-HIV’ presenti nelle colture ‘infette’). (39)


Dati i fatti sopra citati, sorprende ancora di più che Montagnier ed i suoi colleghi non abbiano avuto controlli, cioè, colture di cellule T4 provenienti da pazienti che non erano a rischio di AIDS, ma che tuttavia erano malati, e alle quali aggiunsero PHA e IL-2. Siffatti esperimenti furono riferiti nel 1986 da Gallo ed i suoi colleghi. Presentarono risultanze su tre colture cellulari che contenevano il 34% di cellule CD4 che, per cominciare: Una coltura era ‘infettata’ e stimolata con PHA, l’altra non era infettata ma era stimolata con PHA e la terza non era né infettata né stimolata. Dopo due giorni di coltura, la proporzione di cellule CD4+ nella coltura stimolata-non infettata e stimolata-infettata era del 30% e del 28% rispettivamente, mentre dopo 6 giorni il numero era del 10% e del 3%. Il numero di cellule CD4+ non cambiò significativamente nella coltura non-infettata e non stimolata. (44)


 

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Entro il 1991 Montagnier ed i suoi colleghi avevano eseguito esperimenti con cellule non infettate e non stimolate quando studiarono l’’apoptosi indotta dall’’HIV’’, la quale era ritenuta (e che è ancora ritenuta da molte persone), di essere il meccanismo di principio per il quale l’’HIV’ uccide le cellule. Dimostrarono che, in colture cellulari CEM intensamente ‘infettate dall’’HIV’, in presenza dell’agente di rimozione del micoplasma, la morte cellulare (apoptosi) è massima dai 6 ai 7 giorni posteriori all’infezione, ‘mentre la massimale produzione di virus avveniva dai 10 ai 17 giorni’, cioè, il massimo effetto precedeva la causa massima. Nelle cellule CEM cronicamente ‘infette’ e nella linea di cellule monocitiche U937, non è stata riscontrata alcuna apoptosi, anche se ‘queste cellule producevano continuamente un virus infettivo’.


Nei linfociti CD4 isolati da un donatore normale, stimolato col PHA e ‘infettato dall’HIV’ in presenza dell’IL-2, l’apoptosi diventa riscontrabile 3 giorni dopo l’infezione e chiaramente evidente al quarto giorno. ‘E’ intrigante, nel quinto giorno’ l’apoptosi diventò riscontrabile nelle cellule ‘non infette’ stimolate col PHA. Loro conclusero: ‘Questi risultati dimostrano che l’infezione da HIV delle cellule mononucleari del sangue periferico porta all’apoptosi, un meccanismo che potrebbe avvenire anche in assenza di infezione a causa del trattamento mitogeno di queste cellule’. (45) Per concludere, tutte le risultanze disponibili attualmente dimostrano che l’’infezione da HIV’, in assenza di agenti stimolanti, né diminuisce il numero di cellule T4 né induce l’apoptosi, mentre gli agenti stimolanti (simili a quelli a cui sono esposti i pazienti a rischio di sviluppare l’AIDS) lo fanno in assenza di ‘HIV’. Cioè, né l’’HIV’ che Montagnier ed i suoi colleghi ‘rinvenirono’ all’inizio, né nessun altro ‘HIV’ da quel momento ha dimostrato di ‘uccidere cellule’.

 


 

A3. I retrovirus non sono nozioni esoteriche, nucleari o cosmologiche la cui esistenza postulata può essere dedotta da osservazioni indirette. Sono particelle che possono essere viste, benché non ad occhi nudi. Poiché Montagnier ed i suoi colleghi ammettono che non vedono particelle nella banda 1,16g/ml che abbiano la morfologia dei retrovirus, il fatto di affermare la presenza di un retrovirus, meno ancora di un ‘virus purificato’, è completamente campato in aria e non è credibile. La banda 1,16g/ml può essere paragonata ad una rete da pesca. La differenza è che la banda cattura oggetti a seconda della loro densità, non a seconda della loro dimensione. Immaginate un pescatore che vede nell’oceano molti oggetti diversi, alcuni dei quali possono essere pesci. Lui butta la rete, aspetta e, quando recupera la rete, esegue un esame completo del contenuto e dimostra che contiene diverse creature marine, ma nessuna cosa che assomiglia a un pesce. Tuttavia, anche se può sembrare strano, afferma di aver catturato un pesce. Infatti, afferma che la rete non ha nient’altro che puro pesce.

 


 

A4. Nonostante il fatto che la gemmazione proveniente dalla membrana cellulare è il modo in cui appaiono le particelle retrovirali, questo processo non è specifico dei virus. In altre parole, solo perché una particella riesce a gemmare e ha le caratteristiche morfologiche delle particelle retrovirali, non dimostra che sia un retrovirus. Che questo sia il caso, viene illustrato da due fatti e dalla citazione di due dei retrovirologi più conosciuti: ‘Delle particelle in gemmazione che assomigliano ai virus’ sono state riscontrate in ‘Linee di cellule T CEM, H9 e C8166’ non infette; ‘In 2 linee di linee cellulari B trasformate in EBV; e in colture di cellule linfoidi umane primarie provenienti dal sangue del cordone, che erano stimolate dal PHA o no e cresciute con o senza il siero e in linfociti del cordone direttamente dopo la separazione Ficol’ (46) (il corsivo è nostro). Dopo uno studio esteso e in vivo, eseguito da O’Hara e colleghi provenienti da Harvard, le ‘particelle HIV’ sono state riscontrate in 18/20 (90%) dei pazienti con nodi linfatici ingranditi attribuiti all’AIDS. Queste risultanze portarono gli autori a concludere, ‘La presenza di siffatte particelle non indica per se stessa l’infezione da HIV’. (47)

 


 

Nel 1986, quando Gallo ed i suoi colleghi discussero il ‘Primo isolamento dell’HTLV-III’, scrissero: ‘Nel momento in cui ottenemmo il LAV, c’era la controversia di diversi esperti sulla morfologia dei virus, sul fatto che le particelle mostrate dalla microfotografia elettronica pubblicata su Science da Barre-Sinoussi et al fossero un virus arena…Poiché ritenevamo che la sola rilevazione di particelle di virus nelle colture di pazienti con l’AIDS e l’ARC fosse insufficiente per confermare scientificamente la nostra ipotesi che siffatte particelle erano coinvolte nella eziologia della malattia, perciò, prima abbiamo deciso di ottenere reagenti specifici contro il nuovo virus per pubblicare risultati precisi riguardo all’eziologia dell’AIDS’. (48) Secondo Peter Duesberg, le particelle e proteine ‘HIV’ potrebbero rispecchiare complessivamente un materiale non virale’. (49)

 


 

A5. Montagnier ed i suoi colleghi scrissero nel loro studio: ‘La microscopia elettronica dei linfociti infettati del cordone ombelicale mostrò particelle immature caratteristiche con gemmazione densa crescente (di tipo C) nella membrana plasmatica…Questo virus è un virus tumorale a RNA di tipo C caratteristico’. Nel 1984, Montagnier, Barre-Sinoussi e Chermann riferirono che il loro virus era ‘morfologicamente simile a particelle D come quelle riscontrate nel virus Mason-Pfizer o nel virus recentemente isolato dalle scimmie con l’AIDS ’. (38) (Entro il 1984, i ricercatori dei centri di ricerca sui primati, negli Stati Uniti, affermarono l’esistenza dell’AIDS nelle scimmie e che la causa dell’AIDS era un retrovirus di tipo D, simile al virus di Mason-Pfizer, un retrovirus di tipo D caratteristico e suggerirono che l’AIDS della scimmia e questi retrovirus potrebbero essere utili nello studio dell’AIDS umano e nell’’HIV’).

 


 

Nello stesso anno, in un’altra pubblicazione ancora, Montagnier et al affermarono che le particelle di ‘HIV’ avevano una ‘morfologia simile a quella del virus dell’anemia infettiva equina (EIAV), e alle particelle di tipo D’. L’EIAV ed il virus visna non sono né retrovirus di tipo C né di tipo D, ma sono lentivirus, cioè, virus che hanno una morfologia totalmente differente e che si ritiene inducano malattie molto tempo dopo l’infezione. (Nel momento in cui questo articolo fu pubblicato si riscontrò che i pazienti che avevano un test di anticorpi positivo all’’HIV’ non sviluppavano immediatamente l’AIDS, cioè, c’era un ritardo tra il test positivo e la comparsa dell’AIDS). E’ molto sorprendente che la morfologia dello stesso virus sia capace di cambiare genere da un tipo C, caratteristico, ad una particella di tipo D, caratteristica, e poi ad una sottofamiglia completamente differente, cioè, un lentivirus caratteristico, apparentemente a volontà. (La famiglia Retroviridae viene suddivisa in tre sottofamiglie, Oncovirinae, Lentivirinae e Spumavirinae. Gli Oncovirinae sono divisi a loro volta nei generi di particelle di tipo B, C e D. Queste risultanze sono analoghe alla descrizione di una specie di mammifero simile all’uomo, un gorilla o un orangutan).

 


 

A6 1. Oltre ai retrovirus, altre particelle possono avere ‘l’assemblaggio di proprietà’ (la densità, l’RT, la gemmazione e l’analogia col virus visna). Di conseguenza, la scoperta di particelle che hanno questo ‘assemblaggio di proprietà’ non è prova che le particelle riscontrate siano dei retrovirus. Difatti, Montagnier ed i suoi colleghi non riferirono la scoperta di particelle di ‘HIV’ che avevano queste ‘proprietà di assemblaggio’. Poiché Montagnier ed i suoi colleghi non sono stati in grado di trovare particelle con le caratteristiche morfologiche dei retrovirus alla ‘densità’ di 1,16 gm/ml, nemmeno dopo uno ‘sforzo romano’, ne segue che l’evidenza dell’esistenza dell’’HIV’ dal gradiente di densità non solo non era specifica, ma nemmeno esisteva. (Questo fatto, da solo, è sufficiente per trascurare qualsiasi affermazione come prova dell’esistenza di un retrovirus, indipendentemente dalle altre cose che riscontrarono in qualsiasi posto, comprese le particelle di gemmazione provenienti dalla superficie della cellula, le particelle che somigliano ai retrovirus nella coltura, l’RT alla ‘densità’ o le proteine alla stessa densità che reagiscono coi sieri dei pazienti).


2. E’ vero che Montagnier et al riferirono attività di RT alla densità di 1,16g/ml, ma poiché:


(a) Barre-Sinoussi e Chermann accettano che le cellule ed i frammenti cellulari hanno anch’esse attività di RT;


(b) nella banda 1,16g/ml non è stata vista alcuna particella con le caratteristiche morfologiche dei retrovirus;


(c) a quella densità Montagnier et al riscontrarono frammenti cellulari, ne segue che l’evidenza dell’esistenza dell’’HIV’ attraverso la rivelazione di attività RT a quella densità non era soltanto non specifica, ma anche inesistente. Dati i fatti che:


(a) ci sono differenze significative nel carattere dei processi di gemmazione tra le particelle di tipo C, di tipo D ed i lentivirus50 e il fatto che nel 1983 Montagnier et al si riferirono al loro retrovirus come di tipo C e nel 1984 come di tipo C o di tipo D, e anche più tardi, quello stesso anno, come EIAV;


(b) il virus visna e l’EIAV sono lentivirus, ne deriva che almeno fino a metà del 1984, le prove di Montagnier et al dell’esistenza dell’’HIV’ (se l’’HIV’ è un lentivirus) proveniente da ‘fotografie di gemmazione’ e l’analogia con l’EIAV e col virus visna non era solo non specifica ma addirittura inesistente.

 


 

A7. Siamo d’accordo che esistono dei retrovirus endogeni (ma è interessante il fatto che fino al 1994 ‘non esistono retrovirus endogeni umani’ (51). Questi retrovirus endogeni non possono essere distinti dai retrovirus esogeni né morfologicamente né chimicamente. Inoltre, esistono prove che dimostrano che il 70% dei pazienti con l’AIDS e quelli a rischio, in confronto col 3% dei soggetti non a rischio, hanno anticorpi contro i retrovirus endogeni. (33) Dati questi fatti e le condizioni di coltura che Montagnier ed i suoi colleghi e tutti gli altri ricercatori dell’’HIV’ impiegano per rivelare l’’HIV’ insieme con le risultanze disponibili attualmente sull’’HIV’ e l’AIDS, è più probabile che l’’HIV’ (se si dimostrasse la sua esistenza) sia un retrovirus endogeno, piuttosto che un retrovirus esogeno.

 


 

Parte delle risultanze correlate con le condizioni di coltura possono essere sintetizzate come segue: In coltura, prima o poi le cellule cominciano a produrre retrovirus endogeni. La comparsa di retrovirus endogeni può essere accelerata e la resa può essere aumentata fino ad un milione di volte attraverso la stimolazione delle colture con mitogeni, con co-coltivazioni o mediante l’aggiunta alla coltura di supernatante proveniente da colture cellulari normali e non stimolate. Infatti, nel lontano 1976, i retrovirologi riconobbero che ‘il mancato isolamento di virus endogeni da certe specie può rispecchiare la limitazione delle tecniche di co-coltivazione in vitro’. (52) Per rivelare l’’assemblaggio’ delle ‘quattro caratteristiche’ dell’’HIV’, Montagnier et al (così come tutti gli altri) impiegarono almeno due delle tecniche sopra citate. Infatti, sia Montagnier, sia Gallo ammettono che nemmeno una delle quattro ‘caratteristiche’ possono essere rivelate, a meno che le colture non vengano stimolate. Analogamente, parte delle risultanze vincolate all’’HIV’ e all’AIDS possono essere sintetizzate nel modo seguente:

 


 

(a) E’ vero che i retrovirus endogeni possano non avere un ruolo patologico nell’AIDS, ma è anche vero che, ad oggi, nemmeno esiste una siffatta prova per l’’HIV’. (53) Secondo Montagnier e Gallo la ‘pietra miliare’ della immunodeficienza nell’AIDS è la diminuzione delle cellule T4, che si ritiene sia la conseguenza dell’uccisione delle cellule T4 dall’’HIV’. Tuttavia, Montagnier ed i suoi colleghi ammettono, nel lontano 1984, che almeno in vitro la diminuzione osservata delle cellule T4, dopo l’infezione da ‘HIV’, non è dovuta all’uccisione delle cellule, ma al diminuito legame dell’anticorpo T4 (CD4) alle cellule. Due anni dopo gli esperimenti del gruppo di Gallo dimostrarono, senza dubbi, che la diminuzione delle cellule T4 (del legame degli anticorpi CD4) non era dovuta all’infezione da ‘HIV’, ma alla PHA che era presente nel preparato di ‘HIV’. Come è stato menzionato, all’inizio dell’era dell’AIDS, c’era un’ampia prova che il trattamento delle colture cellulari con PHA e altri agenti ossidanti porta ad un legame diminuito dell’anticorpo CD4 e ad un aumentato legame dell’anticorpo CD8, cioè, una diminuzione delle cellule T4 era accompagnata da un aumento delle cellule T8, mentre il numero totale di cellule rimaneva costante. I pazienti con l’AIDS ed i soggetti che appartengono ai gruppi a rischio di AIDS vengono esposti continuamente ad agenti ossidanti potenti. Nel presente, viene accettato che, sia nei pazienti con l’AIDS, che in quelli a rischio, la diminuzione delle cellule T4 viene accompagnata da un aumento delle cellule T8, mentre il numero di cellule T4 +T8 resta costante. (53) E poi, è interessante notare che, nel lontano 1985, Montagnier scrisse: ‘Questa sindrome [l’AIDS] avviene in una minoranza di persone infettate, che in genere hanno in comune un passato di stimolazione antigenica e di immunosoppressione, prima dell’infezione da LAV’ (54), cioè, Montagnier riconobbe che nel gruppo a rischio di AIDS, l’immunodeficienza precede l’infezione da ’HIV’. Nel 1984 Montagnier ed i suoi colleghi compresi Barre-Sinoussi e Chermann affermarono che ‘Le prove certe necessiteranno di una sperimentazione sugli animali nella quale siffatti virus [LAV, HTLV-III=HIV] potrebbero indurre una malattia simile all’AIDS’. Finora, non esiste una sperimentazione del genere. Tuttavia, quando fu inseguito dal premio Nobel Kary Mullis, affinché presentasse almeno uno studio scientifico che provasse la teoria dell’HIV come causa dell’AIDS, Montagnier gli consigliò: ‘Perché non menzioni il lavoro sul SIV’ (Virus di immunodeficienza delle scimmie); (55)


 

(b) A differenza dei retrovirus endogeni che vengono trasmessi in maniera verticale, si ritiene che l’’HIV’venga trasmesso orizzontalmente, specialmente attraverso i rapporti sessuali. Infatti, al presente, viene generalmente accettato che la grande maggioranza dei soggetti siano stati infettati attraverso il contatto eterosessuale. Secondo Montagnier e Gallo, il primo studio che ha dimostrato fuor di dubbio che l’’HIV’ è un virus trasmesso in maniera eterosessuale e bidirezionale fu pubblicato nel 1985 da Redfield et al. Tuttavia, su un libro pubblicato nel 1990 col titolo AIDS e Sesso, i suoi editori, Bruce Voeller, June Machover Reinisch e Michael Gottlieb, quando discutevano lo studio settoriale incrociato, così come altri studi simili, scrissero: ‘dei ricercatori governativi pubblicarono risultanze che indicano che il personale delle forze armate americane infettato con l’HIV-1 aveva contratto il virus dalle prostitute, dando avvio a richieste di un aumento di campagne contro la prostituzione. Quando i soldati infettati sono stati intervistati dai ricercatori non militari di cui si fidavano, si rese evidente che quasi tutti erano stati infettati attraverso l’uso di droghe intravenose o il contatto omosessuale, atti per i quali potevano essere espulsi dalle forze armate, il che evitò che fossero sinceri con i ricercatori militari. In ciascuno di questi studi invalidati pubblicati, i ricercatori, gli editori di giornali e le persone che lavorano nello stesso campo non corressero errori che avrebbero dovuto essere stati riconosciuti’.

 


 

Nel 1991, Nancy Padian dell’Agenzia di epidemiologia e biostatistica dell’Università di California, ed i suoi colleghi, che ad oggi hanno eseguito i più completi studi sulla trasmissione eterosessuale, quando discussero lo studio di Redfield et al, così come altri studi che affermavano di provare siffatte trasmissioni, scrissero: ‘Questi studi forse non sono stati adeguatamente controllati nei confronti di altre vie di trasmissione non sessuali e infondate come i rischi associati all’uso di droghe intravenose.


Di primo acchito, i casi che sembrano attribuirsi ad una trasmissione eterosessuale possono, dopo un colloquio a fondo, essere vincolati in realtà ad altre fonti di rischio…poiché gli studi associati non sono, per definizione, campioni casuali, e la maggioranza dei risultati riferiti si basa su analisi retrospettive o a sezione incrociata, alcuni studi potrebbero selezionare coppie nelle quali entrambi i partner della coppia sono infettati, perché coppie del genere possono essere identificate più facilmente, perciò condizionano i tassi di trasmissione. Inoltre, è spesso difficile stabilire la fonte d’infezione in coppie del genere. Quando sono disponibili poche risultanze potenziali, arruolando coppie monogame, nelle quali lo stato sierologico del partner è sconosciuto, come fu il caso della maggioranza delle coppie in questo studio, è uno degli unici modi per controllare questo condizionamento’. (56) In realtà, non esiste prova dagli studi eventuali, essendo pochi, che l’’HIV’ sia trasmesso sessualmente. (57-58)


 

Durante il suo studio durato dieci anni, in maniera incontestabile, il più lungo e migliore studio del suo tipo, Padian (59) ed i suoi colleghi non risparmiarono alcuno sforzo nel tentativo di provare che l’’HIV’ è trasmesso a livello eterosessuale. C’erano due parti nel loro studio, una a sezione incrociata, l’altra probabile. Nella prima, delle 360 partner femmine dei casi di indice di maschi infettati, ‘La contagiosità costante, dovuta al contatto per la trasmissione dalla femmina al maschio, fu valutata del 0,0009’. I fattori di rischio per la sieroconversione erano:


(i) rapporti anali. (Montagnier stesso mostrò che un test di anticorpi positivi ritorna negativo e che un conteggio di cellule T4 basso torna normale attraverso la cessazione dei rapporti anali, ciò significa che il risultato positivo non è dovuto a un retrovirus); (60)


(ii) il fatto di avere dei partner che si trasmisero questa infezione attraverso l’uso di droghe (Padian stessa dice che questo significa che le donne possono essere anch’esse utenti di droghe intravenose); (iii) la presenza nella femmina di STD (anticorpi contro i loro agenti causanti) possono avere una reazione incrociata con le proteine dell’’HIV’; (31) Da 82 partner maschi negativi che erano partner di femmine positive solo due hanno sofferto la sieroconversione. Hanno valutato che la possibilità di trasmissione dalla femmina al maschio era 8 volte inferiore a quella da maschio a femmina. Padian stessa questionò la validità di questi due casi. Per il primo, dette diverse ragioni nel 1991, quando il suo caso fu riferito per la prima volta. Nel secondo caso menzionarono il fatto che ‘è sorprendente che la clamidia fu trasmessa simultaneamente o vicino alla trasmissione dell’HIV’, cioè, il test di anticorpi positivo all’’HIV’ comparve al momento in cui il maschio si infettò con la clamidia.

 


 

Nello studio potenziale, che iniziò nel 1990, ‘Abbiamo seguito nel tempo 175 coppie che divergono dall’HIV, per un totale di osservazioni di approssimativamente 282 coppie all’anno…La durata di osservazione più lunga fu di 12 visite (6 anni). Non abbiamo osservato sieroconversioni dopo l’ingresso nello studio…Nell’ultima osservazione, le coppie erano molto più propense all’astinenza o a usare i profilattici costantemente. …


Tuttavia, solo il 75% riferì un impiego del profilattico regolare nei 6 mesi precedenti alla loro visita finale di osservazione’. Nota: Non era stata riferita la sieroconversione solo nello studio a sezione incrociata, ma tutti i casi erano stati diagnosticati prima del 1990. Tuttavia: (i) Tutti gli esperti dell’’HIV’ sono d’accordo sul fatto che la specificità dei test adoperati allora era inferiore a quella impiegata al presente; (ii) I criteri del WB adoperati allora per definire l’’infezione’, al presente non sono sufficienti. Anche se si accettano le risultanze di Padian et al provenienti dallo studio a sezione incrociata, hanno valutato che il rischio che un maschio non infettato si contagi con l’infezione da ‘HIV’ dalla sua partner femmina infettata è di 0,00011 (1/9000). Ciò significa che, in media, i maschi che hanno rapporti sessuali tutti i giorni con una partner femmina infettata, durante sedici anni (cioè, 6000 contatti, 365 all’anno), riporterebbe un 50% di probabilità di infettarsi. Se il rapporto sessuale avviene in una media settimanale, allora ci metterebbe centoquindici anni a raggiungere la stessa probabilità. Sotto quelle circostanze ci si dovrebbe domandare come l’’HIV’ sia riuscito a diventare un’epidemia come conseguenza della trasmissione eterosessuale bidirezionale.

 


 

A8. 1. Nello studio di Montagnier et al del 1983, la rivelazione di nient’altro che attività RT nelle colture stimolate di linfociti originatesi da un omosessuale fu considerata prova che il soggetto era infettato da un retrovirus. Il riscontro della stessa attività nel supernatante di una co-coltura delle stesse cellule con linfociti provenienti da un donatore di sangue sano fu considerato come prova della trasmissione del retrovirus dai linfociti dell’omosessuale ai linfociti del donatore e anche come prova dell’isolamento del virus. Tuttavia, la trasmissione di una attività (RT) non è lo stesso della trasmissione di un oggetto (retrovirus).


 

Inoltre, poiché i linfociti non infettati dall’‘HIV’, così come molti batteri e virus, che sono diversi dai retrovirus, hanno attività RT (l’attività RT è stata riferita in diverse linee cellulari non infettate dall’’HIV’ adoperate per isolare l’HIV come la H9 e la CEM e, nel lontano 1972, nei linfociti normali e stimolati con la PHA), la rivelazione di attività RT in successive colture di linfociti, ciascuna delle quali contiene materiale originato dalla coltura precedente, non è nemmeno prova di trasmissione dell’attività RT.


Per illustrare ciò che Montagnier ed i suoi colleghi hanno fatto, ritorniamo all’analogia del pescatore e la sua rete: Ipotizziamo che il pescatore lancia la sua rete e cattura alcune creature marine. Ne lascia alcune sulla rete come esca e poi la butta un’altra volta. Questa volta, in aggiunta alle creature marine, cattura anche alcuni pesci. Toglie i pesci, lascia alcune creature marine nella rete, la butta un’altra volta e questa volta cattura ancora più pesci. Il pescatore ripete la procedura diverse volte e ogni volta cattura più pesci. Alla pari di Montagnier et al che toglie le cellule e ri-adopera i supernatanti, il pescatore toglie i pesci e ri-adopera le creature marine (‘l’esca’). Evidentemente, i pesci catturati nella rete non sono discendenti dell’’esca’. Il proposito dell’’esca’ è creare le condizioni giuste,affinché i pesci compaiano sulla rete. (In realtà, i veri pescatori passano una vita intera per determinare le condizioni giuste). Tutto quello che il pescatore ‘trasmette’ è il mezzo per catturare i pesci, non i pesci stessi. Analogamente, Montagnier et al sembrano ‘trasmettere’ le condizioni per generare attività RT, perciò creano l’illusione di ‘trasmettere’ attività RT.

 


 

2. Il fatto di avere un picco di attività RT non è prova di avere la ‘replicazione’ di un retrovirus. Inseguire tracce di RT non è lo stesso che inseguire le ‘tracce del virus’.

 


 

3. Ipotizziamo che sia stato isolato un retrovirus e sia stata provata la sua esistenza in colture con tessuti che si originano dagli esseri umani. ‘La prima questione sollevata’ da Nature è: ‘Si tratta di un virus endogeno?’ Solo quando si ha l’evidenza che non si tratta né di un retrovirus umano esogeno, né endogeno, si solleva la questione della ‘contaminazione da laboratorio’ con retrovirus animali.

 


 

4. Ciò che il paziente aveva erano anticorpi che reagivano con una proteina che, in gradienti di densità di saccarosio, marcava una banda a 1,16g/ml. Poiché a quella densità Montagnier ed i suoi colleghi non riuscirono a trovare particelle con le caratteristiche morfologiche di un retrovirus, era inesistente l’evidenza che questa proteina fosse retrovirale. Infatti, loro non avevano alcuna evidenza che la proteina fosse compresa anche nelle particelle non retrovirali, in qualsiasi particella presente a quella densità.

 


 

5. Se Montagnier ed i suoi colleghi sapevano, in qualche maniera, in precedenza, che la proteina che marcava una banda a 1,16g/ml e che reagiva col siero dell’omosessuale fosse la proteina di un retrovirus che era presente nei suoi linfociti (e non nei linfociti del donatore sano o del cordone ombelicale), e, allo stesso tempo, che gli anticorpi fossero indirizzati contro ‘il suo virus’, perché è stato necessario eseguire tutti questi esperimenti per provare la sua esistenza?

 


 

A9. Anche se loro avevano attività RT, alla densità di 1,16g/ml non avevano evidenza dell’esistenza di particelle retrovirali, perciò l’attività non poteva essere considerata prova dell’esistenza di siffatte particelle.

 


 

A10. Nel 1983, Montagnier, Barre-Sinousse e Chermann ed i loro colleghi provarono l’esistenza dell’enzima transcriptasi inversa ‘adoperando le condizioni ioniche descritte per l’HTLV-I’, cioè, ‘5mM Mg2+’ e ‘poli(A).oligo-(dT)12-18 come primer templato’. Queste condizioni ed il suo primer templato possono essere caratteristiche dei retrovirus, ma non sono specifici per l’RT retrovirale né, in realtà, per qualsiasi RT. Anche prima dell’era dell’AIDS, si sapeva che questo primer templato, sotto le condizioni adoperate da Barre-Sinoussi, Montagnier ed i suoi colleghi, può essere trascritto non solo dall’RT, ma anche dalle polimerasi cellulari a DNA. Basti menzionare lo studio intitolato: ‘Caratteristiche della polimerasi a DNA dipendente dall’RNA [RT] di un nuovo retrovirus umano linfotropico T (virus associato alla linfoadenopatia)’ (‘HIV’) nel quale Montagnier, Barre-Sinoussi, Chermann e i suoi colleghi ‘caratterizzarono’ l’RT dell’’HIV’. Lì adoperarono le stesse condizioni ioniche del 1983 e tre primer templati ‘DNA attivato’, poli (A).oligo-(dT)12-18 e poli Cm .oligo-dG 12-18. Riferirono che, mentre la poli Cm .oligo-dG 12-18, un ‘primer templato specifico della transcriptasi inversa’ fu trascritto soltanto dalle cellule ‘infettate dall’HIV’, ‘DNA attivato’ e poli (A).oligo-(dT)12-18 furono trascritti sia dalle cellule infettate che da quelle non infettate.22 In altre parole, la rivelazione di attività RT attraverso l’impiego del primer templato An.dT12-18 non è ancora prova dell’esistenza di RT e, ancora meno, dell’esistenza di una RT retrovirale.

 


 

A11. Niente dichiarazioni.

 


 

A12. Niente dichiarazioni.

 


 

A13. Siamo d’accordo con Montagnier che, quando vengono adoperate colture di linfociti infettate da retrovirus esogeni come l’MT2, l’MT4 e l’H9 (HUT-78), tutti quanti originati da pazienti con ‘leucemia di cellule T4 di adulti’, ritenuta di essere causata dall’HTLV-I, è ‘un vero minestrone’. Tuttavia, data l’esistenza di retrovirus endogeni, quando si adoperano linfociti provenienti da soggetti normali e linfociti del cordone ombelicale, il risultato è ancora ‘un vero minestrone’. Forse, una minestra diversa, ma comunque si tratta ancora di  ‘un vero minestrone’.

 


 

A14. Siamo d’accordo che i pazienti con l’AIDS e quelli a rischio sono infettati da un ‘mucchio di cose’. Inoltre, le colture con tessuti provenienti da questi pazienti, in aggiunta a questi agenti, possono anche essere infettate in vitro con altri agenti, come i micoplasma.

 


 

A15. Può darsi che, alle volte, sia più facile riscontrare una particella con le caratteristiche morfologiche dei retrovirus nella coltura piuttosto che nel plasma. Tuttavia, poiché il ‘concentrato’ virale viene ottenuto dal supernatante della coltura e poiché, per definizione, un ‘concentrato’ avrebbe più particelle per unità di volume rispetto al supernatante della coltura, ne deriva che dovrebbe essere molto più facile vedere una particella nel concentrato, piuttosto che nella coltura. Poiché Montagnier ed i suoi colleghi ‘non videro niente di importante’ nel ‘concentrato’, cioè, nella banda di 1,16g/ml, allora perché nel loro articolo del 1983 affermarono che il ‘concentrato’ non solo conteneva particelle virali, ma un virus ‘purificato’? Nella fotografia col microscopio elettronico che pubblicarono Montagnier ed i suoi colleghi, compreso Charles Dauget, ci sono gemmazioni sulla superficie della cellula, alcune delle quali sono più pronunciate delle altre. Ma qual è l’evidenza che si tratti di virus o che siano in fase di diventarne?

 


 

A16. Siamo d’accordo sul fatto che potrebbe essere qualsiasi cosa.

 


 

A17. Siamo d’accordo che l’esperienza può, alle volte, consentirci di distinguere tra particelle che sembrano retrovirali e altre particelle che sembrano virali adoperando le caratteristiche morfologiche. Tuttavia, ci sono particelle che NON sono virus (compresi i retrovirus) che esibiscono caratteristiche morfologiche identiche ai retrotrovirus. Perciò, a partire dalle considerazioni morfologiche, sia le gemmazioni che le particelle prive di cellule non possono essere ritenute dei retrovirus. Inoltre, le colture di tessuti derivati da pazienti con l’AIDS, contengono una pletora di particelle che sembrano virali, con diametri che vanno dai 65 ai 250nM, forme che sono sferiche, angolari e a forma di lacrima, superficie con o senza punte, e che contengono cori a forma di cono, a forma di stecca, centrosimmetrici e tubulari, così come doppi cori e una miscela di cori. Alla pari delle diverse particelle di tassonomia mutevole ritenute la particella dell’HIV, nessuna di queste particelle è stata purificata e caratterizzata e, come l’HIV, la loro origine e il ruolo devono rimanere una ipotesi. (9,61-64)

 


 

A18. Se loro non hanno purificato le particelle, perché affermano di averlo fatto e continuano ad affermarlo fino a questa intervista?

 

2. E’ vero che riferirono il picco di attività RT alla densità di 1,16g/ml, cioè, alla densità nella quale loro affermavano di avere ‘un virus purificato,marcato’. Tuttavia, come si fa ad affermare che l’attività RT ‘era proprio quella di un retrovirus’, se ‘non raggiunsero il picco…o non ha funzionato’, cioè, quando a quel picco non hanno nemmeno trovato particelle che assomigliano ai retrovirus, meno ancoraretrovirus veri e propri? Per trasmettere un retrovirus da una coltura all’altra, prima si deve avere prove dell’esistenza di un retrovirus nella prima coltura. La ‘trasmissione’ di fenomeni non specifici non è prova della trasmissione di un retrovirus. Inoltre, poiché tutti i fenomeni che Montagnier ed i suoi colleghi considerarono come prova dell’esistenza di un retrovirus, compresa l’attività RT e le particelle che assomigliano a un virus, potrebbero insorgere de novo nelle colture, specialmente sotto le condizioni di coltura che adoperavano, non possono affermare la prova dell’avvenuta trasmissione di qualsiasi cosa. Come hanno fatto Montagnier ed i suoi colleghi per sapere che, se avevano controlli adeguati, gli stessi fenomeni non sarebbero successi nella coltura del donatore del sangue, così come nei linfociti ombelicali, anche se non erano ‘infettati’ dall’’HIV’?

 


 

A19. Se lo stadio di purificazione (isolamento) non è necessario, allora perché Montagnier ed i suoi colleghi affermano di aver provato l’esistenza dell’’HIV’ perché loro lo hanno ‘isolato’, lo hanno ‘purificato’?

 


 

2. Poiché qualsiasi pezzo di DNA può essere clonato e amplificato, la clonazione e l’amplificazione di un pezzo di DNA non fornisce alcuna informazione riguardo all’origine, cioè, se è retrovirale o no. Mediante il sequenziamento di un pezzo del DNA non è nemmeno possibile dire che è ‘veramente un retrovirus’, a meno che non esista una prova precedente che quelle sequenze sono presenti in una particella retrovirale e da nessuna altra parte. Non c’è alcuna cosa specifica riguardo la ‘struttura dei retrovirus’. Se veramente c’è un’unica ‘sequenza di DNA’ che indica che ‘è veramente un retrovirus’ e ‘tutti i retrovirus hanno una struttura genomica familiare con determinati geni’, allora non esiste la tale prova per il ‘genoma dell’HIV’. (32).


Basti menzionare che, ad oggi, non sono state pubblicate due sequenze identiche per il ‘genoma dell’HIV’. Il medesimo paziente può avere sequenze di ‘DNA dell’HIV’ differenti. Secondo alcuni ricercatori dell’Istituto Pasteur, ‘un paziente asintomatico può ospitare almeno 106 varianti dell’HIV distinte geneticamente, e per un paziente con l’AIDS la cifra è superiore a 108.(65-66) Le differenze genetiche possono giungere al 40%.(67) (Confrontare questo alle differenze che vanno dall’1 al 2% tra i DNA degli ominidi, alcuni dei quali codificano per proteine identiche, come ad esempio le catene a e b dell’emoglobina degli scimpanzé e degli esseri umani).


E’ stato riferito che la lunghezza del ‘DNA dell’HIV’ va dai 9 ai 15kb. Nel 1985 i ricercatori dell’Istituto Pasteur riferirono che ‘La struttura genetica dedotta è unica; dimostra, in aggiunta ai geni retrovirali gag, pol ed env, due nuovi e aperti schemi di interpretazione che chiamiamo Q e F’.(68) Nel 1990, si riteneva che il genoma dell’’HIV’ fosse composto da dieci geni, (69) nel 1996 Montagnier riferì che l’’HIV’ ha otto geni (70) e, secondo Barre-Sinoussi, (71) l’’HIV’ ha nove geni.

 


 

A20. 1. Ai fini dell’isolamento dei retrovirus è obbligatoria la fase di purificazione. NON si POSSONO ISOLARE i retrovirus SENZA PURIFICARE. Per definizione, isolare significa ‘mettere da parte o da solo’ (Dizionario Concise Oxford) e ‘purificare’ significa ‘eliminare elementi estranei’ (Dizionario Concise Oxford). Perciò, a meno che non siano rimossi i contaminanti attorno alle particelle ‘HIV’ (cioè, purificare l’’HIV’), le particelle ‘HIV’ NON SONO ISOLATE.

 


 

2. Siamo d’accordo che, per trasmettere un retrovirus, non c’è bisogno di materiale puro. Tuttavia, per trasmettere qualcosa, prima si deve conoscere cosa si trasmette, cioè, deve esserci la prova della sua esistenza. Per i retrovirus, tale evidenza può essere ottenuta solamente attraverso l’isolamento (purificazione) delle particelle, sia mediante la determinazione delle loro proprietà fisiche e chimiche sia con la prova che sono infettive.

 


 

A21. Sì, è impossibile determinare l’identità delle proteine, compresa quella dell’RT, senza l’isolamento. 1. Montagnier ed i suoi colleghi, anche dopo uno sforzo romano, non sono riusciti a riscontrare neanche particelle che assomigliano a un retrovirus a quella densità, perciò, dalla sua esperienza (evidenza sperimentale), esiste zero possibilità e NON 999 tra 1000 che l’attività RT, alla densità di 1,15, 1,16, rappresenti, nel loro caso, un retrovirus.

 


 

2. Siamo d’accordo che potrebbe essere un retrovirus di origine diversa. L’esistenza di retrovirus endogeni, insieme alla presenza nei pazienti con l’AIDS e in quelli a rischio di anticorpi che reagiscono con i loro antigeni, significa che, anche se Montagnier et al avessero provato l’esistenza di un retrovirus, sarebbe stato impossibile dire che il retrovirus abbia avuto origine negli omosessuali e non nei linfociti dei donatori o del cordone ombelicale.

 


 

3. La ‘biologia molecolare’, la ‘clonazione e il sequenziamento’ del genoma dell’’HIV’ è stata discussa nei dettagli altrove.(32-49) Basti menzionare qui che:

 


 

  • (a)  la prova per l’esistenza dell’’HIV’ e infatti per il suo ruolo causativo nell’AIDS è stata affermata prima di qualsiasi ‘biologia molecolare’, ‘clonaggio e sequenziamento’;

 


 

  • (b)  poiché ciascun pezzo di acido nucleico può essere clonato e sequenziato, il clonaggio ed il sequenziamento di un pezzo di acido nucleico non può essere usato come prova dell’esistenza di un retrovirus o del suo genoma. Per il contrario, la prova dell’esistenza di acidi nucleici virali (RNA e cDNA virali) può essere accettata se, e solo se, viene dimostrato che il RNA è un entità molecolare unica, che appartiene a particelle che hanno caratteristiche morfologiche, fisiche e replicative delle particelle retrovirali. Ciò può essere fatto soltanto attraverso la separazione delle particelle da tutte le altre cose, mediante la loro purificazione.

    Invece, Montagnier e Gallo adoperarono ‘una vera minestra’ di colture e co-colture (il gruppo di Montagnier ha anche infettato deliberatamente le colture col virus Epstein-Barr). Il supernatante di queste colture fu marcato con bande nei gradienti di densità del saccarosio. Da tutto l’RNA (ed il DNA) che marcò banda ai 1,16g/ml, loro scelsero arbitrariamente qualche RNA, adoperando criteri specifici completamente non retrovirali e lo chiamarono ‘RNA dell’HIV’, senza alcuna prova che la banda contenesse nemmeno particelle che sembrano retrovirali; (32)

 


 


 

  • (c)  il primo passo, assolutamente necessario per provare che l’’RNA dell’HIV’, retrovirale o no, ebbe origine dai linfociti dei soggetti infettati dall’’HIV’, è eseguire esperimenti di ibridizzazione adoperando linfociti  non coltivati, freschi ed il ‘DNA dell’HIV’ (ottenuto attraverso la transcriptasi inversa dell’’RNA dell’HIV’), come sonda . E’ difficile da capire perché Montagnier ed i suoi colleghi non riferirono esperimenti del genere. Il gruppo di Gallo lo fece ed i risultati furono negativi. Nel 1994 Gallo fu citato in questa rivista, dove diceva: ‘Non abbiamo mai trovato il DNA dell’HIV nelle cellule tumorali di KS…Infatti, non abbiamo mai trovato il DNA dell’HIV nelle cellule T’.(72)

    Al presente non esiste nemmeno uno studio che dimostri l’esistenza di una singola copia del ‘genoma dell’HIV per esteso’ nelle cellule T fresche nemmeno di un singolo paziente di AIDS o di un paziente a rischio di AIDS; (d) Attualmente, il numero di particelle di ‘HIV’ nel plasma viene quantificato attraverso la misurazione dell’’RNA dell’HIV’, la carica virale che viene riferita di essere ‘dai 15 x 103ai 554 x 103 virioni per ml’.(73) Diversi studi affermano di dimostrare che la ‘carica virale’, cioe’, l’’RNA dell’HIV’, la si puo’ diminuire fino a livelli non individuabili attraverso l’uso, sia dell’RT, che degli inibitori della proteasi. Tuttavia, poiché: (i) viene accettato che l’’RNA dell’HIV’ è una trascrizione del ‘DNA dell’HIV’; (ii) per loro natura né l’RT né gli inibitori della proteasi hanno alcun effetto sulla trascrizione del DNA, inibiscono solo l’infezione di nuove cellule, cioè, la diminuzione dell’RNA dell’HIV’ è una conseguenza della diminuzione nel ‘DNA dell’HIV’; ci si aspetterebbe che si potesse determinare l’effetto di questi farmaci attraverso la misurazione del livello del ‘DNA dell’HIV’. Tuttavia, non è stato pubblicato quasi nessuno di tali studi. I pochissimi che esistono dimostrano che né l’RT né gli inibitori della proteasi hanno alcun effetto sul ‘DNA dell’HIV’, (74-76) il che significa che non esiste una relazione tra l’’RNA dell’HIV’ e il ‘DNA dell’HIV’.

 


 

4. Nel 1984, Montagnier ed i suoi colleghi riferirono che la ‘preincubazione dei linfociti T4+ con tre anticorpi monoclonali diversi, indirizzati alla glicoproteina T4, bloccava l’infezione cellulare da LAV’, cioè, bloccava la rilevazione di attività RT nelle cellule T4 ‘infettate’ dall’’HIV’. Conclusero che le loro ‘risultanze indicano fortemente che la glicoproteina T4 è almeno associata con tutto o parte del ricettore per il LAV’.(38) Tuttavia, il bloccaggio di alcuni dei fenomeni di ‘HIV’ non specifici, cioè l’attività RT, non può essere ritenuta prova del bloccaggio dell’infezione da ‘HIV’ o dell’associazione dell’’HIV’ con le cellule T4.

 


 

A22. Siamo d’accordo che ‘l’analisi delle proteine del virus necessita produzione in serie e purificazione. E’ necessario farlo’. Riguardo a ciò, non solo sono falliti parzialmente, ma SONO FALLITI TOTALMENTE. Se ‘l’analisi delle proteine del virus necessita di produzione in serie e purificazione’, lo stesso necessita l’analisi degli ‘acidi nucleici, il clonaggio, ecc.’ Se manca la purificazione del virus allora manca:

 


 

  • (a)  la caratterizzazione degli antigeni virali e l’ottenimento di un gold standard per la reazione antigene-anticorpo, cioè, non possono venir adoperati test anticorpali per definire l’infezione da retrovirus;

 


 

  • (b)  per ottenere e caratterizzare gli acidi nucleici retrovirali, cioe’, l’RNA (cDNA), con sonde e primer per l’ibridizzazione, e con l’uso della PCR,  non possono venir adoperati test molecolari per definire l’infezione retrovirale. Che le cose stiano proprio così viene accettato da Donald Francis, un ricercatore che, con Gallo, svolse un ruolo significativo nello sviluppo della teoria che l’AIDS è causato da un retrovirus.

    Nel 1983 Francis, allora il principale collaboratore delle Attività di laboratorio dell’AIDS, dei Centri americani per il controllo delle malattie ed ex capo del programma di vaiolo del WHO, speculò riguardo a una causa virale per l’AIDS: ‘Dobbiamo fare assegnamento su metodi di identificazione più elaborati attraverso i quali, mediante uno strumento specifico, si possa ‘vedere’ un virus. Alcune sostanze specifiche, come ad esempio gli anticorpi o gli acidi nucleici, possono identificare virus, anche se le cellule rimangono vive. Qui il problema è che tali metodi possono essere sviluppati solo se conosciamo quello che cerchiamo. Cioè, se cerchiamo un virus conosciuto possiamo vaccinare una cavia, ad esempio, con virus puro… Ma, ovviamente, se non conosciamo quale virus stiamo cercando, e perciò non riusciamo a produrre anticorpi nelle cavie, è difficile impiegare quei metodi. Staremmo a cercare un qualcosa che potrebbe o non potrebbe essere lì mediante tecniche che potrebbero o non potrebbero funzionare’(77) (il corsivo è nostro).

 


 

A23. E’ impossibile caratterizzare due sconosciuti virali, cioè, le loro proteine e gli anticorpi indirizzati contro di loro, attraverso la formazione di un complesso anticorpo/antigene, meno ancora caratterizzare il ‘virus’. Attraverso quali mezzi Montagnier venne a conoscenza che qualcuno aveva anticorpi contro le proteine di un virus e che le proteine con le quali gli anticorpi reagiscono sono virali? E’ una impossibilità scientifica che qualcuno abbia anticorpi contro un virus e, allo stesso tempo, che la banda 1,16g/ml contenga proteine dello stesso virus, prima che sia stata provata la sua esistenza.

 


 

A24. 1. E’ vero che Montagnier aveva gruppi di controllo, ma essi non erano adeguati. Montagnier ed i suoi colleghi fecero reagire le proteine che marcavano una banda a 1,16g/ml coi sieri di due pazienti omosessuali con linfoadenopatia. Si sapeva che i pazienti con l’AIDS, e quelli a rischio, hanno una pletora di anticorpi, tutti con un potenziale di reattività incrociata. Di conseguenza, ci si sarebbe aspettato che Montagnier et al avessero impiegato come gruppo di controllo soggetti malati che non avevano l’AIDS o il pre-AIDS e che non erano a rischio di AIDS, ma che avevano una pletora di anticorpi, tutti con un potenziale di reattività incrociata. Invece, i loro soggetti di controllo erano due donatori di sangue il cui stato di salute era caratterizzato da bassi livelli di anticorpi.

 


 

2. Montagnier et al non ottennero prova di ‘una reazione specifica’. I sieri dai pazienti e dai donatori furono fatti reagire sia col ‘virus purificato’, cioè la banda 1,16g/ml, sia con estratti dalle cellule ‘infettate’.  Nelle loro strisce pubblicate, con ‘virus purificati’, non è possibile distinguere alcuna proteina reagente con qualsiasi siero. Nel testo loro affermano: ‘Quando fu analizzato il virus purificato e marcato [la banda 1,16g/ml] dal paziente 1…sono state viste tre proteine importanti; la proteina p25 e proteine con peso molecolare di 80.000 e 45.000’. Tali reazioni non sono state riferite quando furono adoperati isieri dei donatori. Nelle strisce pubblicate con estratti dalle ‘cellule infettate’, è ovvio che diverse proteine reagirono con i sieri sia dei pazienti sia dei donatori di sangue sani. Un anno dopo Montagnier ed i suoi colleghi confermarono che ‘i sieri di alcuni dei pazienti con l’AIDS legarono molte proteine cellulari…


Questa marcatura in bande fu evidente nel RIPA e furono considerati positivi solo i sieri che precipitarono specificamente la p25’. In altre parole, per qualche ragione sconosciuta, conclusero che fra tutte le proteine reagenti, solo la p24 (la loro p25) era retrovirale, e fra tutti gli anticorpi, solamente quello che reagì con la p24 fu indirizzato contro il retrovirus. Anche se si considera specifica la reazione tra la p24 che marca una banda a 1,16g/ml e l’anticorpo presente nei sieri, cioè, non dovuta a reattività incrociata, da una reazione del genere è impossibile trarre la conclusione che la p24 è una proteina retrovirale e che l’anticorpo è causato (come conseguenza) dall’infezione di questo retrovirus. Infatti, dato che Montagnier et al non riuscirono nemmeno a individuare particelle che sembrano retrovirus a 1,16g/ml, le loro conclusioni riguardo la p24 e l’anticorpo che reagisce con essa è completamente irragionevole a livello scientifico.

 


 

A25. 1. Nessun anticorpo, nemmeno gli anticorpi monoclonali, sono ‘molto specifici’ o addirittura specifici.(78-84) Infatti, ci sono casi dove ‘un antigene a reazione incrociata si lega con un’affinità maggiore del medesimo antigene omologo… Il fatto più ovvio riguardo le reazioni incrociate degli anticorpi monoclonali è che sono caratteristici di tutte le molecole e non possono essere eliminati attraverso l’assorbimento senza eliminare tutta la reattività…Anche gli antigeni che differiscono per la maggior parte della loro struttura possono condividere un fattore determinante, e un anticorpo monoclonale che riconosce questo punto darebbe allora una reazione incrociata del 100%. Un esempio è la reazione degli autoanticorpi nel lupus, sia col DNA, sia con la cardiolipina’.(80)

 


 

Tuttavia, ‘Dovrebbe essere sottolineato il fatto che condividere un ‘fattore determinante’ non significa che gli antigeni contengono strutture chimiche identiche, ma piuttosto che loro hanno una somiglianza chimica che potrebbe non essere ben capita, ad esempio, una distribuzione di cariche sulla superficie’.(80) [E’ importante notare che gli esperti dell’’HIV’ ammettono che la ‘reattività incrociata’ sia la causa della reattività anticorpale ‘indeterminata’ riscontrata nel Western blot dell’’HIV’, così come, ad esempio, la reattività tra gli anticorpi monoclonali alla proteina p18 dell’’HIV’ e le cellule dendritiche nei tessuti linfatici di una varietà di pazienti che hanno un numero di malattie non correlate con l’AIDS (85) ed i tessuti normali, presi dai soggetti ‘non infettati dall’’HIV’.(86)] Affinché ci si convinca che tutti gli ‘anticorpi [compresi quelli monoclonali] sono polispecifici, cioè, che sono capaci di reagire con diversi antigeni dissimili, come ad esempio: proteine, acidi nucleici e apteni’, ‘sono capaci di reagire con più antigeni di quelli propri o non propri, spesso senza alcuna somiglianza antigenica apparente’, tutto ciò che dobbiamo fare è leggere le pubblicazioni scientifiche dei ricercatori dell’Istituto Pasteur, come ad esempio Stratis Avrameas.(83-87)

 


 

2. Non si può concludere che una proteina che marca una banda a 1,16g/ml sia virale solamente perché reagisce con un anticorpo presente nei sieri del paziente, anche se in qualche maniera si sa che gli anticorpi presenti nei sieri sono monoclonali. Ipotizziamo una situazione ideale dove: (a) tutti gli anticorpi presenti nei sieri del paziente sono monoclonali e ‘molto specifici’; (b) la banda 1,16g/ml contiene, in aggiunta alle diverse proteine non rappresentate e alle microvescicole, anche proteine rappresentate di origine cellulare e forse di origine batterica, fungina e virale (costituenti dei diversi agenti infettivi, diversi dai retrovirus, presenti nella coltura e nei pazienti) e, come dimostrato in uno studio franco-tedesco del 1997, un numero di particelle che somigliano ai retrovirus. Anche in questa situazione ideale, NON E’ POSSIBILE AFFERMARE che, solo perché una proteina come ad esempio la p24, la p41, o altre siano riscontrate in questa banda e reagisca con i sieri, la proteina è una componente delle particelle simili ai retrovirus.

 


 

3. La realtà è che:


  • (a) tutti i pazienti con l’AIDS e quelli a rischio hanno una pletora di anticorpi compresi gli autoanticorpi. Gli autoanticorpi comprendono gli antilinfociti, e come Montagnier ed i suoi colleghi hanno dimostrato,88 anticorpi antiactina e antimiosina, cioè, anticorpi contro l’actina e la miosina, le due proteine cellulari onnipresenti;

  • (b) tutti gli anticorpi presenti nei sieri hanno il potenziale di reattività incrociata;

  • (c) le proteine del supernatante dei linfociti non infettati, che nelle bande dei gradienti di densità del saccarosio a 1,16g/ml, cioe’,  il finto virus, comprende proteine che hanno gli stessi pesi molecolari delle proteine dell’’HIV’;89

  • (d) gli animali che sono stati inoculati col finto virus sviluppano anticorpi che reagiscono con le proteine ‘SIV’, un ‘retrovirus’ le cui proteine condividono gli stessi pesi molecolari delle proteine dell’’HIV’ e si ritiene che sia il parente più vicino all’’HIV’;90

  • (e) i pazienti con l’AIDS e quelli a rischio sono ripetutamente soggetti a stimoli allogenici, compresi i linfociti allogenici;

  • (f) fino al 1997, non esisteva nemmeno l’evidenza che dimostrasse che la banda 1,16g/ml contenesse particelle simili ai retrovirus. Data questa realtà, affermare che solo perché una proteina marchi bande a 1,16g/ml e che reagisca con anticorpi presenti nei sieri del paziente, nella migliore delle ipotesi, non differisce da quanto segue:

  • (i) Un ricercatore ha due ciotole, una delle quali contiene una miscela di uova crude, alcune note e forse alcune sconosciute, e forse un po’ di latte derivato da alcuni animali. L’altro contiene alcuni acidi. Un’altra volta, alcuni conosciuti e forse alcuni sconosciuti. Una volta che vengono miscelati i contenuti delle due ciotole, ottiene un precipitato. Afferma che il precipitato prova l’esistenza nella ciotola di latte da un animale previamente sconosciuto e un acido sconosciuto e che la reazione è tra l’acido sconosciuto e una proteina del latte precedentemente sconosciuto.

  • (ii) Questa affermazione è scientificamente impossibile poiché qualsiasi proteina nelle uova avrebbe potuto reagire con qualsiasi acido, per produrre il precipitato osservato.

Di conseguenza, data la realtà come delineata sopra da (a) a (f), è completamente non scientifico affermare che la reazione tra proteine che marcano una banda tra 1,16g/ml e reagiscono con anticorpi presenti nei sieri del paziente è prova dell’esistenza dell’’HIV’. Il fatto di affermare che la reazione tra le proteine che marcano bande a 1,16g/ml (in assenza di evidenza che la banda contenga nemmeno particelle simili ai retrovirus) con anticorpi presenti nei sieri indica, non solo che la banda contiene proteine retrovirali, ma che contiene proteine di un nuovo retrovirus, non differisce da quanto segue: Un pescatore, che ha creature marine ma nessun pesce in una rete, butta alcuni animali nella rete. Il pescatore osserva che gli animali mangiano alcune proteine presenti nella rete e afferma che le proteine non erano solo proteine dei pesci, ma erano proteine di un pesce completamente nuovo, un pesce che nessuno ha visto prima: un pesce d’oro.

 


 

A26. 1. Non è possibile, sia per Montagnier sia per Gallo, che abbiano ‘ragione ragionevolmente’. Entrambi fecero reagire la banda 1,16g/ml con i sieri dei pazienti. Indipendentemente dal metodo impiegato per individuare la reazione (RIPA p WB) e, dal numero di reazioni eseguite, avrebbero dovuto riscontrare le stesse proteine reagenti.

 


 

2. Nel loro studio del 1983, Montagnier ed i suoi colleghi trovarono tre proteine, la p25, la p45 e la p80. Riguardo la p45 scrissero: ‘La proteina 45K può essere dovuta alla contaminazione del virus attraverso l’actina cellulare che era presente negli immunoprecipitati di tutti gli estratti cellulari’. In uno studio pubblicato nel 1984, avevano ‘una prominente p25, una p18, una proteina a basso peso molecolare in fondo al gel (p12), e tre proteine ad elevato peso molecolare (43.000, 53.000, 68.000). La banda a 43.000 può includere una componente di origine cellulare, poiché fu riscontrata anche in un preparato simile composto dalle cellule non infettate di controllo’.

 


 

3. Poiché i sieri, sia dei pazienti sia dei donatori del sangue sani reagirono ripetutamente con la proteina p45/p43 proveniente, sia da cellule infettate, che non infettate, ci si potrebbe aspettare che anche Gallo abbia individuato questa proteina. Tuttavia, né Gallo né nessun altro da quel momento riferì una banda del genere, indipendentemente dal metodo impiegato per individuare la reazione antigene/anticorpo. La discrepanza può essere risolta se uno prende in considerazione il fatto che la migrazione di proteine su una striscia elettroforetica, in aggiunta al peso molecolare, può essere influenzata anche da altri fattori, ad esempio dalla carica che porta la proteina. Perciò, la medesima proteina può sembrare di avere un peso molecolare leggermente differente, qualora venga individuata dal RIPA o dal WB. Ad esempio, al presente, sia la p25 individuata da Montagnier, sia la p24 individuata da Gallo, vengono considerate la stessa proteina p24 dell’’HIV’.

 


 

4. Il peso molecolare dell’actina non è né 45.000 né 43.000 ma 41.000. Al presente esiste una ampia evidenza che la banda 1,16g/ml, cioe’,  l’’HIV puro’ contiene actina cellulare (91-94) e, come è stato già menzionato, Montagnier stesso dimostrò che i sieri dei pazienti di AIDS e quelli a rischio contengono anticorpi che reagiscono con l’actina. In altre parole, quando la banda di 1,16g/ml è fatta reagire con i sieri dei pazienti, indipendentemente dalla presenza dell’’HIV’, una banda p41 (p45/43) deve essere presente, e rappresenta l’actina cellulare. (Se Montagnier adesso crede che la p41 è una proteina dell’’HIV’, perché continua ad escludere questa banda dai suoi criteri per un Western blot positivo?(95)

 


 

A27. La proteina p24 non è sufficiente per diagnosticare l’infezione da ‘HIV’, perché non è specifica. In realtà, non è stato riferito che nessun’altra proteina ‘HIV’, nemmeno la p41 (p45/43), ha reagito più spesso con sieri da soggetti sani (che non sono a rischio di AIDS). Nemmeno è stato riscontrato che un anticorpo monoclonale abbia reagito a qualsiasi delle altre proteine dell’’HIV’ più spesso con proteine presenti nelle colture non ‘infette’ o sieri da soggetti che non sono a rischio di AIDS. Secondo Montagnier perché: (a) ‘queste sono proteine cellulari che troviamo ovunque – c’è un rumore di fondo non specifico’; (b) una proteina del genere, che ha un peso molecolare di 45/43, è l’actina; (c) questa proteina reagì con sieri di soggetti che non sono a rischio di AIDS; la p45/43 rappresenta una proteina cellulare ma non virale. Tuttavia, poiché: (i) la miosina è tanto onnipresente quanto l’actina. (ii) la miosina ha una catena leggera con un peso molecolare di 24.000. (iii) le proteine del citoscheletro (delle quali l’actina e la miosina sono le più abbondanti) sono state riscontrate nell‘HIV puro’.(91-94) In realtà, la miosina e l’actina vengono ritenute svolgere un ruolo cruciale nella gemmazione e rilascio delle particelle dell’’HIV’.(91) (iv) Montagnier ha dimostrato che i pazienti con l’AIDS, e a rischio di AIDS, hanno anticorpi antimiosina. Perché non dovremmo considerare la banda p24 come rappresentativa della miosina?

 


 

A28. Siamo d’accordo che nessuna proteina è sufficiente per diagnosticare l’infezione da ‘HIV’. Allora il problema, come è oggi, non era ‘sapere se era un HTLV o no’, ma se era retrovirale o no. Non tutto quello che non è HTLV è retrovirale.

 


 

A29. 1. Fino a oggi, non esiste prova che qualsiasi delle proteine che marcano banda a 1,16g/ml sono proteine dell’’HIV’. L’unica ragione per cui il 20% delle proteine che marcano banda a 1,16g/ml sono ritenute ‘HIV’ è che viene riscontrato che questa frazione di proteine reagisce con i sieri differenti del paziente di AIDS una volta o l’altra.

 


 

2. Siamo d’accordo che, con la tecnica impiegata dal gruppo di Montagnier, non si possono provare quali proteine (o acidi nucleici) sono cellulari e quali sono virali.

 


 

3. Siamo d’accordo. L’unico modo con cui può essere provata l’esistenza di proteina virale (acidi nucleici) è tramite la ‘purificazione del virus al massimo’, cioè, mediante l’ottenimento di gradienti di densità che contengono solamente particelle con le caratteristiche morfologiche dei retrovirus e nient’altro. Ciò non è stato mai fatto per provare l’esistenza delle proteine e acidi nucleici dell’’HIV’.

 


 

4. Se si ‘inciampa sempre sulle stesse proteine’ nei gradienti successivi, non è prova che quelle proteine siano virali e che quelle che spariscono siano cellulari.

 


 

A30. 1. Non importa quante volte la marcatura di bande venga ripetuta, se si inizia con nessuna particella simile ai retrovirus, si finisce con nessuna particella del genere. Alle volte, tramite marcature di bande successive, si potrebbero eliminare i componenti non retrovirali per ottenere una banda che contiene nient’altro che particelle con caratteristiche morfologiche dei retrovirus. Tuttavia, per riuscire a farlo, anche dopo la prima marcatura di bande, si deve cominciare con una proporzione relativamente elevata di particelle simili ai retrovirus.

 


 

2. Un’altra volta, l’origine delle proteine non può essere determinata dall’analisi molecolare, cioè, tramite il sequenziamento delle proteine.

 


 

3. Siamo d’accordo che, se le proteine di un retrovirus sono codificate dal suo genoma, come di solito viene accettato, allora potrebbe essere possibile caratterizzare le proteine retrovirali dal loro genoma. Tuttavia, per fare questo, si deve provare prima che l’RNA (cDNA) è una componente di una particella retrovirale. Ciò non è stato fatto per il genoma dell’’HIV’. In realtà, anche oggi, non esiste prova che l’RNA dell’’HIV’ sia una componente della particella, di qualsiasi particella, sia virale che non virale.

 


 

4. Fino a oggi, non c’è prova della relazione tra le sequenze nell’RNA dell’’HIV’ (DNA) e le sequenze nelle proteine ‘osservate con immunoprecipitazione o con l’elettroforesi  a gel’. In realtà, non esiste nemmeno una relazione tra la dimensione delle proteine codificate dai geni dell’’HIV’ e la dimensione delle proteine ‘osservate con l’immunoprecipitazione o con l’elettroforesi a gel’. Ad esempio, nel 1987, Gallo ed i suoi colleghi eseguirono un’‘analisi col computer’ delle ‘sequenze aminoacidiche dei complessi proteici dell’involucro derivati dalle sequenze di acido nucleico di sette isolati del virus dell’AIDS’, e conclusero che ‘dal calcolo, la gp41 dovrebbe essere da 52 a 54 dalton’.(96)

 


 

5. Uno dei tanti aspetti stupefacenti dell’’HIV’ è quanto segue: (a) Gli esperti dell’’HIV’ sono d’accordo che nemmeno due ‘HIV’ hanno le stesse sequenze genomiche e la differenza potrebbe raggiungere fino il 40%;(67) (b) Loro ammettono inoltre che la stragrande maggioranza (99,9%) dei genomi dell’’HIV’ è difettosa, cioè, manca o parte di un gene(geni) o il gene (geni) completo. Allora come è possibile: (i) misurare la carica virale (‘il DNA dell’’HIV) e la carica virale (‘l’RNA dell’HIV’) attraverso l’uso delle medesime sonde di ibridizzazione e primer della PCR? (ii) eseguire test anticorpali mediante l’impiego di kit che contengono gli stessi antigeni per tutti i diversi ‘HIV’?

 


 

6. In realtà, la storia di come i ricercatori dell’’HIV’ hanno tentato di provare l’esistenza della p120 e come loro convenirono eventualmente sulla sua esistenza è molto interessante e informativo.32 Comunque, dato il fatto che la proteina p120 viene ritenuta di essere presente solo nelle protuberanze, non è stata riferita finora nessuna particella dell’’HIV’ priva di cellule che ha protuberanze. Di conseguenza, né le particelle nel supernatante della coltura, né il virus ‘puro’ avranno la gp120. In altre parole, è impossibile, sia per le striscie RIPA, sia per quelle WB avere la proteina dell’’HIV’ con un peso molecolare di 120.000.

 


 

A31. Non si trova una prova del genere nella bibliografia pubblicata.

 


 

A32. 1. Prima del marzo del 1997 nessun gruppo di ricercatori dell’’HIV’ non aveva pubblicato nemmeno una singola microfotografia elettronica del materiale che marca alla densità di 1,16gm/ml in un gradiente di densità del saccarosio. La prima EM del materiale marcato a bande nei gradienti di densità del saccarosio comparve nel 1997 su due pubblicazioni, una franco-tedesca e l’altra proveniente dall’Istituto nazionale del cancro americano (NCI).(89) L’EM franco-tedesca è proveniente dal gradiente di densità del saccarosio di 1,16gm/ml, mentre non è possibile dire da quale densità derivino le risultanze dell’NCI. Le conclusioni di entrambi gli studi svelano che la stragrande maggioranza del materiale è ‘non virale’, virus ‘finto’, ‘microvescicole’ cellulari, cioè, il materiale marcato a bande è tutto virtualmente cellulare. Queste particelle, alla pari delle particelle retrovirali, contengono acidi nucleici in aggiunta a proteine che però non sono tanto condensate.

 


 

2. Le microfotografie EM in entrambi gli studi contengono anche una piccola quantità di particelle che hanno la morfologia che assomiglia più da vicino alle particelle retrovirali rispetto alle particelle ‘finte’. Entrambi i gruppi affermano che le particelle di minor numero sono l’’HIV’.

 


 

3. Nello studio dell’NCI non vengono date ragioni dell’affermazione che quelle particelle sono ‘HIV’. Gli autori dello studio franco-tedesco affermano che le particelle sono ‘HIV’ perché hanno: (a) ‘diametri di circa 110nm’; (b) un ‘core denso a forma di cono’; (c) ‘corpi laterali’; e perché nessuna particella del genere è stata vista nel materiale marcato a bande, proveniente dalle cellule di controllo non ‘infettate’. Tuttavia, secondo ricercatori retrovirali ben noti, come ad esempio Bader e Frank, un tipo di ‘particella oncovirale’ può trasformarsi in un’altra, e cori immaturi possono trasformarsi in ‘maturi’, soltanto tramite il cambiamento delle condizioni extracellulari.(11-97) Tuttavia, le condizioni di coltura nelle cellule ‘infettate’ e non infettate non erano le stesse. Tutti i retrovirus condividono due caratteristiche morfologiche: un diametro di 100-120nm e protuberanze di superficie. Nessuna di queste particelle sembra avere protuberanze e nessuna ha un diametro di meno di 120nm.


Il fatto di fare una media dei diametri maggiori e minori delle particelle indicate, dire che rappresentano l’’HIV’ e ipotizzare che tutte le particelle sono sferiche, dimostra che nello studio franco-tedesco le particelle sono 1,14 volte più grandi delle particelle retrovirali autentiche, e le particelle dell’NCI sono 1,96 volte più grandi. Queste risultanze si traducono in volumi che sono rispettivamente del 50% e del 750% più grandi. Poiché la densità è il rapporto della massa col volume, queste particelle devono avere in modo proporzionale masse più elevate. Dato il diametro massimo delle particelle retrovirali ed il fatto che siffatte particelle contengono una massa fissa di RNA e proteina, sembra insostenibile che le particelle che entrambi i gruppi considerano l’’HIV’ siano la stessa particella o siano particelle retrovirali. L’unica altra spiegazione per queste risultanze è che le microfotografie elettroniche non siano della banda 1,16gm/ml o che la marcatura della banda non fosse in equilibrio, nel qual caso si deve ridefinire la esuberante densità dei retrovirus.

 


 

Si ritiene che le particelle dell’’HIV’ abbiano un core virale a forma di cono, con corpi laterali densi in ciascun lato del core. Nessuna caratteristica del genere può essere vista nelle EM pubblicate su questi due studi. Perciò, per definizione, non si può ritenere che le particelle siano simili a un retrovirus.

 


 

Prendendo in considerazione che in entrambi gli studi le colture di controllo ‘non infette’ erano le cellule H9 ed il fatto che Gallo, nel lontano 1983, affermò che queste cellule erano infettate dall’HTLV-I, è un enigma che non siano state riscontratele particelle simili ai virus nel materiale marcato a bande proveniente da queste colture.

 


 

A33. Le fotografie dell’1,16g/ml sono di interesse significativo e profondo. Come si potrebbe altrimenti sapere che ci sono lì particelle simili ai retrovirus, specialmente perché anche Montagnier ammette che altre cose potrebbero marcare lì bande. Per qualsiasi scienziato che afferma la prova di isolamento, purificazione di un retrovirus, adoperando le marcature di banda di gradiente di densità del saccarosio, è vitale e assolutamente necessario ottenere microfotografie elettroniche della banda 1,16g/ml che mostri nient’altro che particelle simili ai retrovirus.

 


 

A34. Se le cose stessero così, perché non sono disponibili nella bibliografia scientifica tali risultanze?

 


 

A35. In uno dei loro articoli del 1984 (22) Montagnier ed i suoi colleghi scrissero: ‘Diverse caratteristiche indicano che i virus LAV o i virus correlati al LAV appartengono alla famiglia dei retrovirus. Sono state osservate particelle in gemmazione nella membrana plasmatica con la microscopia elettronica. La densità del virus nel gradiente di saccarosio è di 1,16 ed è stato riscontrato che l’attività di transcriptasi inversa, dipendente dal Mg2+, sia associata a dei virioni che contengono RNA’. Tuttavia, in questa intervista Montagnier ammette:


  • (a) ‘Pubblichiamo immagini di gemmazione che sono caratteristiche dei retrovirus. Avendo detto ciò, basandosi solo sulla morfologia, non si potrebbe dire che era veramente un retrovirus… Con le prime fotografie della gemmazione avrebbe potuto trattarsi di un virus di tipo C. Non si può distinguere… No…beh, dopo tutto, sì…potrebbe trattarsi di un altro virus in gemmazione’.

  • (b) alla densità del saccarosio di 1,16gm/ml. Montagnier ed i suoi colleghi, non solo non videro una particella da retrovirus, ma dissero ripetutamente che non videro particelle simili ai retrovirus; (c) anche se alla densità del saccarosio di 1,16gm/ml loro individuarono transcriptasi inversa del primer templato An.dT12-18 in presenza di Mg2+, non avevano particelle, perciò non avevano evidenza che l’’attività di transcriptasi inversa riscontrata fosse associata con i virioni che contengono RNA’.

 


 

Inoltre, in questo studio (22), dimostrarono che le polimerasi a DNA beta e gamma e quella delle cellule non infettate transcrivono An.dT (12-18) in presenza del Mg2+. Perciò, le condizioni e le risultanze di Montagnier non provano la sua affermazione che quanto lui ha ‘visto’ e ‘incontrato’ sia un retrovirus. Se l’’HIV’ ‘esiste’ ed è ‘chiaro’ per Montagnier che lui ‘lo ha visto’ e ‘lo ha incontrato’, dov’è la prova? *

 


 

Eleni Papadopulos-Eleopulos (1) Valendar F. Turner (2) John M. Papadimitriou (3)

Barry Page (1) & David Causer (1)


 

(1) Dipartimento di Fisica Medica, (2) Dipartimento di Medicina di Emergenza, Ospedale Royal Perth, Perth, Australia Occidentale; (3) Dipartimento di Patologia, Università di Australia Occidentale.

 


 

 

 

 


fonti e link correlati all’articolo di seguito


  • Stable changes in CD4+ T lymphocyte miRNA expression a… [Blood. 2012] – PubMed – NCBI
www.ncbi.nlm.nih.gov
PubMed comprises more than 23 million citations for biomedical literature from MEDLINE, life science journals, and online books. Citations may include links to full-text content from PubMed Central and publisher web sites.


  • microrna

  • http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22286198

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